giovedì 31 dicembre 2009

INSISTO, IL BIG BANG È L’UNICA VIA


di Paolo Flores d’Arcais


Caro Gianni, come ti viene in mente che la mia proposta abbia a che fare, anche solo alla lontana, con un rassemblement di “signori delle tessere” e con “trattative con piccole burocrazie moribonde pronte a confluire per ricominciare a scannarsi tra di loro”? Questo è quello che continuano a fare le ennesime “rifondazioni” e neoconfederate SEL (credo significhi “sinistra ecologia libertà”), tristemente autoreferenziali e praticamente clandestine. Se la mia proposta avesse anche una pallida parentela con tali mestizie, perché mai avrei dovuto usare la metafora del Big Bang?
Del resto, io sono convinto da oltre trent’anni, e sempre più me ne convinco alla luce dei fatti (cioè sconfitte su sconfitte), che la malattia inguaribile della sinistra si chiama partitocrazia, nomenklatura, monopolio dei “mestieranti” della politica (nobilitati a “professionisti”, chissà perché, visto che fuori della politica sono squisitamente “senza arte né parte”), che la sottraggono ai cittadini esattamente come la “casta” di destra. Per guarire da questa tabe è necessaria una dose massiccia, preponderante, di “politica come bricolage”, una forza politica dove i “professionisti” che la praticano come carriera esclusiva siano una esigua, esiguissima minoranza, altrimenti i “politici a vita” si trasformano inevitabilmente in casta, malgrado le migliori intenzioni e l’alta caratura morale di partenza.
È necessaria insomma una rivoluzione nel modo stesso di praticare la politica, che incrementi drasticamente - per ragioni strutturali - un comportamento disinteressato, la politica come servizio invece che promozione sociale personale. Il che è raggiungibile se questa nuova forza (che chiamo partito della Costituzione perché “sinistra”, se può far pensare ancora a D’Alema e Bertinotti, è termine sinistro) saprà imporre che la politica, in quanto dirigenti di partito o rappresentanti nelle assemblee elettive, la si fa a tempo parziale, rigorosamente parziale: un solo mandato e poi si torna al proprio lavoro nella società civile, e a fare i militanti “senza potere” nei ritagli di tempo. Tranne le rarissime eccezioni di cui sopra, proprie quelle deroghe “carismatiche” che ti stanno tanto a cuore e che oggi (ma non pregiudichiamo il futuro) sono effettivamente inevitabili.
Ammetterai, del resto, che anche la logica carismatica, soprattutto se priva di energici correttivi, qualche difetto lo produce. Lasciamo pure stare l’alto tasso di devozione acritica che si diffonde tra “militanti” sempre meno distinguibili da “fedeli” e altri salmodianti. Il fatto è che la fedeltà come suprema virtù moltiplica inevitabilmente gli “yes men” nelle strutture di comando ramificate, il che è appunto quanto ancora oggi accade nell’Italia dei valori in quasi tutte le regioni e province, con eccezioni che davvero si possono contare sulle dita di una sola mano. Proprio questo impedisce di fatto quelle “porte aperte a tutti” che tu dai per acquisite e che invece hanno riguardano solo le candidature per le europee (e qualche singolarissimo caso alle politiche precedenti). Episodi che non sottovaluto affatto, che anzi ho pubblicamente salutato con entusiasmo e come l’inizio di una svolta, potenzialmente grande e promettente. Ma che ha evidenziato ancora di più lo scollamento tra quanto avviene a livello locale e nell’immagine (e realtà) nazionale dell’Idv.
Naturalmente si può negare per patriottismo di partito che il ceto politico locale dell’Idv sia (con eccezioni, certamente: ma davvero rare) tra il deprimente e l’imbarazzante, eppure è proprio questa situazione, tangibile a chiunque vada a spulciare regione per regione quanta insipienza, quanto carrierismo, quanto inciucio beatamente fioriscano all’ombra del gabbiano, che spiega il paradosso di movimenti che coinvolgono centinaia di migliaia di giovani, soprattutto delle nuove generazioni, ma quasi nessun nuovo iscritto. Eppure, trattandosi degli stessi valori - nelle piazze e nelle meritevoli esternazioni di Di Pietro - i nuovi iscritti si dovrebbero contare, fra i manifestanti, a decine e decine di migliaia. È perciò solo un’immagine di Epinal, un rassicurante santino, dire, come fai tu, che “IdV è (già) il partito di opposizione senza compromessi e fedele alla Costituzione” di cui io parlo. No, non lo è, e non potrà mai diventarlo per aggiunte successive, che la mediocrità locale scoraggia. Ecco perché spero che Antonio Di Pietro proponga non un allargamento ma un Big Bang. Come? Basterebbe che dicesse che vuole fondare una nuova forza politica azzerando tutte le attuali strutture di potere, stabilendo che tutti i vertici locali andranno rinnovati, e non solo per questa volta ma strutturalmente, ogni quattro anni, e su questa base si rivolgesse alla società civile dei movimenti, invitandola a moltiplicare club e associazioni di co-fondatori. Se lanciato con convinzione adamantina e con inflessibile tenacia, credo che questo appello di Di Pietro farebbe da catalizzatore a un bisogno e una disponibilità che nella società civile democratica sono oggi vastissimi, e forse scalpitanti. Bisogna però essere convinti – per non accontentarsi di un 7% che diventa 9%, e avvertire la necessità di una grande nuova opposizione, che sostituisca un Pd ormai definitivamente inservibile - che la situazione italiana sia non più sul ciglio di un precipizio, ma ormai dentro un regime orwelliano. Che si sta radicando talmente, e con accelerazione esponenziale, da non essere più percepito come tale. Ma è proprio l’assuefazione ad un incubo che genera mostri. L’immobilismo dei “piccoli passi” non potrà contrastarli.

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