sabato 14 novembre 2009

L’IMMUNITÀ PER L’IMPUNITÀ


di Massimo Fini


Margherita Boniver, ex protagonista dei salotti della Milano-bene, ex craxiana di ferro, che sotto le bandiere del Garofano fece una fulminante carriera politica (ministro per l’Immigrazione, 1991, ministro per il Turismo, 1992) senza avere particolari titoli se non la sua avvenenza (allora era una novità), poi riciclatasi con Berlusconi per il quale è stata sottosegretario agli Esteri, ma passata alla storia perché una volta, a Pontida, Umberto Bossi, quando era ancora lui, la apostrofò così: “E io dico alla bonazza: ehi, biondazza, pigliati questo manico!”, ha presentato una proposta di legge per reintrodurre l’immunità parlamentare, abolita nel 1993 nel pieno della bufera di Mani Pulite.
Per la verità residui di quei privilegi esistono ancora: per arrestare o perquisire un parlamentare ci vuole l’autorizzazione delle Camere.
Altri ne sono stati aggiunti: l’autorizzazione ci vuole anche per le intercettazioni telefoniche del parlamentare, norma ridicola se ce n’è una (è come avvertire il ladro che si sta arrivando per arrestarlo). Però oggi il parlamentare può essere indagato senza che ci sia la preventiva autorizzazione delle Camere, processato ed eventualmente condannato.
Il punto forte di chi chiede il ritorno integrale dell’immunità (la Boniver è solo l’apripista) è che era prevista dalla Costituzione, all’articolo 68. Ma quando nel 1948 i Padri costituenti decisero a favore dell’immunità, per garantire ai rappresentanti del popolo il sereno e libero esercizio delle loro funzioni, avevano in mente una classe politica molto diversa, di moralità ottocentesca, dei tempi in cui un ministro si suicidava per la vergogna perché accusato di aver portato via un po’ di cancelleria dal suo ufficio. Allora aveva senso tutelare il parlamentare da iniziative avventate della magistratura. Ma con una classe dirigente corrotta come l’attuale, che pratica sistematicamente, sia a livello di singoli sia di partito, la tangente, il “pizzo”, la concussione, il ricatto, il clientelismo più spudorato in cambio di assoggettamenti di tipo feudale, che è abbondantemente collusa con le varie mafie, la reintroduzione integrale dell’articolo 68, che prevedeva, oltre a tutto il resto, che anche per mettere in gattabuia il parlamentare condannato con sentenza definitiva fosse necessario il consenso dei suoi colleghi, si risolverebbe in una sorta di autorizzazione a delinquere.
Dell’articolo 68 va ripristinato solo il primo capoverso: “I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
Oggi un’immunità generalizzata, estesa a tutti i reati, servirebbe infatti a scopi ben diversi da quelli per cui era stata concepita. Servirebbe a garantire non la funzione del rappresentante del popolo, ma la sua personale corruzione assicurandogli un’impunità inammissibile, iniqua e insultante per gli altri cittadini che devono rispettare quelle leggi che costoro si ritengono in diritto di violare senza rischi.
www.massimofini.it

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