Le risposte di Silvio Berlusconi alle domande di Repubblica arrivano con mesi di ritardo, sono ancora incomplete, evasive. Ma rappresentano comunque "una vittoria della libera informazione", secondo Denis Olivennes, direttore del Nouvel Observateur. "Alla fine, il Cavaliere ha dovuto riconoscere che quelle domande erano legittime e pertinenti" spiega il responsabile del settimanale francese che ha ripubblicato integralmente le 10 domande. "Ora sarebbe importante che permettesse ai giornalisti di approfondire le sue risposte e che abbandonasse le cause in tribunale contro i media".
Soddisfatto il direttore dell'Independent, Roger Alton. "E' una grande notizia che la coraggiosa campagna di Repubblica sia riuscita a ottenere questo risultato". Anche secondo Javier Morano, direttore del Paìs, "è un segnale positivo vedere che Silvio Berlusconi ha finalmente deciso di rispondere". Rimane un problema di metodo. "Parlare per interposta persona - dice Morano - senza dare la possibilità né di replicare né di porre altre domande, rappresenta abbastanza bene la concezione che il primo ministro italiano ha del rapporto tra potere e cittadini". Inoltre, fa notare Wolfgang Krach, vicedirettore della Sueddeutsche Zeitung, le risposte affidate a Bruno Vespa sono insufficienti: "Alla domanda se è ricattabile non basta dire "No, lo escludo"".
Un atto dovuto, secondo il direttore dell'austriaco Der Standard. "In qualsiasi sistema democratico - spiega Oscar Bronner - il governo deve rispondere alle domande dei giornalisti". Gran parte della stampa straniera ribadisce le preoccupazioni sull'informazione in Italia. Il direttore di Le Monde, Eric Fottorino, "prende atto" di questo cambio di strategia del premier ma ricorda che "prima ha tentato di indebolire e screditare Repubblica e altri media italiani soltanto perché facevano il loro dovere". "Le risposte di Berlusconi a Repubblica sono un fatto positivo - aggiunge Rafael Nadal, direttore del Periodico de Catalunya - ma la libertà d'espressione e il diritto ad essere informati rimangono sotto minaccia".
Laurent Joffrin, cita un celebre slogan sessantottino: "E' solo l'inizio, la battaglia deve continuare". Il direttore di Libération, che aveva fatto tradurre le 10 domande sul suo giornale, guarda avanti. "Bisogna mantenere la pressione in Italia e all'estero". Philippe Thureau-Dangin, direttore di Courrier International, fa un confronto con le recenti polemiche sulla candidatura di Jean Sarkozy alla guida del quartiere d'affari della Défense. "Anche in questo caso i commenti della stampa straniera sono stati decisivi e hanno costretto il presidente a fare marcia indietro su suo figlio". In America, Roane Carey, managing editor del settimanale The Nation, è ironico: "Rispondere alle domande dei giornalisti è almeno meglio che denunciarli". "Arriva però in ritardo - puntualizza Carey - e resta prevedibilmente evasivo, fa semplici negazioni". Dello stesso parere Béatrice Delvaux, direttore del quotidiano belga Le Soir. "Risposte talmente poco serie che offendono la democrazia".
Eppure c'è chi prende spunto da questo piccolo "cedimento" di Berlusconi per essere ottimista. "Quando un giornale costringe il primo ministro a rispondere, suo malgrado, alle domande che vengono dalla società - osserva Viktor Loshak direttore del settimanale russo Ogonjok - siamo di fronte a una grande vittoria per tutto il giornalismo".
(6 novembre 2009)
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