Ecco la confessione dell'imprenditore che ha pagato un milione di euro all'assessore lombardo per vendere otto pescherecci al regime africano: tangenti del 5 per cento finite sul conto svizzero del politico del Pdl. L'accordo con gli eritrei siglato nell'ufficio di Prosperini al Pirellone in un clima da suk
L'assessorato regionale trasformato in suk eritreo. Con i rappresentanti di un feroce regime dittatoriale africano che trattano affari milionari dentro l'ufficio del leader lombardo della corrente 'Nordestra', che intanto cavalca il razzismo facendo incetta di spot elettorali e interviste anti-immigrati nelle tv locali foraggiate dal suo assessorato. E fuori dalla porta, una fila di imprenditori italiani che sperano di guadagnare appalti d'oro in Eritrea, uno degli Stati più poveri del mondo, grazie alle raccomandazioni a pagamento del politico lombardo, ora in carcere per altre tangenti.
Le accuse di corruzione che mercoledì notte hanno portato in cella Pier Gianni Prosperini (tra cui spiccano la presunta tangente di 230 mila euro pagatagli estero su estero dall'imprenditore televisivo Raimondo Lagostena Bassi e i 200 mila euro di fondi pubblici dirottati alle tv amiche per pagarsi decine di comparsate elettorali) sono soltanto il primo capitolo di un'inchiesta molto più ampia. Motivando le 'esigenze cautelari' che impongono di tenere in carcere l'assessore al Turismo, sicurezza, sport e giovani della giunta Formigoni, il gip Andrea Ghinetti scrive, tra l'altro, che negli ultimi mesi la procura ha avviato altre indagini, delicatissime, per il reato di "corruzione di funzionari di Stati esteri". Il giudice si limita a precisare che per queste tangenti internazionali sono indagati "Prosperini ed altri" e che il pm Paolo Storari e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo hanno già interrogato diversi "testimoni e coindagati".
Tra le deposizioni richiamate nell'ordinanza d'arresto, la più importante è la sofferta confessione di un industriale italiano, l'amministratore della "Cantieri Navali Vittoria", un'azienda affermata che fabbrica navi di ogni tipo e dimensione. Quando l'imprenditore viene interrogato, i magistrati milanesi hanno già scoperto che la sua azienda ha pagato fatture per almeno 800 mila euro a una società-schermo: la classica off-shore intestata a un fiduciario svizzero, Domenico Scarfò. Che davanti ai magistrati elvetici ha già ammesso di essere stato usato come intermediario-prestanome per far arrivare i soldi sul conto svizzero dell'assessore lombardo.
Lo stesso deposito all'Ubs di Lugano dove nel 2008 erano finiti i 230 mila euro versati da Lagostena sempre dalla Svizzera, attraverso una triangolazione con una off-shore chiamata "Kenana". E' la stessa Ubs, nella propria documentazione anti-riciclaggio, a indicare formalmente Pier Gianni Prosperini come «beneficiario economico» del conto svizzero di destinazione finale. All'inizio dell'interrogatorio, l'industriale nautico, comprensibilmente restio ad ammettere di aver pagato un politico italiano, cerca di difendersi parlando di una regolare "mediazione internazionale" per vendere 8 modernissimi pescherecci al regime eritreo. Quindi i magistrati e i finanzieri del nucleo di polizia tributaria gli mostrano i documenti che dimostrano il passaggio dei suoi soldi da un'off-shore all'altra (Htk, Finley Service, Chamonix, Willow Overseas): altre quattro società-paravento, intestate al solito fiduciario, che si limitano a far girare i soldi delle fatture, fino all'accredito finale sul conto svizzero di Prosperini.
Quando si sente comunicare che Scarfò ha già ammesso di aver prestato anche quelle off-shore a Prosperini per mascherare la provenienza dei soldi, l'industriale vuota il sacco. E racconta di aver dovuto versare, in totale, circa un milione di euro, tra il 2004 e l 2008, su richiesta dello stesso Prosperini, che aveva preteso di intascare "esattamente il 5 per cento" del valore complessivo dell'affare. Lo stesso imprenditore racconta che Prosperini si era presentato personalmente nel suo cantiere nautico, nel 2004, accompagnato da un codazzo di funzionari eritrei. Il suo discorso era stato molto chiaro: se l'imprenditore voleva vendere quegli otto pescherecci all'Eritrea, doveva pagare la "mediazione" a Prosperini.
In nero, naturalmente, attraverso le false fatture intestate alle off-shore indicate dallo stesso politico lombardo. Per formalizzare l'accordo, nel 2005 l'imprenditore è stato convocato a Milano, nell'ufficio di Prosperini al Pirellone. Qui, con sua grande sorpresa, ha scoperto che nella stanza dell'assessore erano letteralmente accampati i rappresentanti del governo eritreo. Siglati i contratti in un clima da suk, l'industriale ha salutato con un certo imbarazzo il politico anti-immigrati e i suoi amici africani. E quando è uscito dall'ufficio, ha visto che, fuori dalla porta, c'erano in attesa un grossista di camion e una mezza dozzina di altri imprenditori italiani. Tutti in coda per fare affari in Eritrea grazie al mediatore Prosperini.
(18 dicembre 2009)
Le accuse di corruzione che mercoledì notte hanno portato in cella Pier Gianni Prosperini (tra cui spiccano la presunta tangente di 230 mila euro pagatagli estero su estero dall'imprenditore televisivo Raimondo Lagostena Bassi e i 200 mila euro di fondi pubblici dirottati alle tv amiche per pagarsi decine di comparsate elettorali) sono soltanto il primo capitolo di un'inchiesta molto più ampia. Motivando le 'esigenze cautelari' che impongono di tenere in carcere l'assessore al Turismo, sicurezza, sport e giovani della giunta Formigoni, il gip Andrea Ghinetti scrive, tra l'altro, che negli ultimi mesi la procura ha avviato altre indagini, delicatissime, per il reato di "corruzione di funzionari di Stati esteri". Il giudice si limita a precisare che per queste tangenti internazionali sono indagati "Prosperini ed altri" e che il pm Paolo Storari e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo hanno già interrogato diversi "testimoni e coindagati".
Tra le deposizioni richiamate nell'ordinanza d'arresto, la più importante è la sofferta confessione di un industriale italiano, l'amministratore della "Cantieri Navali Vittoria", un'azienda affermata che fabbrica navi di ogni tipo e dimensione. Quando l'imprenditore viene interrogato, i magistrati milanesi hanno già scoperto che la sua azienda ha pagato fatture per almeno 800 mila euro a una società-schermo: la classica off-shore intestata a un fiduciario svizzero, Domenico Scarfò. Che davanti ai magistrati elvetici ha già ammesso di essere stato usato come intermediario-prestanome per far arrivare i soldi sul conto svizzero dell'assessore lombardo.
Lo stesso deposito all'Ubs di Lugano dove nel 2008 erano finiti i 230 mila euro versati da Lagostena sempre dalla Svizzera, attraverso una triangolazione con una off-shore chiamata "Kenana". E' la stessa Ubs, nella propria documentazione anti-riciclaggio, a indicare formalmente Pier Gianni Prosperini come «beneficiario economico» del conto svizzero di destinazione finale. All'inizio dell'interrogatorio, l'industriale nautico, comprensibilmente restio ad ammettere di aver pagato un politico italiano, cerca di difendersi parlando di una regolare "mediazione internazionale" per vendere 8 modernissimi pescherecci al regime eritreo. Quindi i magistrati e i finanzieri del nucleo di polizia tributaria gli mostrano i documenti che dimostrano il passaggio dei suoi soldi da un'off-shore all'altra (Htk, Finley Service, Chamonix, Willow Overseas): altre quattro società-paravento, intestate al solito fiduciario, che si limitano a far girare i soldi delle fatture, fino all'accredito finale sul conto svizzero di Prosperini.
Quando si sente comunicare che Scarfò ha già ammesso di aver prestato anche quelle off-shore a Prosperini per mascherare la provenienza dei soldi, l'industriale vuota il sacco. E racconta di aver dovuto versare, in totale, circa un milione di euro, tra il 2004 e l 2008, su richiesta dello stesso Prosperini, che aveva preteso di intascare "esattamente il 5 per cento" del valore complessivo dell'affare. Lo stesso imprenditore racconta che Prosperini si era presentato personalmente nel suo cantiere nautico, nel 2004, accompagnato da un codazzo di funzionari eritrei. Il suo discorso era stato molto chiaro: se l'imprenditore voleva vendere quegli otto pescherecci all'Eritrea, doveva pagare la "mediazione" a Prosperini.
In nero, naturalmente, attraverso le false fatture intestate alle off-shore indicate dallo stesso politico lombardo. Per formalizzare l'accordo, nel 2005 l'imprenditore è stato convocato a Milano, nell'ufficio di Prosperini al Pirellone. Qui, con sua grande sorpresa, ha scoperto che nella stanza dell'assessore erano letteralmente accampati i rappresentanti del governo eritreo. Siglati i contratti in un clima da suk, l'industriale ha salutato con un certo imbarazzo il politico anti-immigrati e i suoi amici africani. E quando è uscito dall'ufficio, ha visto che, fuori dalla porta, c'erano in attesa un grossista di camion e una mezza dozzina di altri imprenditori italiani. Tutti in coda per fare affari in Eritrea grazie al mediatore Prosperini.
(18 dicembre 2009)
1 commento:
Non era poi così tanto "pacioccone", forse un pochino "mascalzone"?
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