venerdì 6 novembre 2009

15 ANNI DI LITIGATE

Ma nel centrodestra le contese più laceranti si ricompongono repentinamente
di Luca Telese


Una coalizione fondata sul litigio. I proverbiali ladri di Pisa, al cospetto del centrodestra, in quanto a litigiosità paiono degli agnellini ingenui: solo ad almanaccare brevemente le dispute di questi anni si batte qualsiasi primato mondiale. L'unica cosa certa, è che a destra le contese più laceranti si ricompongono in maniera altrettanto repentina e disegnano una differenza strutturale fra la due coalizioni: mentre l'Ulivo e il centrosinistra ostentavano unanimismo di facciata (ma vivevano lotte intestine che nemmeno i Borgia), fin dal 1994 nel centrodestra le dispute più feroci si celebrano in pubblico senza filtri (ma finiscono per ricomporsi sempre, come per magìa).
In realtà il dissidio è nel Dna stesso di quella coalizione. Ricordate la prima campagna dell'allora Polo del buongoverno? L'alleanza di centrodestra nasceva ufficialmente non come progetto organico, ma come somma di due schieramenti ufficialmente inconciliabili (il Polo del buongoverno tra An e Forza Italia al sud e il Polo delle libertà tra Lega e Forza Italia al nord): “Mai, mai alleati dei fascisti! Non avremo mai nessun rapporto con la porcilaia fascista!”, gridava Umberto Bossi in tutte le piazze d'Italia. Dopo le elezioni, come è noto, nacque un governo in cui sedevano, uno al fianco dell'altro, ministri di An come Mirko Tremaglia, e ministri leghisti, come Umberto Bossi. Tuttò filò liscio fino al famoso consiglio dei Ministri in cui fu approvato il decreto Biondi. “Noi non lo abbiamo mai approvato!” disse ancora Bossi. Biondi rispose furibondo: “Ah sì? Ma se c'è anche la firma di Maroni, su quel decreto!” Il leader della Lega, impassibile, rispose che non era vero: “Ero al telefono con Bobo, mentre si discuteva il testo, e ho sentito chiaramente che non era d'accordo”. Esplose la crisi del cosiddetto “ribaltone”, quella in cui la Lega abbandonò Silvio Berlusconi. L'ex presidente del Consiglio fu ancora più duro: “Bossi è una persona totalmente inaffidabile, non sosterrò mai più un governo con lui”. E ancora: “Bossi parla come un ubriaco da bar”. Risposta del senatùr: “C’e’ qualche differenza tra noi e lui… Peccato che lui sia un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora”. Gianfranco Fini pronunciò parole destinate a restare nella storia: “Con Bossi non prenderò nemmeno un caffè”.
Lo avrebbe preso presto, invece, dopo uno storico (si fa per dire) incontro in cui, a Teano, fu ricostruita l'alleanza, come se nulla fosse accaduto. Nelle politiche del 1996 la Lega prese il suo massimo storico elettorale con una campagna tutta centrata sull'attacco a Berlusconi. Bossi pubblicò addirittura un libro tutto contro il Cavaliere: “Mi ha fatto salire su quel suo aereo privato, una specie di tubetto di dentifricio... Pensava che fossi sedotto dai suoi soldi, ma la Lega è incorruttibile... Gli abbiamo segato il balconcino da sotto i piedi”. La Padania pubblicò in prima pagina un attacco al Cavaliere che al confronto le domande di La Repubblica sembrano un questionario della Settimana Enigmistica: “Berlusconi e Cosa Nostra, Cavaliere risponda a 11 domande e potrà scagionarsi”. Nelle elezioni successive, nel 2001, la Lega tornò (ovviamente) alleata fedelissima del centrodestra.
In tempi più recenti, fu Fini a rompere il tessuto della coalizione dopo il famoso discorso del predellino con cui Berlusconi fondava il Popolo delle libertà: “Berlusconi vuol fare l’asso pigliatutto”. E di più: "Si sfida il ridicolo quando Berlusconi dice 'bisogna essere uniti', 'bussate e vi sarà aperto'. Qui non siamo al teatrino della politica, ma alle comiche finali”. E ancora: “L’opposizione di An può arrivare fino all’ostruzionismo e se un gruppo come il nostro si mette di traverso con la solidarietà degli altri, di leggi elettorali di quel tipo non se ne fanno”. Rispose Paolo Bonaiuti: “Siamo veramente dispiaciuti per questa inattesa e grave caduta di stile. Berlusconi non ha mai insultato Fini, lo ha solo invitato ad unirsi a noi nel Popolo delle libertà”. Chi mai avrebbe potuto pensare, con simili premesse che Fini dentro quella coalizione ci sarebbe entrato pure lui? Invece, ancora una volta alle elezioni, come se nulla fosse accaduto, i vecchi alleati si ritrovarono come d'incanto, amorevolmente alleati. Dopo il voto e la spartizione delle cariche di governo, Fini ha incrociato i ferri con Berlusconi, continuando a duellare dal suo scranno di Montecitorio (a partire dal caso Englaro). Poi tutto sembra filare liscio fino al 4 novembre: quando l'incontro previsto a Montecitorio tra il premier Silvio Berlusconi, il presidente della Camera Gianfranco Fini e il ministro per le Riforme Umberto Bossi viene rinviato da un momento all'altro. Sul piatto, questa volta, c'è la posta più importante, il governo delle regioni su cui la Lega da mesi ha ingaggiato un braccio di ferro titanico, per il controllo del nord. “Tutto è stato deciso in piena concordia”, recitavano gli uffici stampa. Come no: d'amore e d'accordo, come sempre.

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