"Ma perché dovrei rinunciare. Per fare un favore a qualcuno?". Ineffabile, impassibile, Nicola Cosentino puntava su Palazzo Santa Lucia a qualunque costo. E da Napoli continuava a condurre, quasi fosse una partita a scacchi con gli imprimatur ora solenni ora confusi di Roma, la sua silenziosa campagna elettorale. Paese per paese, cerimonia per cerimonia, un pezzo di regione alla volta. Fino a ieri pomeriggio, il sottosegretario all'Economia e leader regionale del Pdl in Campania, ormai ufficialmente sospettato di aver favorito gli interessi, ed in particolare il business dei rifiuti della cosca mafiosa dei Casalesi, ha dato ordini ai suoi sodali: "Andiamo avanti, non disperdiamoci. Chi sono questi pentiti? Chi lo dice che mi devono arrestare? Non c'è motivo per fermarmi. La gente mi conosce, mi voterà".
L'ultima sfida l'aveva lanciata sabato scorso: "Allora, quante ore mi date ancora, di libertà?" domandava tra lampi di ironia e prevedibili esorcismi. Era seduto su un divano rosso capitonné, l'altra mattina: e aveva appena chiuso un convegno nella sala di rappresentanza di un mega-centro di scuole private, in un comune dell'hinterland vesuviano, Poggiomarino, dove il corteo di notabili era in coda per stringergli la mano e assicurare appoggio.
Aveva un bel dire, o' Mericano, che la sua partita doveva giocarsela ormai fino in fondo. Il soprannome gli deriva dagli affari che suo padre strinse con gli statunitensi, dopo la guerra, nella vendita di petrolio. Ora i fratelli di Cosentino guidano un colosso nella distribuzione di gas. Qualcuno è anche imparentato con esponenti di spicco dei Casalesi. Motivi non sufficienti a fermare le ambizioni di Nicola: già giovane avvocato nello studio prestigioso del professor Gasparrini a Napoli; poi impegnato in politica, nei socialdemocratici; infine uomo di punta di Forza Italia nel Casertano.
Non poteva mollare proprio adesso, Nicola, a cinquant'anni. Doveva battersi. Contro tutti i tentativi di fronda. Contro il "partito" trasversale della questione morale. Ora che il giudice per le indagini preliminari di Napoli ha depositato alla Camera una richiesta di custodia in carcere con l'infamante accusa di "concorso esterno in associazione mafiosa", ne fa le spese non solo la sua corsa come candidato governatore del centrodestra - proposta, peraltro, avversata solo dal presidente della Camera Fini, mai da Berlusconi, né dai tre coordinatori del partito. "Può restare sottosegretario, un politico gravato da tali sospetti?", è il tema che lancia ora, dalla Commissione parlamentare antimafia, l'esponente del Pd Luisa Bossa.
Ora che il gip ha inviato la sua decisione a Montecitorio, assumono un suono sinistro le parole pronunciate da Cosentino in quel 27 settembre nel salone sontuoso del Reggia Palace di Caserta, unico moto di stizza. "La candidatura? Non la possono scegliere i frocetti di Roma", si lasciò sfuggire il sottosegretario quel giorno, aprendo ufficialmente le ostilità con il suo "nemico" Italo Bocchino.
Sei pentiti di camorra hanno fornito il materiale su cui il giudice di Napoli ha fondato la sua richiesta di arresto, dopo l'accurato lavoro del pool antimafia della Procura. Ma Cosentino, da questo orecchio, non ha voluto mai sentire. "Io so soltanto che non ho ricevuto avviso di garanzia, e che, dopo le indiscrezioni giudiziarie di un anno fa, ho chiesto ai magistrati di essere ascoltato. Vanamente". Ha sempre preferito un altro linguaggio, Cosentino: quello dei consensi, del riscontro nelle urne. "Il partito è cresciuto in Campania grazie a me. Vinciamo da quando ci sono io, abbiamo 137 sindaci, tre Province e questo è un fatto. A Roma non possono non tenerne conto", aveva sempre obiettato ai nemici interni ed esterni al partito, giustificando così l'inelegante uscita contro Bocchino.
Tetragono, il sorriso immutabile dietro gli occhiali leggeri, un self control esibito in queste settimane con particolare solerzia. "Io vado avanti", è stato lo slogan del politico nato a Casal di Principe, comunità che ha contribuito all'elezione, alle ultime politiche, di altri due parlamentari casalesi. "Ma contro di me c'è un pregiudizio etnico" si è ribellato Cosentino. L'ultima chiamata alle armi è di ieri mattina, quando il segretario regionale ha convocato una riunione nella sede del Pdl di piazza Borsa, a Napoli - la stessa dove, un mese fa, misteriosi teppisti scaricarono sulla porta del Pdl una notevole quantità di liquami. E per placare le voci dirompenti sulla richiesta del carcere ha rassicurato i parlamentari: "Passerà tutto, sono sereno. Vedrete, anche Fini si calmerà. E noi staremo tranquilli".
(10 novembre 2009)
1 commento:
SEMBRA LA DESCRIZIONE DI UN MODERNO CAPOMAFIA.
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