Diana Blefari Melazzi era pronta a collaborare con la giustizia. E' quanto emerge da alcune indiscrezioni secondo cui la brigatista, che sabato sera si è tolta la vita nel carcere romano di Rebibbia, aveva avuto il giorno stesso un colloquio con gli investigatori. Colloquio che non sarebbe l'unico di questi ultimi tempi. Alla Blefari Melazzi nei giorni scorsi era stata confermata definitivamente la condanna all'ergastolo per aver preso parte all'omicidio del giuslavorista Marco Biagi.
«SUICIDIO ANNUNCIATO» - Era in una cella singola, Diana Blefari Melazzi, e si è uccisa impiccandosi con delle lenzuola annodate. «Una morte annunciata», ha detto subito il presidente dell'associazione Antigone, Patrizio Gonnella, che si batte per i diritti nelle carceri. «Aveva senso tenere in carcere una persona che stava così male?». Perchè da tempo Blefari «schizofrenica e inabile psichicamente», passava le sue giornate, come ricorda il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, «in completo isolamento, in una cella singola, per la maggior parte del tempo a letto e al buio rifiutando spesso cibo e medicine», senza rapporti con altre detenute e operatrici volontarie.
L'ARRIVO DA FIRENZE - Blefari dal 21 ottobre era arrivata dal carcere fiorentino di Sollicciano dopo essere passata anche nell'ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino e nel penitenziario dell'Aquila. «Siamo sotto choc, abbiamo fatto tante battaglie, abbiamo cercato in tutti i modi di far riconoscere il profondo disagio di Blefari. Ora è troppo tardi», ha detto il suo avvocato Caterina Calia, difensore, insieme con l'avvocato Valerio Spigarelli. Il legale ricorda le numerose perizie psichiatriche a cui era stata sottosposta la terrorista per verificare la sua capacità di stare in giudizio. Secondo la difesa, Blefari soffriva di una grave patologia psichica e più volte le stesse difese avevano sollecitato il riconoscimento di tale situazione. Ultimamente sia la Corte di Cassazione sia nei mesi scorsi il gup del tribunale di Roma, avevano respinto tali istanze. Nel 2008 la brigatista in un momento di particolare tensione emotiva aggredì un agente di polizia penitenziaria e il 23 novembre prossimo sarebbe dovuto cominciare il processo.
L'INCHIESTA E L'AUTOPSIA - La morte della Blefari arriva quando forse la terrorista aveva deciso di svelare elementi ritenuti utili agli investigatori per far luce sugli omicidi D'Antona e Biagi e giungere alla individuazione di altri personaggi coinvolti nelle Nuove Brigate Rosse. Avrebbe potuto svelare molti punti oscuri dell'organizzazione a cominciare dalle armi e dal nascondiglio dove sarebbero state celate, compresa la pistola usata per uccidere Biagi e D'Antona. Il pm Maria Cristina Palaia ha aperto un fascicolo senza indagati e ha disposto l'autopsia. La procura di Roma potrebbe riesaminare l'intero iter giudiziario della Blefari in considerazione della sua presunta patologia psichica, come emerso in questi anni dalle numerose richieste di consulenze. Intanto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha annunciato di aver «già avviato una puntuale e attenta inchiesta amministrativa che affiancherà quella giudiziaria» così da «fare immediatamente luce sull'accaduto».
IL CASO PAPINI - La brigatista doveva rispondere nei prossimi giorni, in particolare, alle domande del pm Erminio Amelio, su Massimo Papini arrestato il 2 ottobre scorso dalla Digos. Papini, 34 anni, romano, era stato arrestato con l'accusa di partecipazione a banda armata delle Br-partito comunista combattente. Per gli investigatori sarebbe stato legato a Blefari e l'avrebbe accompagnata all'internet point dove la donna fece partire la rivendicazione dell'omicidio Biagi. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha avviato un'inchiesta amministrativa, sottolineando che Blefari era «in una situazione carceraria compatibile con le sue condizioni psicofisiche». Anche il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che si è recato a Rebibbia, ha detto che la «sistemazione» della terrorista «era corretta».
COMPASSIONE E RAMMARICO - «Provo compassione, perchè comunque una persona si è tolta la vita - è stato il commento di Franco Gabrielli, prefetto dell'Aquila ed ex capo della Digos di Roma ai tempi dell'arresto della brigatista -. Ma analogamente provo rammarico perchè, con la morte della Blefari, della brigatista Blefari, che era a conoscenza di dove erano state nascoste le armi che non furono trovate in via Montecuccoli, sicuramente si recide una possibilità che dia risposta a questo quesito». «Se è possibile riassumere la definizione di una persona con un solo termine - ricorda poi Gabrielli -, direi che la Blefari era problematica. Tutta la sua storia pregressa familiare, poi tutte le vicende successive, la sua stessa posizione nelle fasi processuali, fanno emergere una innegabile problematicità, ma non si poteva pensare che la sua condizione potesse preludere a un epilogo del genere».
01 novembre 2009
«SUICIDIO ANNUNCIATO» - Era in una cella singola, Diana Blefari Melazzi, e si è uccisa impiccandosi con delle lenzuola annodate. «Una morte annunciata», ha detto subito il presidente dell'associazione Antigone, Patrizio Gonnella, che si batte per i diritti nelle carceri. «Aveva senso tenere in carcere una persona che stava così male?». Perchè da tempo Blefari «schizofrenica e inabile psichicamente», passava le sue giornate, come ricorda il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, «in completo isolamento, in una cella singola, per la maggior parte del tempo a letto e al buio rifiutando spesso cibo e medicine», senza rapporti con altre detenute e operatrici volontarie.
L'ARRIVO DA FIRENZE - Blefari dal 21 ottobre era arrivata dal carcere fiorentino di Sollicciano dopo essere passata anche nell'ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino e nel penitenziario dell'Aquila. «Siamo sotto choc, abbiamo fatto tante battaglie, abbiamo cercato in tutti i modi di far riconoscere il profondo disagio di Blefari. Ora è troppo tardi», ha detto il suo avvocato Caterina Calia, difensore, insieme con l'avvocato Valerio Spigarelli. Il legale ricorda le numerose perizie psichiatriche a cui era stata sottosposta la terrorista per verificare la sua capacità di stare in giudizio. Secondo la difesa, Blefari soffriva di una grave patologia psichica e più volte le stesse difese avevano sollecitato il riconoscimento di tale situazione. Ultimamente sia la Corte di Cassazione sia nei mesi scorsi il gup del tribunale di Roma, avevano respinto tali istanze. Nel 2008 la brigatista in un momento di particolare tensione emotiva aggredì un agente di polizia penitenziaria e il 23 novembre prossimo sarebbe dovuto cominciare il processo.
L'INCHIESTA E L'AUTOPSIA - La morte della Blefari arriva quando forse la terrorista aveva deciso di svelare elementi ritenuti utili agli investigatori per far luce sugli omicidi D'Antona e Biagi e giungere alla individuazione di altri personaggi coinvolti nelle Nuove Brigate Rosse. Avrebbe potuto svelare molti punti oscuri dell'organizzazione a cominciare dalle armi e dal nascondiglio dove sarebbero state celate, compresa la pistola usata per uccidere Biagi e D'Antona. Il pm Maria Cristina Palaia ha aperto un fascicolo senza indagati e ha disposto l'autopsia. La procura di Roma potrebbe riesaminare l'intero iter giudiziario della Blefari in considerazione della sua presunta patologia psichica, come emerso in questi anni dalle numerose richieste di consulenze. Intanto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha annunciato di aver «già avviato una puntuale e attenta inchiesta amministrativa che affiancherà quella giudiziaria» così da «fare immediatamente luce sull'accaduto».
IL CASO PAPINI - La brigatista doveva rispondere nei prossimi giorni, in particolare, alle domande del pm Erminio Amelio, su Massimo Papini arrestato il 2 ottobre scorso dalla Digos. Papini, 34 anni, romano, era stato arrestato con l'accusa di partecipazione a banda armata delle Br-partito comunista combattente. Per gli investigatori sarebbe stato legato a Blefari e l'avrebbe accompagnata all'internet point dove la donna fece partire la rivendicazione dell'omicidio Biagi. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha avviato un'inchiesta amministrativa, sottolineando che Blefari era «in una situazione carceraria compatibile con le sue condizioni psicofisiche». Anche il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che si è recato a Rebibbia, ha detto che la «sistemazione» della terrorista «era corretta».
COMPASSIONE E RAMMARICO - «Provo compassione, perchè comunque una persona si è tolta la vita - è stato il commento di Franco Gabrielli, prefetto dell'Aquila ed ex capo della Digos di Roma ai tempi dell'arresto della brigatista -. Ma analogamente provo rammarico perchè, con la morte della Blefari, della brigatista Blefari, che era a conoscenza di dove erano state nascoste le armi che non furono trovate in via Montecuccoli, sicuramente si recide una possibilità che dia risposta a questo quesito». «Se è possibile riassumere la definizione di una persona con un solo termine - ricorda poi Gabrielli -, direi che la Blefari era problematica. Tutta la sua storia pregressa familiare, poi tutte le vicende successive, la sua stessa posizione nelle fasi processuali, fanno emergere una innegabile problematicità, ma non si poteva pensare che la sua condizione potesse preludere a un epilogo del genere».
01 novembre 2009
1 commento:
QUESTO EPISODIO DIMOSTRA COME L'ORGANIZZAZIONE INTERNA DI CARCERI DI NOTEVOLI DIMENSIONI SI SIA NEL TEMPO SFILACCIATA FINO A CONSENTIRE AD UNA TERRORISTA, CONDANNATA ALL'ERGASTOLO IN VIA DEFINITIVA, CHE AVEVA ESPRESSO LA VOLONTA' DI COLLABORARE PER SVELARE IL TESSUTO ORGANIZZATIVO SUL TERRITORIO DELLE NUOVE BRIGATE ROSSE, DI TOGLIERSI LA VITA CON TANTA PRECISIONE E TEMPESTIVITA', MENTRE LA STESSA DOVEVA ESSERE VERAMENTE SORVEGLIATA A VISTA ININTERROTTAMENTE.
ERA UN FONTE PREZIOSISSIMA DI INFORMAZIONI, CHE SI E' DISSECCATA PRIMA DI INIZIARE A SCORRERE.
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA ALFANO E IL CAPO DEL DIPARTIMENTO IONTA NON SI FANNO SCRUPOLO DI ESPORSI AL RIDICOLO CON LE LORO FUMOSE ED INCONSISTENTI DICHIARAZIONI.
IN 40 ANNI DI SERVIZIO (SONO UN EX DIRETTORE DI CARCERE) NON HO MAI AVUTO AI VERTICI UNA ACCOPPIATA COSI' DISASTROSA, A VOLTE ERA PESSIMO IL MINISTRO, A VOLTE IL CAPO DELLE CARCERI MA MAI TUTTI E DUE ASSIEME COME OGGI.
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