mercoledì 30 dicembre 2009

IL MINISTRO CHE NON LASCIA OMBRA


di Stefano Citati ed Emanuele Piano

È periodo di vacanze e ancora un volta quelle del ministro degli Esteri vengono funestate dai problemi mondiali. Ma Franco Frattini non sembra farsi dettare l’agenda internazionale, in primis il rapimento dei due italiani in Mauritania e le rivendicazioni di gruppi legati alle emanazioni di Al Qaeda in Africa.
“Trattare non si può”, sosteneva lunedì il ministro degli Esteri italiano e allungava così i tempi della vicenda.
Se la risposta ai terroristi non può essere la disponibilità a discutere richieste (di denaro o più politiche, come la liberazione di prigionieri) gli altri mezzi nelle mani della diplomazia passano per canali sotterranei e non ufficiali: i servizi segreti potrebbero essere all’opera nell’area del sequestro per raccogliere informazioni, magari con l’appoggio dei colleghi che in quelle zone sono più di casa (Francia e Spagna).
Non si può escludere che la vicenda di Sergio Cicala e la moglie possa essere risolta con una cifra in denaro da far avere indirettamente ai sequestratori come pare sia accaduto in passato in altre aree del mondo (senza nulla di ufficiale: si fa ma non si dice - ultimo esempio le elargizioni ai capi villaggio nelle aree di dispiegamento del contingente italiano in Afghanistan, rivelate dal britannico Times e smentite); non è da escludere che anche altri Paesi dall’immagine più inflessibile e integerrima dell’Italia non lo abbiano utilizzato in passato.
Ma, anche fosse solo a copertura di una trattativa parallela e non ufficiale, un coinvolgimento e impegno diretto con le autorità mauritane dovrebbe avvenire solo tra qualche giorno: Frattini ha annunciato che si recherà in Mauritania solamente agli inizi di gennaio, senza specificare la data, e senza fornire dettagli che “metterebbero altamente a rischio la vita dei nostri connazionali”, ma sostenendo che sono stati attivati tutti i “canali” e i “contatti”.
Un atteggiamento di prudenza forse eccessivo, che finisce per dare l’impressione di come ancora una volta il ministro sia preso in contropiede dagli eventi.
Durante la guerra in Georgia nell’agosto 2008 ha seguito l’invasione dei carri armati russi per telefono dalle Maldive assieme a ‘Lady Farnesina’, l’estetista Chantal Sciuto (poi scaricata via sms nel febbraio scorso e dopo nota ufficiale del ministero).
Durante l’invasione di Gaza nel gennaio scorso il Tg1 lo intervistava in tuta da sci.
Perché il 52enne romano (studi al liceo Giulio Cesare, militanza giovanile nell’estrema sinistra, poi socialista, patito dello sci al punto da diventare il maestro dei figli di Berlusconi e poi laurea in giurisprudenza: un ‘secchione’ “che dedicava molto tempo allo studio; un ragazzo posato che all’epoca non sembrava un predestinato”, secondo le parole di un suo amico d’infanzia) è un globe-trotter: in poco più di anno e mezzo ha, secondo il suo Twitter, collezionato 28 giri del mondo.
Ma, come detto, l’iper-attivismo non gli ha impedito di marcare assenza all’appello in alcuni dei momenti chiave della politica internazionale della quale ha proprio ieri definito le priorità: crisi regionali come Afghanistan e Iran; sfide globali come terrorismo e ambiente; rilancio dell’Ue (di cui è stato Commissario europeo) e affermazione dei diritti umani.
Epperò la gestione dei dossier più scottanti e fondamentali (anche dal punto di vista economico) sembra sempre essere schiacciata e resa in qualche modo evanescente dall’iperattivismo del suo superiore: Silvio Berlusconi che ha sempre trattato in prima persona e in modo molto personale i rapporti con i principali partner mondiali (a iniziare dal rapporto speciale con Putin alla grande partita sulle forniture di greggio); a Frattini, il più giovane ministro degli Esteri della storia italiana, è rimasto spesso il ruolo di portavoce, di puntualizzatore della politica internazionale, senza mai uscire dall’ombra ingombrante del suo mentore politico che gli diede i primi incarichi della sua comunque ricca carriera governativa.
Del resto “il luogotenente di Palazzo Chigi”, come viene etichettato in ambienti diplomatici, è ligio nello svolgere il compito di spalla del premier. Non senza inciampare: risultano poco diplomatici i moniti lanciati da Frattini alle ambasciate affinché difendano la reputazione dell’Italia in tutti i modi possibili. “I nostri ambasciatori si sono ridotti a scrivere lettere ai giornali stranieri per tutelare il buon nome del presidente del Consiglio e salvare il proprio posto di lavoro”, è l’amaro commento di un diplomatico di lungo corso sul declino della Farnesina.

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