Ma allora, governatore, lei ha chiuso o no col centro - destra? È pronto, come chiede il Partito democratico, a dichiarare definitivamente finita l'alleanza con Berlusconi?
Raffaele Lombardo alza gli occhi al cielo, si aggiusta gli occhialini e poi, sospirando, risponde: "Ho detto che la maggioranza si è dissolta. Non basta? Posso dire che è esplosa. O che è implosa. Ma non ho altro da aggiungere". Sulla carta, Lombardo dovrebbe essere in un vicolo cieco: il governatore eletto con un trionfale 65 per cento, il presidente di Regione con il gradimento più alto d'Italia (68,3 per cento) dopo un anno di governo si ritrova senza una maggioranza, battuto in aula con i voti del centro-destra e circondato da nemici irriducibili che si sono stancati di portare la maschera di alleati, dal potente senatore del Pdl Pino Firrarello - che ormai lo chiama "un corruttore politico" - a Totò Cuffaro, col quale un tempo si scambiavano il gallo più bello e il maiale più grasso.
Un altro si arrenderebbe. Lombardo, invece, annuncia un programma di riforme: "Una decina di punti, dalla semplificazione burocratica all'emergenza rifiuti. Mercoledì lo presenterò in aula, vedremo chi ci starà". La verità è che lui ha una carta a sorpresa: i voti dell'opposizione. Solo il Pd può tirarlo fuori dal vicolo cieco in cui s'è cacciato. Lo farà davvero? Sì, il Pd è pronto "a dare il suo contributo". Ponendo, si capisce, alcune condizioni. "Se Lombardo dichiara definitivamente chiusa la fallimentare esperienza del centro-destra, dopo la verifica di merito del programma e della discontinuità con i metodi clientelari del passato, noi ci assumeremo le nostre responsabilità" spiega Giuseppe Lupo, neosegretario regionale del partito.
Qualcosa dev'essere successo, se uno come Lupo - che due mesi fa rivendicava con intransigente durezza il "ruolo alternativo" del Pd rispetto a Lombardo - oggi è diventato possibilista sulla collaborazione con l'ex irriducibile avversario. Cos'è successo, esattamente? Inutile chiederlo alla sfinge Lombardo, che somiglia sempre di più a un personaggio pirandelliano: ma mentre il Gengè di "Uno, nessuno e centomila" diventa pazzo per riacciuffare le immagini che gli altri hanno di lui, Lombardo fa impazzire gli altri mostrando a ciascuno un'immagine diversa, e dunque - dopo essere stato democristiano con Cuffaro - è berlusconiano con Berlusconi, autonomista con Micciché e riformatore con Bersani.
Una mezza verità ce la consegna Giuseppe Castiglione, coordinatore del Pdl siciliano: "Micciché e Lombardo tendono la mano all'opposizione e poi mi accusano di voler consegnare la Sicilia al Pd. Volevano che rompessimo noi, ma non siamo caduti nel tranello". L'altra mezza verità è quella di Gianfranco Micciché, l'eterno ribelle che però non ha mai disobbedito al Cavaliere. "Berlusconi mi ha detto: bisogna evitare che Lombardo vada a sinistra. Io però non avrei vergogna ad accettare un governo di minoranza composto da Mpa e Pdl Sicilia, con l'appoggio esterno del Pd: un esecutivo più tecnico che politico". Ma siccome due mezze verità non fanno mai una verità intera, bisogna raccontare anche ciò che non si vede a occhio nudo, ovvero quella irresistibile forza magnetica che attrae il Pd verso la calamita Lombardo.
Una spinta potentissima che nasce da un calcolo matematico, arrivato fin sulla scrivania di Pierluigi Bersani. Grazie alla legge elettorale siciliana, hanno spiegato al segretario, con il 18 per cento dei voti il Pd ha avuto il 32 per cento dei seggi. La prossima volta dovrà dividere quei seggi con Cuffaro e con Di Pietro. Bene che vada, ne avrà la metà: ergo, le elezioni sarebbero una tragedia per il Pd. Aggiunge il capogruppo Antonello Cracolici, sponsor numero uno della collaborazione con Lombardo: "È un compromesso, certo. Ma l'alternativa qual è? Le elezioni. Alle quali, per sperare di vincere, saremmo costretti ad allearci con Cuffaro o con Lombardo. E allora tanto vale sperimentare prima, se l'alleanza funziona. Sì, lo so, ci sono dei rischi. Ma diciamo la verità: cosa abbiamo più da perdere, noi?"
A Palermo, città dove le voci si spargono come l'olio bollente sul marmo, si mormora di un patto segreto dalla sera del 9 novembre, quando il governatore fu avvistato al ristorante "La Scuderia" a mangiare gamberoni e cernia con Massimo D'Alema, esattamente 48 ore prima della sconfitta in aula che avrebbe aperto la crisi. Da allora nel Pd sono cominciate le riunioni. Nel gruppo parlamentare. Nella segreteria regionale. E anche a Roma. Quando Bersani ha saputo che 22 dei 29 deputati regionali non avevano nessuna intenzione di rischiare di non essere rieletti, prima ha convocato i membri siciliani della Direzione, poi ha spedito a Palermo il capo della sua segreteria politica, Filippo Penati. Con un mandato preciso: tenere unito il partito, e portare a casa la fine del centro-destra in Sicilia. Un'impresa che potrebbe risultare più difficile di quanto non sembri.
"Lombardo - avverte Enzo Bianco - è un bravissimo giocatore di poker: fa sapere di aver chiuso col centro-sinistra e aspetta che il centro-destra creda al suo bluff e accetti le sue condizioni. Ma fare un governo con un alleato di Berlusconi e con un suo sottosegretario sarebbe per noi un'ipotesi inaccettabile". E Rita Borsellino non vuol neanche sentir parlare di patti col diavolo. "Se devo dire la mia, dico no. Come si può pensare di stare in un papocchio come quello che si profila? Sarebbe un'incoerenza imperdonabile. Io non ho ancora preso la tessera del Partito democratico proprio perché volevo stare a vedere. Se ora si facesse un governo con Lombardo, prendere quella tessera per me diventerebbe molto, molto più difficile".
(7 dicembre 2009)
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