Ieri il Cipe ha dato il via libera all’opera: ma la fattibilità economica resta sulle spalle delle Ferrovie dello Stato: la società più sussidiata d’Italia che non ha neppure neanche i soldi per i suoi vagoni
di Daniele Martini
di Daniele Martini
DA UN PUNTO di vista finanziario il Ponte sullo Stretto è un colosso dai piedi d’argilla. L’opera ieri ha avuto il via libera dal Cipe (il comitato interministeriale per la programmazione economica che si occupa anche di grandi opere) per la fase di progettazione. Ma la decisione del governo non cancella come d’incanto i molti dubbi che gravano sull’operazione. Sapete su che cosa poggia la fattibilità economica della struttura, cioè la possibilità che tutto il sistema possa risultare sostenibile, senza il rischio di restare travolto dai debiti crollando come un castello di carte? Sulle Ferrovie dello Stato. Proprio le Fs, la società pubblica più sussidiata d’Italia, quella del miracolo alla rovescia della Tav (Alta velocità), con l’allungamento assolutamente anomalo dei tempi di realizzazione e la moltiplicazione dei costi scaricati sul bilancio dello Stato, l’azienda che nonostante tutti i proclami non riesce a far circolare scorrevolmente i treni, soprattutto quelli per i pendolari, e a dispetto delle reiterate promesse non è in grado neanche di assicurare la pulizia delle carrozze.
UNA DECISIONE TENUTA IN OMBRA
Senza l’apporto economico delle Fs niente Ponte. Ma d’altra parte con l’apporto determinante delle Fs il Ponte, economicamente parlando, parte con il piede sbagliato ed appare un azzardo prima ancora della posa della prima pietra prevista per l’inizio di dicembre. È come se qualcuno volesse correre la maratona con le stampelle o come se si mettessero insieme due debolezze. La circostanza che siano proprio le Ferrovie il pilastro di tutta l’impalcatura finanziaria è apparsa probabilmente così avventata agli stessi propugnatori dell’opera, che di fatto hanno finito per nasconderla nelle comunicazioni ufficiali; nei siti governativi non è più neanche rintracciabile. Per recuperare i termini di una faccenda sempre tenuta in ombra bisogna rispolverare un vecchio documento prodotto nel 2004 dalla società Stretto di Messina in cui si riportano gli elementi del piano economico-finanziario con i dettagli del meccanismo alla base della fattibilità del progetto.
Cinque anni fa il costo dell’operazione era previsto in 6 miliardi di euro (nel frattempo è salito a 6,3), da ammortizzarsi al 50 per cento in 30 anni (che è la durata della concessione) attraverso rate costanti. Queste rate devono essere pagate, appunto, dalle Fs con la controllata Rfi (Rete ferro-viaria italiana) che si impegna a sborsare un canone minimo annuo per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria di 100,6 milioni di euro, più di 8 milioni al mese.
E non è finita perché le Ferrovie dovranno girare al gestore del Ponte anche il contributo che oggi ricevono dal ministero dei Trasporti a compensazione degli oneri sostenuti per il traghettamento da una parte all’altra del canale, cifre riscosse per garantire quella che gli addetti ai lavori chiamano la “continuità territoriale”. Sono un’altra trentina di milioni (27,8 nel 2008 per l’esattezza) che sommati alla quota precedente fanno circa 130 milioni, 11 milioni al mese. In più Rfi si impegna “ad effettuare a suo carico la manutenzione ordinaria e straordinaria”.
Tutto questo sforzo in cambio di che cosa? Ufficialmente Rfi diventa “gestore del collegamento ferroviario dell’opera”. E detto così sembra un grande affare. In realtà il traffico ferroviario sia di persone sia di merci tra la Sicilia e la Calabria è assai modesto, e negli ultimi anni si è ulteriormente rattrappito a vantaggio del trasporto aereo, soprattutto low cost. Secondo l’edizione 2008 del Conto nazionale dei trasporti, la bibbia del settore, in 18 anni, cioè a partire dal 1990, il totale delle carrozze transitate sullo Stretto è calato del 46,4 per cento. La diminuzione è stata repentinasoprattuttonegliultimi8anni,apartire dal Duemila: meno 17,8 per cento con punte del 37peritreniviaggiatorieconundecrementopiù contenuto per le merci (meno 3,5). Peccato che le merci non abbiano granché bisogno di un collegamento veloce, e dal punto di vista degli scambi economici le 2-3 ore guadagnate sui tempi di percorrenza con il treno grazie al futuro Ponte siano di fatto quasi irrilevanti.
BOOM DEL TRAFFICO AEREO SULL’ISOLA
Mentre diminuisce a rotta di collo il traffico dei treni, registra un boom il numero dei viaggiatori negli aeroporti siciliani, più 200 per cento in totale a Catania, Palermo e Trapani (fonte Assaeroporti ed Enac). A Catania, in particolare, negli ultimi vent’annilacrescitaèstatadel219percento; dal 2000 al 2008, il numero dei viaggiatori transitati nello scalo catanese è passato da poco meno di 4 milioni a 6. Se 19 anni fa, inoltre, sullo Stretto transitavano circa 15 milioni di passeggeri all’anno tra traghetti privati, Fs e treni, mentre i viaggiatori fuori dello Stretto erano appena 4 milioni, nel 2008 il rapporto si è invertito: i passeggeri passati dallo Stretto sono in minoranza, 10,7 milioni, in prevalenza trasportati dalle compagnie private tipo Caronte & Tourist della famiglia Matacena, mentre quelli fuori dallo Stretto sono più che raddoppiati e in totale ora sono un milione in più degli altri, e per di più quasi tutti clienti delle compagnie aeree. Gli affezionati del treno, infine, appaiono un’esigua minoranza della minoranza, sull’ordine delle centinaia di migliaia di viaggiatori.
Tra una sponda e l’altra, oggi transitano appena 8 coppie di treni passeggeri e 8 merci al giorno, cioè 32 convogli tra andata e ritorno. Quindi ogni anno sullo Stretto passano soltanto 11.680 treni, tanti quanti ne viaggiano in un solo giorno su tutta la rete ferroviaria nazionale, e una volta costruito il Ponte ogni treno tramite il canone elargito da Fs pagherà, di fatto, un pedaggio stratosferico, 11.130euroinmediaperpercorrere3chilometri e 300 metri, più di 3 euro per ogni metro di binario.
SORRIDE SOLO LA IMPREGILO
Numeri alla mano, la faccenda del canone è quindi tutt’altro che un affare per le Ferrovie, mentre lo è, e parecchio, per il futuro gestore dell’opera, la società Impregilo, a cui nel 2005 il precedente governo Berlusconi affidò la realizzazione della struttura, e i cui soci di maggioranza, detto per inciso, sono anche i famosi “patrioti” del business Cai-Alitalia, da Marcellino Gavio ai Benetton a Ligresti. Ma perché le Fs avendo poca o nessuna convenienza ad infilarsi nell’affare del Ponte sullo Stretto non si sottraggono al patto leonino a favore di Impregilo? Perché non possono, probabilmente.
Essendo un’azienda pubblica dipendente dalle decisioni della politica e dai finanziamenti del governo non possono mettersi di traverso ad un affare che per l’esecutivo Berlusconi è diventato una specie di punto d’onore, un gigantesco monumento alla mitologia del fare. Del resto la relazione del 2001 del gruppo di lavoro del ministero dei Trasporti individuava proprio nello scarso traffico ferroviario il tallone d’Achille dell’impalcatura finanziaria dell’opera. E le banche chiamate a prestare il 60 per cento dei fondi necessari per l’infrastruttura fecero capire a suo tempo che senza adeguate garanzie avrebbero fatto dietro front. Quali garanzie? Che arrivassero soldi per l’ammortamento di almeno metà dell’opera tramite il pagamento certo di un canone.
Le Ferrovie, in sostanza, agiscono come sostituti finanziatori: la finzione è che paghino per un servizio, la realtà è che strapagano in cambio di poco. Ma tanto, gira e rigira, quei soldi Fs sono soldi pubblici, frutto della fiscalità generale, cioè sborsati dai cittadini onesti con le tasse.
Nessun commento:
Posta un commento