domenica 6 dicembre 2009

La mostra alla Pinacoteca CRIVELLI NOBILE E NERVOSO ‘400



di Claudia Colasanti

Crivelli e Brera: comincia così, quasi con un’ammissione di colpa secolare, il percorso di questa mostra, che celebra i duecento anni della solida e ancora sorprendente Pinacoteca di Brera. La prima immagine è l'eloquente poster in bianco e nero che riproduce il dipinto “La consegna delle chiavi” di Carlo Crivelli, assente dall’esposizione, ora conservato a Berlino e scambiato nel 1822 con un lodevole ma non paragonabile van Thielen. Purtroppo questo dipinto non fu l’unico a essere ceduto: la fortuna inaspettata che Brera ebbe nel 1811, quando ricevette dai commissari napoleonici ben tredici dipinti dell’artista veneto, venne in seguito sperperata per logiche museali di scambi e vendite che ora ci appaiono incomprensibili. Si tratta di eventi storici che marcheranno per sempre il profilo biografico e artistico di Carlo Crivelli, il quale operò in equilibrio fra gotico e rinascimento: pittore elegantissimo e puntuale, aspro e cerebrale, dotato di una densità estetica che ora ci giunge come la più appropriata per descrivere il suo tempo, quel Quattrocento nervoso e nobile, alla ricerca costante di un nuovo che non alterasse troppo gli equilibri precedenti. Spesso nella storia dell’arte l’interesse verso alcuni autori segue percorsi irregolari, e il loro valore, seppure riconosciuto dal giudizio critico, non è mai immune dal rischio dell’oblio. L’alternarsi di notorietà e buio è una costante nella biografia di Crivelli, che fu apprezzato nel periodo in cui visse nelle Marche, ma che in seguito venne trascurato persino dal generoso Vasari e poi da Berenson, che nel 1957 lo descrive come: “fra i più genuini di ogni epoca, ma fuori dal movimento della Rinascenza, che è movimento in costante sviluppo”.
Di definito esiste poco anche nella cronologia dei suoi spostamenti: la prima data sicura è il 1457, una condanna per adulterio che lo allontanerà da Venezia, città di nascita, presumibilmente per sempre. Probabile è la frequentazione della singolare bottega padovana dello Squarcione, dove incontra Mantenga e Bellini. Nel 1468, dopo aver trascorso alcuni anni a Zara, lo ritroviamo nelle Marche, dove si è trasferito definitivamente avendo trovato l’ambiente congeniale alla sua pittura. I caratteri di Crivelli – la sua maniacale attitudine verso un’aristocratica eleganza e la cerimoniosità dei personaggi ritratti – si adattavano magnificamente alla committenza del luogo. Egli vivrà quindi gran parte della sua
vita in quell’ambiente ristretto, ma ricco e sontuoso, disinteressato al nuovo e restio a rinunciare all’antico, e risolverà la fase più intensa della sua arte non nello stravolgimento impossibile del linguaggio, ma in quello, però più complesso, dello stile.
Per la prima volta vengono esposte insieme tutte le parti costitutive della pala di San Domenico, opera destinata a Camerino, che giunse a Brera completa (mancante solo dello scomparto centrale della predella) nel 1811 e che in parte venne immessa nel mercato antiquario dopo il 1830. Nell’elemento dedicato all’”Annunciazione” i particolari prelevati dalla realtà sembrano quasi prendere il sopravvento rispetto alla figura della Vergine: cuscini rigonfi, mattoni, un tappeto appeso, una gabbia, un vaso di coccio. Analogamente, nell’elemento dell’”Angelo”, le eteree vesti si agitano in un vento dai colori tenui, sconfitte dal biancore accecante di un cencio steso alla finestra. Ma, come ha scritto Berenson: “Così la Chiesa aveva educato i fedeli a interpretare la pittura come un linguaggio, e a cercarvi l’espressione dei più spontanei sentimenti. Ma non poteva sperare d’averla per sempre confinata nel campo della religione. La gente cominciava a sentire il bisogno della pittura come qualche cosa che partecipasse alla vita quotidiana”. Crivelli, esaltando i corredi e gli oggetti d’uso dell’epoca, favorisce questo delicato processo, accentuandone l’importanza come materiale rappresentativo. Per questo la mostra accompagna alle grandi pale oggetti delle categorie più diverse, dai tessuti alle ceramiche, dai tappeti (denominati in seguito ‘tappeti Crivelli’) alle oreficerie, che testimoniano come queste pitture visionarie partano da una riproduzione disperatamente puntuale della realtà.
Nelle parti centrali della Pala, la “Madonna con bambino” è calata nell’eco di una progressione infinita di gradini, fino al trono. C’è raffinatezza nelle vesti, negli ornamenti e nel colore, ma la frutta si alterna con piccoli e inquietanti teschi, e il gradino di marmo, poco sotto i piedi della vergine, si è spezzato per una profondissima crepa. Anche la mosca, che appare in vari dipinti, è una presenza che ribadisce la verosimiglianza, oppure è un simbolo del peccato, del demonio e dell’infedeltà? Sono tracce precise di un reale ambiguo, che sottintendono un equilibrio precario, rappresentano la fuga dalla costrizione formale e la siderale complessità di questo artista. Crivelli non è stato mai irrispettoso della tradizione pittorica né di quella religiosa, ma in maniera silente inserisce frammenti conturbanti in grado di far esplodere concettualmente la composizione.
Nella pala della “Madonna della candeletta”, anch’essa ricomposta per l’occasione, è proprio una sottile e banale candela, relegata a sinistra in basso, a fungere da contraltare all’elaborata macchina scenica. La sublime bellezza della rassegnata e insoddisfatta fanciulla con il suo bimbo in grembo, incastonata sotto un arco di festoni lussureggianti e sospesa nell’equilibrio divino di una trama impeccabile, poggia su fiori recisi, solo poco più sopra della straniante ma risolutiva candeletta.
Il piccolo “San Francesco che raccoglie il sangue di Cristo”, proveniente dal Museo Poldi Pezzoli, è una tavola a olio dove l’arazzo alle spalle del Cristo lascia spazio a una elaborata prospettiva naturale. Ma anche qui, nel primo piano che ci viene incontro, il valore della figura di Cristo e l’erba selvatica che sbuca, spontaneamente, dal muro si equivalgono.

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