giovedì 19 novembre 2009

Il "natale bianco" che insulta tutti noi


di FRANCESCA COMENCINI


Caro direttore, leggo sui giornali dell'operazione "White Christmas", messa in atto dal sindaco di Coccaglio, che consiste nell'individuare, casa per casa, tutte le persone straniere non in regola e cacciarle, in vista del Natale. La notizia mi colpisce, non solo per l'idea di accoglienza, di cittadinanza e di cristianità che la sottende, ma anche perché Coccaglio è il luogo dove riposano i miei nonni, Cesare Comencini e Mimì Hefti Comencini. Per loro mi sento in obbligo di scrivere questa lettera.

Mia nonna, figlia di una famiglia svizzera tedesca, si innamorò di mio nonno Cesare e per sposarlo dovette combattere contro tutti i pregiudizi di cui gli italiani erano vittime nel suo paese. Gli svizzeri tedeschi non amavano gli italiani, li consideravano sporchi, primitivi, ne avevano paura, al massimo li impiegavano nelle loro fabbriche o per pulire le loro case. Ma mia nonna non cedette, si sposò con il suo Cesare e venne a vivere in Italia. Mio nonno era di origini modeste, ma con molti sacrifici era riuscito a laurearsi in ingegneria. Tuttavia in Italia non riusciva ad assicurare una vita sufficientemente degna a sua moglie, e ai loro due figli che nel frattempo erano nati, mio padre, Luigi, e suo fratello Gianni. Vivevano a Salò, dove gli affari andavano molto male. Un giorno mio nonno decise di emigrare in Francia, aveva sentito che lì si compravano terre a basso prezzo, perché i francesi abbandonavano la campagna, e per ogni due francesi c'era un italiano. Così partirono.

La loro vita in Francia non fu facile, i miei nonni, poco esperti dei lavori agricoli, dovettero imparare tutto. Nel suo libro, "Infanzia, vocazione e prime esperienze di un regista", mio padre racconta: "Ora riesce difficile immaginare com'era la nostra vita nelle campagne del Sud-ovest francese. Non avevamo né luce, né acqua corrente. Ma avevamo il pianoforte. Ogni sera, dopo cena, mio padre sedeva in poltrona, e, cullato dalla musica di mia madre, lentamente sprofondava nel sonno". A scuola, mio padre, che quando arrivò in Francia aveva sei anni, veniva sempre messo da solo all'ultimo banco, e regolarmente chiamato "Macaroni", come in Francia venivano chiamati gli immigrati italiani. Fu mio nonno Cesare a soffrire più di tutti per la lontananza dall'Italia. Mio padre ricorda che si era costruito una radio a galena, che tutte le sere si ostinava a cercare di far funzionare. Quando mio nonno si ammalò iniziò a dire "non voglio morire in Francia, non voglio morire in Francia". Così mia nonna lo riportò a casa, in Italia, da suo fratello, a Coccaglio.

Fu sepolto nel piccolo cimitero di Coccaglio, dove molti anni dopo lo raggiunse mia nonna, che dopo la sua morte era rimasta a vivere in Italia, a Milano. I miei nonni sapevano cos'è lasciare il proprio paese per poter lavorare, cos'è essere stranieri, sapevano cos'è la dignità da salvare, per sé e per i propri figli. Al funerale di mia nonna ricordo che mio padre lesse quel brano del Vangelo secondo Matteo in cui Gesù dice "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mia nonna era credente a modo suo, di religione Valdese. Ricordo un giorno, un venerdì santo, era venuta a trovarci a Roma per Pasqua, e io la trovai in camera sua, che piangeva piano e quando le chiesi perché mi rispose, asciugandosi in fretta gli occhi con il fazzoletto che teneva sempre nella manica del suo golfino: "Penso a Gesù, a come doveva sentirsi solo e impaurito nel giardino di Getsemani". I miei nonni riposano nel cimitero di Coccaglio, che non è solo la casa di chi provvisoriamente ne amministra il comune in questi anni, ma è stata anche la loro, e quindi ora è un po' la mia e di tanti altri, che, come me, discendono da chi ha dovuto lasciare l'Italia per lavorare, con fatica, dolore, umiliazione. E sono sicura che i miei nonni, se potessero alzarsi e sorgere dalla memoria, condannerebbero chi ha osato inventare l'operazione "White Christmas". A nome loro, tramite queste righe, lo faccio io.

(19 novembre 2009)

4 commenti:

Bob Bulgarelli ha detto...

"Da noi non c'è criminalità" dice il sindaco...
Ah, ora capisco: allora è per ciò che si da un bel calcio nel sedere all'immigrato, probabilmente senza neppure valutare, caso per caso, se si possa soprassedere, e quindi dare una chance a chi è in difficoltà. Guai a chi si mostra comprensivo con un poveraccio : del resto questa è la lega nord.
Non ho parole!
Ciao_
Roby

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

grazie Roby, bellissima e dolente lettera di una donna ancora, per sua e nostra fortuna, capace di indignazione per l'ennesima porcata di questi sporchi trudici disgustosi individui.

Mela Rossa ha detto...

La cosa che fa più male è sapere che la maggior parte degli abitanti di quel paese (ma ce ne sono tanti altri nelle stesse condizioni...) approveranno sicuramente, a partire dai molti bigotti frequentatori di chiese e oratori.

E' sempre molto doloroso leggere cose di questo genere.

Basterebbe un piccolo aiuto, una piccola buona parola, un sorriso...in genere nei paesi si sta tutti bene, la maggior parte degli abitanti di quel paese (come pure di altri paesi) sicuramente passerà il Natale fra Messe Solenni, tavolate, regali e magari anche con viaggetto finale...che male ci sarebbe a dare quell'aiuto minimo a persone che sono venute da noi a chiedercelo?

Stanno sempre a parlare di sicurezza, sicurezza, sicurezza....ma da chi e da che cosa ci dobbiamo proteggere?
Io l'unica paura che ho, quando esco in paese di giorno o di sera, è che qualche balordo o sballato di turno mi possa investire con l'auto...questo si che è veramente un problema di sicurezza al giorno d'oggi!!! Guidano nei paesi come di forsennati, e non parlo di immigrati...loro girano in bici o a piedi!

Molto toccante la lettera della Comencini.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

MOLTO TOCCANTE IL TUO COMMENTO, MELA. GRAZIE.