sabato 7 novembre 2009

Dice a Vespa perché suocera intenda


di Marco Travaglio


Signore e signori, ce l’abbiamo fatta: ieri è uscito il nuovo libro di Vespa. Nuovo si fa per dire, visto che anche i non pochi che non l’avrebbero letto neppure sotto tortura lo conoscono ormai a memoria, grazie alla maratona di anticipazioni forzate che da un mese intasa tg e giornali.
Quel poco che ancora sfuggiva è stato pubblicato ieri dai principali quotidiani, che si sono strappati di mano gli ultimi brandelli dell’opus magnum dell’Erodoto abruzzese, risparmiando così ai suoi numerosi fans e groupies l’incomodo di accalcarsi nottetempo presso le librerie e sborsare 20 euro.
Ora che l’invasione delle vespe è finita, se ne gioverà la salute degli eventuali lettori, ma soprattutto dell’autore, costretto da settimane a fatiche erculee: sempre lì a telefonare a Silvio per estorcergli un commento a caldo sull’ultima menata, poi a comunicare il verbo alle agenzie, poi a passare le notti in bianco, schiena naturalmente curva e piaghe da decubito, per conficcare la sbobba di giornata in un libro intitolato “Donne di cuori. Da Cleopatra a Berlusconi”, che invece è diventato “Due di picche. Da Tizio, Caio e Sempronio a Bondi, Cicchitto e Apicella”.
C’è persino una “rivelazione” sul Milan.
Manca solo un passaggio sul maltempo e sull’influenza suina (onde evitare perigliose associazioni di idee).
L’indomani poi altre corvées per inseguire smentite e controsmentite: tipo l’altro giorno, quando il Senofonte aquilano ha anticipato una frase di Fini sugli uzzoli monarchici dell’ometto, dopo aver anticipato che i due avevano fatto pace, allora ha dovuto precisare che “questa parte del colloquio con Fini è avvenuta prima del chiarimento di ottobre con Berlusconi che nello stesso libro, in un secondo colloquio, Fini ha definito positivo”.
Urge datazione al carbonio-14, come per la Sindone.
Il guaio oltretutto è che, per quanto si impegni a sparar cazzate in esclusiva per Bruno, l’ometto non è più quello di un tempo: ripete sempre lo stesso repertorio, come i guitti a fine carriera. Anche perché ha già detto e contraddetto tutto una dozzina di volte.
Sì al dialogo, anzi no. Me gusta D’Alema, anzi mai detto. Voglio il Quirinale, mai pensato al Quirinale. Sono un premier eletto dal popolo, voglio che il premier sia eletto dal popolo. E il piccolo scrivano maculato lì davanti in ginocchio ad annuire col capino: “Certo sire, me lo segno sire, ohhh sìììì ancoraaaa sireeeeee”.
Mai un ma, un però, un ohibò.
Infatti le uniche domande vere non sono sue, ma di Repubblica.
Erano dieci, ma l’insetto ne ha segate due: quelle a cui l’ometto non poteva rispondere con un no secco, ma avrebbe dovuto spiegare l’inspiegabile (perché ha dato quattro versioni su Noemi Letizia? Come concilia il Family Day e la legge antiprostitute con sexy-festini ed escort di Palazzo?).
Sono rimaste le altre otto, seguite da altrettante non-risposte, subito accolte con gridolini di giubilo dalla stampa di regime: quella che diceva “Non deve rispondere” e adesso esulta “Ha risposto!” anche se non è vero.
Ora questo sistema di replica indiretta postdatata con coitus interruptus, questo parlare a Vespa perché suocera intenda, può rivelarsi utilissimo al Cavaliere per risparmiare tempo prezioso: anziché recarsi ben due volte l’anno in Parlamento, potrebbe affidare all’insetto i suoi decreti perché li anticipi alla stampa, pregando poi deputati, senatori e Napolitano di fargli sapere, sempre in forma di anticipazione del prossimo libro di Vespa.
Ma la formula può tornar comoda pure ai testimoni e agl’imputati reticenti. Anziché avvalersi della facoltà di non rispondere, che insospettisce il giudice, potranno optare per un più elegante “Ne ho già parlato con Vespa, saprete tutto dalle anticipazioni”. O meglio: “Mi avvalgo della facoltà di rispondere a Vespa”. Cioè, appunto, di non rispondere. Fa più fine e non impegna.

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