lunedì 25 gennaio 2010

ALLEANZE PER LE REGIONALI, IL PESO DELLA CONDANNA


di Sandra Amurri


Una condanna che pesa come un macigno sulle alleanze per le prossime elezioni regionali, quella incassata da Totò Cuffaro dalla Corte d’appello di Palermo. I giudici hanno aumentato di due anni la pena di primo grado per aver favorito singoli boss, riconoscendo l’aggravante dell’art 7, il favoreggiamento all’intera organizzazione Cosa Nostra. E non è finita qui. Sull’ex presidente della regione Sicilia, senatore dell’Udc, pesa anche una richiesta di rinvio a giudizio – l’udienza preliminare è fissata per il 5 febbraio – per concorso esterno in associazione mafiosa. Richiesta arricchita, proprio in questi giorni, dai pizzini inviati da Provenzano a Vito Ciancimino, consegnati ai magistrati dal figlio Massimo, in cui Binnu a proposito dell’amnistia si diceva sollevato per aver ricevuto rassicurazioni dall’allora presidente Cuffaro e dall’avvocato Mormino, ex presidente della Commissione giustizia della Camera, uno dei difensori di Marcello Dell’Utri.
Notizia che non può non far interrogare il Pd rispetto alla decisione di stringere alleanze con l’Udc in molte regioni, fino a rischiare di compromettere governi già sperimentati, come quello nelle Marche, con la sinistra cosiddetta radicale, senza parlare del caso Puglia, ovviamente.
Notizia che confonde e che nella maggior parte dei casi genera sconcerto.
Cittadini onesti, che sono contro la mafia, e non solo a parole, che si vedranno negato il diritto di voto potendo scegliere tra due schieramenti, uno di centrodestra con Dell’Utri e non solo e l’altro di centrosinistra con Cuffaro. Alla faccia di quella tanto sbandierata questione morale di berlingueriana memoria divenuta oggi vera e propria emergenza democratica.
Ragionamento al quale come al solito si opporrà la legittima presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, che non scalfisce però il giudizio politico che questo stesso ragionamento porta con sé.
Così come a nulla serviranno le dimissioni da vicesegretario dell’Udc di Cuffaro, che resta invece al suo posto in Senato e in Commissione di vigilanza Rai e dichiara di confidare nella Madonna, tanto per rassicurare l’elettorato cattolico.
Tutto si complica, dunque.
Le parole della politica chiedono il conto. E il primo a servirlo è Luigi De Magistris: “E’ impensabile che nel nuovo laboratorio politico dell’Idv per segnare un cambiamento radicale possa coesistere l’Udc di Cuffaro ma anche di Cesa e di De Mita. Con Casini non si costruisce il futuro del paese, si fanno giochetti politici finalizzati alla spartizione del potere. L’alternativa non può passare da Berlusconi a Cuffaro. Nei confronti dell’Idv c’è una grossa aspettativa etica, quindi dobbiamo essere più realisti del re, rigorosi e coerenti”.
Posizione personale quella del parlamentare europeo o condivisa dal suo partito?
Una risposta che, se positiva, rischia di compromettere l’alleanza con il partito di Bersani che sta costruendo il “nuovo riformismo” con l’Udc. Ma nessuna voce si alza dal Pd. Mentre Claudio Fava di Sinistra ecologia e libertà chiede le immediate dimissioni di Cuffaro dal Senato. Aspettarsi che Casini – che da presidente della Camera non ha esitato ad esprimere solidarietà a Dell’Utri mentre i giudici erano riuniti in Camera di Consiglio, e ha candidato Cuffaro, nonostante la condanna in primo grado per favoreggiamento a singoli boss – lo inviti oggi a lasciare il partito equivarrebbe a peccare d’ingenuità. Per lui suonerebbe come un atto di irriconoscenza nei confronti di Cuffaro, i cui voti siciliani hanno permesso all’Udc di superare la soglia di sbarramento alle ultime elezioni nazionali. E il pericolo che Casini possa trovarsi in uno dei tanti salotti televisivi a dover rispondere sul caso Cuffaro è del tutto improbabile, visto che nessun giornalista finora ha mai osato porgli questa domanda… come se si trattasse di un argomento irrilevante. E come se si potesse essere credibili sul tema della lotta alla mafia onorando la memoria di uomini che dalla criminalità organizzata sono stati ammazzati e contemporaneamente essere leader di un partito che tra le sue file annovera chi è stato condannato in appello per aver favorito Cosa Nostra.

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