giovedì 28 gennaio 2010

BRACARDI ALL’ASSALTO


L’amarezza del comico per la rievocazione di Alto Gradimento: “Trattato come un relitto”
di Fulvio Abbate


In princìpio era “Alto Gradimento”. Una trasmissione radiofonica. Ma che dico? Molto di più. Un tornado sonoro colmo, zeppo di paradossi comici e spettacolari, ecco, un marchingegno comico senza pari, da fare invidia ai Fratelli Marx, da mettere al tappeto perfino il più serio degli elzeviristi di costume. Un flusso meravigliosamente strampalato che veniva fuori dalla radio. Come un’onda. Montante. Come uno schiaffo in bocca al senso comune. Quando? Quarant’anni fa. Esatti. La prima puntata, infatti, segna il 7 luglio 1970. Un’altra era mediatica. Fra un sussulto e il successivo l’avventura durerà fino al 1976. Il rito era fissato fra il lunedì e il venerdì, intorno all’ora di pranzo. Giusto il tempo di riconquistare le mura di casa di ritorno da scuola o dall’ufficio. Cercando così di non perdere neppure una sillaba, una pernacchia. E’ noto che a condurlo c’erano Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, magrissimi, faccette da ragazzi, vispi, pronti a smistare il traffico di voci, come in un ideale ingorgo di personaggi bizzarri, lunatici, improbabili, eppure verissimi, antropologicamente plausibili, sia pure nella loro veemenza o svagatezza. Perfino nel più sommo dei ridicoli. Come forse soltanto nelle tavole di Jacovitti si era visto fino a quel momento. La sigla, un tappeto volante, fra boogie-woogie e rock ‘n’ roll, “Rock Around The Clock” (nella versione orchestrale di James Last), la sigla, in verità, era soprattutto l’annuncio dell’inizio di un viaggio, come dire?, patafisico, una roba da tenerti lì fisso, tramortito in attesa, metti, dello Scarpantibus. Era, appunto, il 1970, e, lì su Radio 2, i già citati Arbore e Boncompagni apparivano davvero acuminati, pronti a far squillare le loro voci annunciando i tormentoni più attesi, bramati. Scarpantibus, su tutti. Ma anche il gerarca fascista Catenacci, Pasquale Zambuto, Raimundo Navarro o Max Vinella, o il professor Spadone o il colonnello Buttiglione o Verzo, o piuttosto le molte semplici imprecazioni che, come meteoriti o luci stroboscopiche da discoteca di quartiere, vagavano nell’iperspazio radiofonico della trasmissione, “fangàla”, “Paaaaatrocolooooooo”, “l’uomo è una bestia”, “in galera”, “li pècuri”… Un repertorio, un casellario, un sciocchezzaio indimenticabile di voci, appunto, le stesse che talvolta incrociavano i “reperti” sonori, come in un improbabile audio-montaggio, di celebri personaggi dello spettacolo o della politica, su tutti Amintore Fanfani, la sua implicita caricatura. A dare vita alla quasi totalità di così tanta “carne” sonora c’erano Giorgio Bracardi e Mario Marenco, quest’ultimo svettava grazie ai versi, le sue poesie, apodittiche, icastiche, era in grado, talvolta, perfino di sfidare i testi dei poeti “novissimi” del Gruppo 63. Meglio di Sanguineti e Pagliarani, o quasi.
Se provi a chiedere di sé quarant’anni fa a Giorgio Bracardi, il nostro faro in questa rievocazione, l’uomo, l’eroe non mostra dubbi. “Ero un artista completo, pieno di talento, un musicista che fin dall’età di sei anni ha studiato pianoforte, uno che ha girato il mondo in lungo e in largo, quasi come Berlusconi, ma non sulle navi, che mi fanno schifo, semmai fra grandi alberghi e night, e questo quando i grandi turisti si chiamavano Ava Gardner, John Wayne, William Holden”. Diciamo allora un piccolo Mozart? “Sì, ero un piccolo Mozart”. Showman, entertainer, spernacchiatore… “Effettivamente canto bene e suono benissimo…”. Fine settembre del 1970. Da lì a poco, ecco che verrà convocato… “Sì, per una trasmissione sconosciuta, l’unica novità era che si parlava sui dischi”. Una sorta filodiffusione disturbata? “Bravo, esatto, proprio così”. Il paesaggio radiofonico ben presto le dovrà il dono di una creatura mitologica, da bestiario fantastico… “Vuole dire il mio Scarpantibus, un uccello preistorico, dalle sembianze vagamente umane, catturato da un esploratore, almeno secondo la leggenda”. Peccato, non averlo mai visto in volto, Bracardi! “Sa, l’uccellaccio calzava scarponi senza lacci e correva ad altissima velocità”. E poi? “Dalla sera alla mattina fu un’esplosione, una deflagrazione nucleare: tutta l’Italia s’era attaccata alla radio per ascoltare gli squittii di Scarpantibus. Arrivavano sacchi pieni di disegni dei bambini che provavano a immaginarne le sembianze. Sembra che perfino un giudice abbia interrotto l’udienza per ascoltarmi”. C’era un sentimento eversivo, liberatorio nel suo uccellaccio… “Io non potevo più uscire di casa, ero braccato dai fotografi, un giorno, in viale Mazzini, sotto la Rai, vedendomi arrivare tutti urlavano c’è lo Scarpantibus!!” E poi? “C’era pure Max Vinella, il cronista di provincia, che dettava delle cronache improbabili, era lui a dire ‘chiappala chiappala’ con la sua vocina femminea. Senza dimenticare Ermanno Catenacci, il fascista, che raccontava le imprese del duce, fra l’Agro Redento e le colonie”. Eppure le doverose durezze della legge Scelba non l’ha mai sfiorato, sbaglio? “Qualcuno mi disse: vedrai che i comunisti ti faranno un mazzo così, così come i fascisti. Alla fine, perfino i fascisti mi davano ragione, nonostante il ridicolo del personaggio, ma si sa che i fascisti non hanno il senso dell’umorismo. Il pubblico lo rimpiange tuttora. Così come rimpiange Patroclooooo”.
Veramente, se non rammento male, Boncompagni da qualche parte ha detto di avere pensato lui il grido di “li pècuri”. “E’ una falsità, ho sotto gli occhi una sentenza del tribunale di Milano emessa il 28 giugno 2005 dal giudice Marisa Gisella Nardo a proposito di un’enciclopedia, pubblicata da Franco Maria Ricci, che ometteva i nomi miei e di Marenco come inventori, scrittori e autori dei nostri personaggi presenti nel programma, e non Arbore e Boncompagni, come a loro fa comodo far credere con la complicità di Maurizio Riganti, il dirigente Rai che poi dette ordine di bruciare tutti i nastri di ‘Alto Gradimento’”. Bruciarli, addirittura? “Sì, perché ci considerava dei semi imbecilli. Gli autori, è bene che si sappia, eravamo io e Mario Marenco, mentre loro, Arbore e Boncompagni, erano le nostre spalle, prestigiose, ma pur sempre spalle. Senza i nostri personaggi non ci sarebbe mai stato il programma. Personalmente ho salvato circa 200 nastri. Mi portavo il registratore di nascosto, perché era proibito dall’azienda, e così ho salvato il salvabile. Gli stessi nastri che anni dopo ho fatto riversare per poi darli alla Rai. E gratuitamente”. Adesso i rapporti con Arbore e Boncompagni come sono? “Come direbbe un personaggio di Mario Puzo nel “Padrino”, siamo ai materassi, cioè pessimi. Ho dato mandato al mio avvocato di querelarli insieme a Riganti per le dichiarazioni altamente offensive nei riguardi della mia persona dette ieri a ‘Uno Mattina’. Per violazione della legge sul diritto d’autore. Con Mario Marenco siamo proprietari al 100 per 100 dei nostri eroi”.
Dov’è finita l’ironia di Bracardi in questa storia di carte bollate? “Mi hanno descritto come una specie di ritardato mentale, poi hanno raccontato cose non vere, tipo che durante la registrazione mi affacciavo alla finestra per mostrare il sedere, mai successo”.
Qui Giorgio Bracardi diventa ancora più serio, tira il fiato, arrota la voce, e infine aggiunge: “Avrebbero dovuto invitarci in studio per raccontare come andarono effettivamente le cose, e invece hanno fatto di tutto perché non ci fossimo, nel timore d’essere messi in minoranza, d’essere surclassati. C’era Cucuzza inginocchiato di fronte a loro, e intanto faceva finta di sbellicarsi dalle risate, invece c’era solo da piangere. Questa si chiama slealtà!”
Al momento di salutarci, Giorgio Bracardi, assicura, giura che è tutto vero, ha proprio deciso di portare Arbore e Boncompagni in tribunale, quarant’anni dopo. Così “i furbi, i cattivi, i malvagi saranno sconfitti per sempre, e forse quel giorno si vedrà finalmente com’è fatto in volto il vero Scarpantibus”. Dice davvero? “Certo, che sì. La verità non ha prezzo”. Era “Alto Gradimento”.

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