Arriva mettendo le mani avanti, «non parlo dell'attualità italiana», finisce puntando il dito contro gli attacchi al Parlamento e l'incapacità del governo di avere una visione dell'Italia del futuro. C'è un prima e un dopo nella vita di Romano Prodi, economista, ex presidente europeo, ex premier italiano. «Non farò un programma di governo, non è più quel tempo, non ho più quell'età».
Scherza il professore giunto a Parma per ricordare il Professor Andreatta, e Giovanni Goria, e Andrea Borri, che cercavano equilibrio tra bilancio e sviluppo, e proprio negli anni in cui esplodeva quantomeno il primo. Scherza, ma grondando bonomia da tutti gli artigli, come di lui scriveva ai tempi Edmondo Berselli: «Non c'è l'onestà intellettuale, la forza degli obiettivi e lo sforzo verso soluzioni di lungo periodo per il Paese, oggi la democrazia si sta indebolendo enormemente». Del resto, aggiunge, siamo «in un'epoca televisiva», non in un'era di orizzonti lunghi, e io - anzi, «noi» - «noi per anni ci siamo sentiti dire che certi obiettivi non potevano essere raggiunti senza il Parlamento, e oggi invece l'illusione di bypassarlo produce la disgregazione del sistema politico».
Del presente non voglio assolutamente parlare, aveva detto Prodi ai cronisti cedendo solo al desiderio di commentare l'ultima crisi finanziaria, «quel che è successo a Dubai non credo avrà la forza di alimentare una nuova ondata di crisi, ma è come una tela che corre il rischio di strapparsi, perché fino a marzo-aprile il sistema era credibile, le reazioni sono state anche eticamente corrette, ma da allora in avanti la comunità internazionale è tornata al "business as usual"...». La politica, manca la politica mondiale, dice Mario Sarcinelli che gli è accanto. «Le risposte, le nuove regole devono essere globali, non nazionali» scuote la testa Prodi pensando anche «all'Europa che è ancora un'incompiuta». E poi «Cina e Stati Uniti cercano di correggere l'andamento, ma ogni giorno ce n'è una, ed è la turbolenza che mina il sistema economico».
Non a Dubai: in Italia. «Dicono che c'è la ripresa... ma guardate che quello 0,2 o 0,8 in più è calcolato rispetto alla bufera, rispetto allo scoppio della crisi finanziaria di ottobre scorso, non è mica risanamento». Vale per il mondo, ma vale ancora di più per l'Italia. Intanto perché «quando i margini macroeconomici sono ristretti è la microeconomia che va in sofferenza, l'impresa piccola e media, tutto il mercato del lavoro». E poi perché «in tutto il mondo s'è aperto il dibattito sulla politica economica e sulla politica industriale, e in Italia invece no. Dobbiamo concentraci sul terziario, e la Cina fabbrica per tutti? Dobbiamo conservare o no l'industria? Questo ci si domanda, mentre in Italia nessuno riflette. Secondo me, se non conserviamo l'industria manifatturiera, l'Italia non avrà più nulla da dire nel mondo». L'Italia si accontenta di essere «leggermente» meno in ripresa di altri, «come se quel leggermente rendesse più sopportabile essere in coda a tutte le classifiche mondiali, quando invece siamo nel fondo di un catino».
E non sappiamo nemmeno come uscirne. C'è urgenza, «un'assoluta necessità» di trovare una visione comune per il futuro, perché «l'Italia, con i suoi limiti di bilancio, non ritroverà il posto di un tempo», non recupererà automaticamente il livello di sviluppo e benessere.
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