
È lì, a un passo. Non lo può vedere ma sente il suo odore, sente il suo risentimento. E gli fa paura quel siciliano che è nascosto dietro il paravento bianco e parla con una voce noiosa, piatta e sempre uguale anche quando racconta di bombe e ricorda di morti.
Tre metri, sono solo tre i metri che questa mattina dividono Brancaccio e Milano, il sangue e i soldi, Gaspare Spatuzza e Marcello Dell'Utri. È una sfinge il senatore della Repubblica, seduto nella panca più vicina al sicario che lo sta trascinando e sta trascinando Silvio Berlusconi nella sarabanda delle stragi, quelle di Palermo e le altre. Forse ha i brividi sotto l'impeccabile vestito grigio. Forse sta sudando, sta tremando, quando lui entra e ancora non ha cominciato a parlare.
"Non è un pentito dell'antimafia ma è un pentito della mafia", dice l'imputato eccellente. "La mafia ha interesse a buttare giù un governo che lotta la mafia come prima non ha mai fatto nessuno", dice l'imputato eccellente. "Mi sento a teatro", dice l'imputato eccellente.
E chissà se è davvero un "teatro", quest'aula bunker di Torino dove oggi va in scena la più inaspettata rappresentazione di una Sicilia fangosa e misteriosa. La mafia contro la presunta mafia e la presunta mafia contro la mafia. E' tutta celata in quest'incontro ravvicinato fra l'uomo d'onore di Brancaccio e l'imputato eccellente emigrato trenta e passa anni fa a Milano - e nell'eccezionalità delle reciproche accuse - la vicenda del patto fra la Cosa Nostra siciliana e il nuovo partito che stava per nascere. Poi sono venute le stragi.
Eccolo Gaspare Spatuzza, l'assassino, 'l'imbianchino che accusa Berlusconi', lo strangolatore, il sicario, il redento che legge Teologia della rivelazione" di Renè Latourelle e che due anni fa inviò gli auguri di Pasqua a Benedetto XVI. Il Papa gli rispose. Eccolo che per qualche secondo compare infagottato dentro un giaccone blu, con la faccia coperta da un cappellaccio e il corpo riparato dagli agenti penitenziari del Gom, il gruppo speciale. Eccolo là dietro il paravento bianco, pronto a sparare - questa volta non con le sue vecchie pistole - ma con le parole.
Lo fa subito, appena si siede. La prima domanda del procuratore generale: lei, ha fatto parte dell'associazione denominata Cosa Nostra? Risponde: "Sì, ho fatto parte dagli Anni Ottanta al 2000 di un'associazione terroristico-mafiosa denominata Cosa Nostra". Con quell'aggettivo - terroristico - fa già intravedere la piega che avrebbe preso poi il suo racconto.
Silenzio in aula, sta parlando "l'imbianchino che accusa Berlusconi". Sta spiegando che dopo Giovanni Falcone e dopo Paolo Borsellino "ci eravamo spinti un po' in là, in qualche cosa che non ci apparteneva". Parla del "patrimonio artistico" che bisognava colpire in quel lontano 1993. Parla dell'attentato a Maurizio Costanzo. Parla delle bombe di Firenze, di Milano e di Roma. Si sta avvicinando lentamente a quei due nomi che ha già fatto ai procuratori. Silenzio in aula, come ai tempi del maxi processo di Palermo quando nell'arena scendeva per la prima volta Buscetta e dentro le gabbie gli uomini d'onore trattenevano il respiro e con le mani si aggrappavano alle sbarre.
Un residence sul mare di Campofelice di Roccella, il primo incontro con Madre Natura, il suo capo, il suo padrone Giuseppe Graviano. E poi il secondo incontro, a Roma. Sempre con Giuseppe Graviano, fra i tavolini di un bar elegante - il Doney di via Veneto - proprio accanto all'ambasciata degli Stati Uniti d'America. Ricorda: "Giuseppe Graviano mi disse che avevamo ottenuto tutto quello e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa storia, che non erano come quei quattro "crasti" dei socialisti che avevano preso i voti dell'88 e dell'89 e poi ci avevano fatto la guerra".
Si ferma Gaspare Spatuzza, prima di fare i nomi, quei due nomi. Tutti nell'aula bunker fissano il paravento bianco. Sono le dodici e trentacinque. L'imputato eccellente porta leggermente il capo in avanti, un movimento istintivo, quasi impercettibile. Gaspare Spatuzza lo sta dicendo, ora "Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi.. Io chiesi se era quello del Canale 5 e Giuseppe Graviano mi disse: sì. E poi mi disse che c'era di mezzo pure un altro, un nostro paesano... Dell'Utri. Grazie alla serietà di queste persone ci eravamo messi il Paese nelle mani".
Il rimorso o la vendetta, la verità di Gaspare Spatuzza nel "teatro" di Torino dove la rappresentazione di quella Sicilia indicibile non è ancora alla fine. Comincia a parlare dei fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo. Amore, amore puro per loro. Anche oggi che li cita e li usa, che li accusa. L'imputato eccellente finge sicurezza, equilibrio, controllo: "Sono tranquillo ma assisto ad uno spettacolo incredibile, allucinante. Gli incontri con i Graviano non esistono, non ci sono mai stati. E non ho mai saputo addirittura chi sono. Di fronte a queste accuse una persona normale o impazzisce o si spara, ma io, io lavoro tanto su di me per restare sempre sereno. Sono sicuro che finirà tutto nel nulla perché non c'è nulla".
Gaspare Spatuzza, nato l'8 aprile del 1964 nel cortile Castellaro - dove una volta c'erano gli orti di terra buona di Brancaccio - è ancora là davanti ai giudici e con le spalle all'imputato eccellente. S'intravedono le sue scarpe, i piedi fermi, piantati sul pavimento. La sua voce ritorna. Fa ancora e sempre paura. La domanda del procuratore generale: perché ha aspettato tanto prima di fare i nomi di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri?
Pesca nella sua memoria. Il primo colloquio con il procuratore nazionale Pietro Grasso, il lungo travaglio, la conversione religiosa, la voglia di tornare indietro e alla fine la decisione: "I miei timori erano tanti nel momento in cui iniziano i primi incontri con i magistrati, nel momento... mi trovo come primo ministro il signor Silvio Berlusconi e come ministro della Giustizia un soggetto che curava i circoli di Forza Italia in Sicilia... io vedevo in questo ministro un vice del primo ministro e un vice del signor Marcello Dell'Utri".
Solo un siciliano può capire cosa voglia dire un siciliano come Gaspare Spatuzza - un mafioso - quando dice "signor Berlusconi" o "signor Dell'Utri". Quando dà del "signore" a qualcuno. Al contrario di tutti gli altri luoghi del mondo dove quella parola è così nobile, nella Sicilia mafiosa c'è sempre del disprezzo quando la si pronuncia. Si vuole offendere, è un insulto mascherato ma è un insulto. È quello che fa Gaspare Spatuzza nel suo debutto pubblico, nella sua prima udienza da pentito. Dove confessa "sei o sette stragi e una quarantina di omicidi". Dove - nessuno glielo chiede - ma lui lo dice lo stesso: "La mia missione è quella di restituire la verità alla storia e non mi fermerò davanti a niente". Così parla il mafioso venuto da Brancaccio.
(5 dicembre 2009)


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