venerdì 6 novembre 2009

Il Foglio, l’impunità colta


di Paolo Flores d’Arcais


A “Il Foglio”, organo “colto” del regime berlusconiano, sono fuori dai gangheri. O meglio, vista la conversione “devota” del direttore, fuori dalla grazia di Dio. Che i vituperati “giustizialisti” adesso abbiano anche un quotidiano (che sopravvive, anzi prospera, senza le loro sovvenzioni di Stato, sia detto en passant), vada. Ma che gli odiosi “giustizialisti” pretendano di essere anche dei garantisti autentici, questo no, questo non è tollerabile. Prendiamoli in castagna, si devono essere detti a “Il Foglio”, smascheriamo le loro plateali contraddizioni.
Ecco dunque un bell’articolo che, con gran sbandieramento di citazioni di Marco Travaglio e del sottoscritto, dovrebbe ridicolizzare la convinzione, che ho ribadito nell’editoriale sull’assassinio del giovane Cucchi, secondo cui giustizialismo e garantismo vogliono dire “la legge – le garanzie e la severità – eguale per l’ultimo degli emarginati e il primo dei potenti”. Questa è infatti la nostra bussola. Su cui “Il Foglio” nulla sembra eccepire (e ci mancherebbe). Ma che verrebbe smentita da una serie di magagne. Eccole. Innanzitutto: Travaglio e il sottoscritto hanno condannato l’indulto, come fosse un inciucio sciagurato. Embè? In che senso togliere tre anni di pena, indiscriminatamente, sarebbe garantismo? In che senso, cioè, garantirebbe gli imputati contro indagini frettolose e altri abusi, e aumenterebbero le chance dell’accertamento della verità? Con questi due obiettivi, in cui effettivamente risiede il garantismo, e con rispetto parlando, poiché si tratta di problemi drammatici, l’indulto c’entra come i cavoli a merenda. Premia i condannati con sentenza definitiva (tre gradi di giudizio), rendendosi parente dell’impunità anziché del garantismo. Ma il sottoscritto i gradi di giudizio vuole ridurli a due, e il secondo solo nei casi di nuovi elementi o di palese violazione dei diritti dell’imputato. Esatto. E in che cosa ci perderebbe il garantismo? Moltiplicare i gradi di giudizio non aumenta le garanzie dell’imputato, aumenta le possibilità di chi può permettersi stuoli di avvocati e altre diseguaglianze rispetto all’ultimo degli emarginati. Un solo grado nel merito può addirittura responsabilizzare maggiormente i giudici, spingerli a una valutazione più certosina di tutte le prove, a una più stretta osservanza di un altro principio, che ho sempre difeso ma che a “Il Foglio” è sfuggito, “in dubio pro reo”.
Però, incalza “Il Foglio”, mi sarei macchiato di leso garantismo avendo sostenuto la “reintroduzione per la falsa testimonianza della severità di alcuni anni fa”, con l’aggiunta “di reati (da considerare gravi) di oltraggio alla Corte e ostruzione alla giustizia (manovre dilatorie eccetera)”. Sfugge, all’organo “colto” del regime delle leggi ad personam, che questa mia proposta è tratta di peso dall’ordinamento giuridico in assoluto più garantista, quello dove se una prova è stata assunta in modo irrituale anche il più efferato dei serial killer viene rimesso in libertà, il sistema americano. Che però, nei confronti della falsa testimonianza e di ogni manovra tesa a rallentare o sviare l’accertamento della verità, diventa implacabile. Quello che però deve avere spinto i “garantisti” de “Il Foglio” al gesto evangelicamente estremo dello “stracciarsi le vesti” è l’orrore per “l’introduzione del reato di riduzione in schiavitù, con ergastolo, per la tratta di prostitute dall’estero…”. In effetti, anche in preda a hybris da giustizialismo, come si può chiedere l’ergastolo per una bazzecola come la riduzione in schiavitù? Sarebbe anzi urgente una dose industriale di revisionismo storico, visto che per combattere lo schiavismo gli Stati Uniti di Lincoln accettarono di pagare il prezzo di una guerra civile tra le più sanguinose della storia. Revisionisti che dalle parti del regime non mancano certo.
Ma forse quello che ai devoti berlusconiani de “Il Foglio” davvero non va giù è la versione garantista ed egualitaria che ho sempre dato della “tolleranza zero” ogni volta che veniva invocata (a sproposito) dai maggiorenti leghisti, post fascisti, popoli della libertà e altri “garantisti” a corrente alternata: “Contrasto sistematico allo scippo della microcriminalità, ma guerra senza quartiere ai macroscippi della criminalità d’establishment: falso in bilancio, tangenti, voto di scambio…”. E il bello, anzi il mesto, è che questa frase il Foglio la riporta come prova regina del mio antigarantismo. In fondo, quello de “Il Foglio” non è un attacco, è una confessione. La confessione che nella loro neolingua di berlusconiani “colti” si scrive “garantismo” ma si pronuncia sempre e comunque “impunità” (per il potere e i suoi amici, ça va sans dire).

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