Le migliori menti giuridiche del Pdl si stanno affannando sul “processo breve”, cercando una formula che tiri fuori dai guai Berlusconi, che non mandi al macero centinaia di migliaia di processi e che il presidente della Repubblica possa firmare senza rilevare palesi profili di incostituzionalità. Nel frattempo una della premiata ditta B&C, Margherita Boniver di cui, per la verità, non si conosce una spiccata preparazione giuridica, ha presentato una proposta di legge costituzionale per il ripristino dell’immunità parlamentare. Con ciò segnando il record dell’unica proposta di legge in materia di giustizia penale proveniente da B&C non criticabile sotto il profilo costituzionale; e rendendo in un sol colpo inutile tutto l’armamentario pro Berlusconi, dal lodo Schifani all’ultima pagliacciata, il “processo breve”.
Per capire di cosa si tratta vi raccomando di andarvi a rivedere un vecchio film, “Scaramouche” (le attrici erano Eleanor Parker e Janet Leigh, non so quale fosse più bella). Il film si svolge in Francia, poco prima della Rivoluzione francese. Scaramouche (che è Stewart Granger) accetta di farsi nominare deputato all’Assemblea nazionale dove spera di incontrare il suo nemico, marchese De Maynes, che è fermamente deciso ad ammazzare. L’Assemblea è costituita da deputati provenienti dall’aristocrazia e da altri provenienti dalla borghesia; e gli aristocratici che non vogliono i borghesi tra loro, ma non sanno come fare a liberarsene perché tutti i deputati godono dell’immunità, li sfidano a duello e li ammazzano. Scaramouche è un bravissimo spadaccino e… ma a questo punto andatevi a vedere il film.
Ecco, è in situazioni di questo genere che nasce e si consolida l’istituto dell’immunità parlamentare: quando il Parlamento è in contrasto con la classe dirigente del paese, che vede minacciate le sue prerogative e i suoi privilegi. E infatti l’immunità nasce in Inghilterra nel XVI secolo, quando la Camera dei Comuni doveva difendersi dal Re che mal sopportava limiti al suo potere sovrano.
Naturalmente le cose sono cambiate e i governi oggi sono l’espressione dei parlamenti che li nominano, sicché l’immunità parlamentare ha perso ogni ragione di esistere: il Parlamento non deve temere più il governo; e l’immunità non difenderebbe comunque la minoranza poiché l’autorizzazione a procedere sarebbe sempre decisa dalla maggioranza. E tuttavia l’immunità resiste in quasi tutti i paesi e anche la nostra Costituzione la prevedeva all’articolo 68: “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene , nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare”.
Diciamo subito che, come tutti sanno, nel 1993, sull’onda dell’indignazione popolare per il diniego di autorizzazione a processare Craxi che si era illegalmente rimpinguato di quattrini, la Costituzione fu cambiata e ora l’autorizzazione parlamentare è necessaria solo per arresto e perquisizione, non più per il processo penale. Ecco, la geniale Margherita Boniver propone di ripristinarla. Le riuscisse, sarebbe un colpo da maestro.
Il punto è che l’articolo 68 della Costituzione non precisa quali sono i criteri che il Parlamento deve seguire per concedere o negare l’autorizzazione; una cosa del tipo: in questo caso sì, in quest’altro no. Quasi tutti i costituzionalisti hanno detto che occorre il fumus persecutionis: il Parlamento dovrebbe accertare se il parlamentare è processato per ragioni connesse al suo impegno politico; ovvero se si tratta di un comune delinquente; nel primo caso l’autorizzazione non dovrebbe essere concessa, nel secondo sì. Ciò perché, dicono i costituzionalisti, questo è l’unico criterio rispettoso del fondamento dell’immunità: la difesa dell’impegno politico del parlamentare. Fuori di questi casi, si violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
Giusta o no che sia l’opinione dei costituzionalisti, sta di fatto che il Parlamento italiano se ne è sempre sovranamente (è il caso di dirlo) infischiato. Il professor Chieppa, presidente della Corte Costituzionale dal 2002 al 2004, ha riassunto ne “Le prerogative parlamentari” le più frequenti motivazioni con cui sono state respinte le richieste di autorizzazione a procedere. Trattasi di reato politico; ma, secondo Simon Denis Brown, giudice della High Court of Justice che respinse il ricorso di Fininvest contro la rogatoria del pool di Milano per le tangenti di 10 miliardi a Craxi, non si può parlare di reati politici solo perché “si fa riferimento a contributi alla politica… sembra piuttosto un reato contro la legge ordinaria, che è stata promulgata per garantire un corretto ordinamento del processo democratico… reato in nulla diverso, diciamo, dal votare due volte alle elezioni… Non accetto in nessun modo che… smascherare e punire la corruzione nella vita pubblica e politica… operi in modo tale da trasformare i reati in questione in reati politici”. Trattasi di reato lieve; quindi i parlamentari potrebbero essere processati solo per reati gravi; se il politico non paga gli alimenti alla moglie forse non sarà il caso di procedere; e se investe qualcuno con la macchina? e se accoltella qualcuno? e poi, i reati sono gravi allo stesso modo per tutti i parlamentari?
Altro criterio che ha avuto recentemente molto successo: non bisogna distrarre il parlamentare dalla sue funzioni. In effetti ormai sappiamo bene che, se il parlamentare coltiva hobby che gli fanno passare le notti in bianco si ritempra (ma non si distrae); se invece deve andare ogni tanto in udienza come imputato si distrae e basta. Bisogna tener conto della posizione politica del parlamentare, che non sia particolarmente rappresentativa; dunque il deputato di serie B lo processino pure; ma quello di serie A…
Bisogna tener conto delle reazioni dell’opinione pubblica: perché, si sa, i cittadini sono sconvolti dall’apprendere che un fiero delinquente, processato e condannato, sedeva in Parlamento; mentre, se sanno che un fiero delinquente, che non si fa processare e condannare, continua a essere pagato per restare in Parlamento, dormono sonni tranquilli.
Infine il criterio più stupido di tutti: è innocente. Come se il Parlamento potesse sostituirsi al tribunale. Come si vede, e per dirla in modo elegante, tutte balle. C’è però un punto fondamentale. La Costituzione non dice che il Parlamento deve motivare in maniera ragionevole e corretta la concessione o il diniego dell’autorizzazione a procedere; anzi non dice nemmeno che occorre una motivazione. Ecco perché Margherita Boniver, forse senza saperlo, potrebbe aver trovato l’arma finale: ripristinata l’autorizzazione a procedere, B&C potrebbero dire: non diamo il permesso di processare B. Perché? Cazzi nostri.
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