
Per apprezzare fino in fondo le capacità dialettiche di Luisa Todini, quarantatreenne perugina figlia d’arte, bisogna rileggersi un’intervista concessa ad Alessandra Puato del Corriere della Sera il 14 aprile del 2008, ovvero a urne aperte. Per lei, che a soli 26 anni era stata eurodeputato di Forza Italia (dal 1994 al 1999) e aveva poi rifiutato un posto blindato nelle liste di Silvio Berlusconi solo perché nel 2001 le era morto il padre (e aveva dovuto prendere il comando dell’azienda), si vociferava da tempo di un possibile incarico da ministro delle Infrastrutture o dell’Ambiente. Ma la domenica pomeriggio, nonostante la sconfitta del Pd di Walter Veltroni non fosse difficile da prevedere, lady Todini civettava abilmente con il giornale di via Solferino, facendo notare che “l’avevano cercata tutti e due gli schieramenti”. Ma lei niente, troppo presa dal suo lavoro per distrarsi con la politica. L’impegno scolpito nella primavera dell’anno scorso era questo: “Il prossimo passo? La Borsa, naturalmente, ma dopo un’integrazione. Cerchiamo un partner, vogliamo generare un gruppo da almeno un miliardo e chiudere entro l’anno».
LA BORSA. Ok, il partner l’ha trovato con un anno di ritardo e la Borsa arriverà non prima del 2012, ma l’abilità dialettica della ragazza che nel 1994 abbracciò Forza Italia “perché Silvio ci ha dato un sogno” è fuori discussione. Nelle settimane scorse, da Palazzo Grazioli hanno provato ancora a offrirle una candidatura per il Pdl: quella a presidente del Lazio. Ma lei ha rifiutato e ha spianato la strada a un’altra sua grande amica come Renata Polverini. Solo pochi giorni fa si è capito in che cosa era indaffarata davvero. Stava più o meno vendendo l’azienda, anche se la parola “vendita” non la si deve pronunciare. Tra capitalisti d’onore, oggi, si parla solo di matrimoni. Come insegnano le stesse banche italiane, che si comprano l’un l’altra senza mai pronunciare il termine “acquisizione” e con i loro presidenti che poi, dopo le firme di rito, si concedono sorridenti ai flash dei fotografi annunciando solo e unicamente alleanze tra pari.
Così hanno fatto anche le famiglie Salini e Todini. Sotto il “matrimonio”, c’è una fusione tra impari. E sotto la fusione, un maxi-debito da ripianare con le banche, che poi sperano di rifarsi con una futura quotazione in Borsa della nuova “entità”. Archiviati gli “osanna” e i titoli trionfalistici che martedì hanno salutato l’operazione, sarebbe il momento di guardare le cifre e i rapporti di forza all’insegna dei quali nasce il famoso “terzo polo” delle costruzioni italiane (dietro a Impregilo e Astaldi, già quotate). Dalla fusione nascerà un gruppo che già oggi vale 1,2 miliardi di fatturato, può contare su un portafoglio di commesse del valore di 8 miliardi in giro per il mondo e dà lavoro a 17 mila persone. Tutto bellissimo, anche perché le due aziende sulla carta si integrano decisamente bene: Salini è più forte all’estero, con l’85 per cento dei suoi affari oltre confine e una radicata presenza in Africa, Medioriente e Sud America. Todini lavora per il 58 per cento in Italia e ha commesse in Asia centrale e nel Golfo, unica area dove forse si rischia un minimo di sovrapposizione.
Ma a ben vedere i numeri, al di là degli inevitabili buonismi degli annunci pubblici, dicono anche altre cose. Per esempio, che se un gruppo come Salini fattura 700 milioni con pochi debiti e rileva il 60 per cento della Todini, che invece fattura 500 milioni e aveva 200 milioni di debiti, di tutto si può parlare meno che di “matrimonio”. A meno che si abbia un’idea di coniugio pre-moderna e scarsamente paritaria. Così non è un caso che Luisa Todini abbia tenuto a ringraziare in modo enfatico le banche registe dell’operazione. Ovvero non solo Imi e Bnp Paribas, advisor finaziari dell’operazione, ma anche Unicredit e Montepaschi, che hanno rinegoziato il debito di Todini.
LA FAMIGLIA. Donna Luisa ha preso il posto del papà lasciando al fratello Stefano solo le attività turistiche, gestite da società nelle quali risulta anche la mamma, Maria Rita Clementi, ma mai Luisa. La separazione si è rivelata salutare nel luglio scorso quando è stato sequestrato il famoso Cafè de Paris di via Veneto, in passato appartenuto alla società Delta Group, della famiglia Todini. Nel provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria i magistrati avanzavano alcuni dubbi sul comportamento del fratello di Luisa Todini (comunque non indagato) nella vicenda. I magistrati ricostruivano così la storia: il 15 giugno del 2005 la Delta group della mamma di Luisa Todini, rappresentata dal fratello Stefano, vendeva la Cafè de Paris Srl a un barbiere di Sant’Eufemia di Aspromonte, tale Damiano Villari, ritenuto dai magistrati un prestanome del clan Alvaro. Lo stesso giorno Stefano Todini ricomprava dal barbiere il 20 per cento della società con un atto che nel 2008 sarà annullato dal Tribunale civile di Roma perché simulato. Chiamato a spiegare l’operazione dagli investigatori, Stefano Todini stesso aveva ammesso la sua “stranezza” senza saperne spiegare bene la ragione. Mentre il fratello e la mamma si trovano a trattare con i barbieri di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Luisa pensa a ben altre operazioni di tutt’altro respiro. Nel quinquennio berlusconiano 2001-2006, sotto la sua guida il gruppo di costruzioni da lei guidato, ha triplicato il fatturato, mettendo le mani anche sulla famosa variante di valico della “A1”. Poi forse le cose sono andate meno bene, anche per la crisi internazionale, e la figlia di “Franco il contadino” si è affidata alle banche per riprendersi la sua vita. Che è fatta non solo di una bambina di sei anni di nome Olimpia, ma di un marito tanto ingombrante quanto sveglio come Luca Josi. Perché Mister Todini ha un passato da giovane supercraxiano e un presente da reuccio delle produzioni televisive alla guida di Einstein Multimedia. La chiamano “Prezzemolina” perché a Roma la trovi dappertutto, però i suoi rapporti privilegiati non li va certo a sbandierare. A cominciare da Gianni Letta e il nipote Enrico, quello che pare stia dall’altra parte. E sempre in zona Pd, la Todini ha ottimi rapporti con Giovanna Melandri, con la quale potrebbe impersonare un duo “Beautiful” pronto ad accettare qualunque sfida. Lei sarebbe quella più di sostanza, senza nulla togliere alla Melandri, anche perché poi ha rapporti bancari di primo livello e solidi legami finanziari con la seconda linea generazionale dei Benetton. Non solo, ma come presidente del Forum di dialogo Italo-Russo, nel 2004 fu lei a portare in viaggio d’affari a Mosca Romano Prodi, Paolo Scaroni, Fulvio Conti e Pierfrancesco Guarguaglini. Con tutti e tre i “post-boiardi” di Eni, Enel e Fin-meccanica, naturalmente è ancora in ottimi rapporti.
LA POLITICA. Dopo l’annucio della “fusione”, il Giornale l’ha prontamente intervistata come una trionfatrice, ma alla fine Paolo Stefanato le ha fatto la domanda giusta, dando per scontato che abbia venduto l’azienda: “Ora si dedicherà di più alla politica, lei che è stata eurodeputato di Forza Italia?”. Ma lei non c’è cascata: “Sono lusingata che il mio nome sia stato fatto per incarichi di alto livello. Ma a me, creda, piacciono innanzitutto i cantieri”. Però il suo destino, entrando e uscendo da Palazzo Grazioli con una certa facilità, è sempre lo stesso. Così in questi giorni continua a circolare la voce che – tramontata l’ipotesi Lazio – sia il candidato giusto per la sua Umbria, dove si vota tra quattro mesi.


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