venerdì 20 novembre 2009

Qui lo dico e qui lo nego


di Oliviero Beha


Col senno di poi e della cronaca del giorno dopo non era difficile: bastava aggiungere ai pezzi e ai commenti sull’uscita del presidente del Senato, Schifani, in direzione di elezioni anticipate brandite come una mazza contro Fini, una parentesi sincronica di questo tipo (“tanto oggi mentre leggete Berlusconi avrà smentito tutto”). Non ci voleva un negromante, bastava l’esperienza di tutti questi anni berlusconiani in cui a dire il vero il premier plutocrate è molto migliorato nella comunicazione, elevando a sistema il “qui lo dico e qui lo nego”.
I giochetti con Feltri, suo abilissimo bombardiere di riferimento, sono in questo senso da manuale.
Tutto bene, dunque? Basta non prenderlo sul serio? Basta anticiparlo attribuendogli sempre e contestualmente il contrario? Una faretra di bugie, smentite, contraddizioni e qualche freccetta di verità loro mischiata?
E no, non è così semplice, l’apparenza inganna, il punto è proprio questo.
Tutto ciò non lascia indenne la comunicazione politica, la trasforma progressivamente in un fumetto, quelle nuvolette dei cartoon fisicamente staccate dai protagonisti.
Insomma, Berlusconi è riuscito a nullificare qualunque tipo di informazione verbale, appunto dissolta dal “dico-non dico” che ormai arriva alle orecchie e agli occhi di chiunque come se non contasse affatto.
Conta chi profferisce il verbo, cioè fisicamente lui, attore consumato in tutti i sensi del palcoscenico Italia.
Per carità, nessuno ha intenzione di difendere le mille ipocrisie dei suoi avversari all’opposizione che Di Pietro a parte vanno di spadino e di veleni comunicazionali mentre lui usa il bazooka.
Per carità, nessuna nostalgia del “politichese” della Prima Repubblica in cui non si capiva nulla ma chi doveva capire capiva eccome.
Qui siamo da un pezzo al “calcese”, cioè le dichiarazioni dei calciatori tanto ambite dai tifosi quanto povere di significato “per costituzione”.
Il supercalcese di Berlusconi è uno stadio ulteriore: ha ucciso semanticamente la parola, l’ha svuotata, l’ha lasciata come un guscio senza ostrica. Sottintendendo sempre che l’ostrica c’è, ed è naturalmente lui.
Domanda: come si potrà ricostruire un rapporto decente tra la nostra classe politica e la parola, e un minimo di fiducia e credibilità degli elettori, e un’attenzione che non sia del tutto calcisticizzata e tifoide?
E quando accadrà? Tra una generazione? Basterà?

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