La condanna di Totò Cuffaro a 7 anni in appello per favoreggiamento alla mafia è stata usata da un giornalista solitamente bene informato come Attilio Bolzoni per impartire su Repubblica una strana lezione di antimafia alla nuova Procura di Palermo: quella subentrata alla controversa gestione di Piero Grasso, da cinque anni procuratore nazionale Antimafia. Sostiene Bolzoni che la condanna di Cuffaro (peraltro non definitiva) sarebbe “l’unico marchio di mafiosità sulla pelle di un potente di Sicilia, l’unico rimasto dalla morte di Falcone e Borsellino… il solo ‘processo politico’ che resiste dal 1992”.
Addirittura! Subito dopo Bolzoni chiarisce dove vuole andare a parare, ricordando le “due strategie contrapposte nella lotta giudiziaria a Cosa Nostra: una inaugurata da Caselli e l’altra da Grasso”. La prima “ha portato a giudizio uomini politici per concorso esterno in associazione mafiosa”, l’altra “ha puntato ‘solo’ sul favoreggiamento mafioso”. Risultato: “Tutti assolti” gli imputati di concorso esterno, mentre “Cuffaro è stato condannato”. Dunque “vince la linea Grasso”.
Ma ora, scrive Bolzoni, la nuova Procura sembra tornare agli anni bui di Caselli, infatti Cuffaro è stato appena rinviato a giudizio anche per concorso esterno (accusa fatta archiviare a suo tempo da Grasso): ma Bolzoni già sa che “fra cinque o dieci anni magari ci sarà un’assoluzione che cancellerà tutto”.
Naturalmente Bolzoni è liberissimo di preferire Grasso a Caselli: è in buona compagnia, visto che il governo Berlusconi approvò ben tre leggi ad personam (peraltro incostituzionali) per sbarrare a Caselli la strada per la Procura nazionale e mandarci Grasso. Ma i fatti, la logica, il diritto e persino la contabilità della serva devono pur contare qualcosa.
Anzitutto: i giudici non possono scegliere a piacimento il loro reato preferito fra il favoreggiamento alla mafia e il concorso esterno, visto che sono due delitti completamente diversi. Il primo è un episodio sporadico (al massimo due o tre) di aiuto alla mafia da parte di chi non vi ha nulla a che fare; il secondo è un rapporto stabile di scambio di favori fra Cosa Nostra e chi, pur non essendovi affiliato, è a sua disposizione sine die. Quindi il reato da contestare non è un capriccio di Grasso o di Caselli: dipende dai fatti accertati. Siccome la Procura di Palermo ha accertato ben più di un paio di favori di Cuffaro a Cosa Nostra, cioè un comportamento di disponibilità che dura da vent’anni, alcuni pm contestarono a Grasso la scelta minimalista di archiviare il concorso esterno e affibbiargli il solo favoreggiamento. Era ovvio che, essendo il concorso esterno un insieme più ampio del favoreggiamento, fosse più facile ottenere una condanna per il secondo che per il primo delitto. Ma i giudici devono obbedire alla legge e la legge descrive le condotte attribuite a Cuffaro come concorso esterno, non come favoreggiamento. Dire poi che aveva ragione Grasso col suo minimalismo solo perché Cuffaro è stato condannato anche in appello per favoreggiamento è un nonsense: chi lo dice che non sarebbe stato (o non sarà) condannato anche per concorso esterno? Un gip, rinviandolo a giudizio anche per questo reato un mese fa, ha già stabilito che il concorso esterno regge.
Quanto al confronto con gli altri “processi politici” (che non esistono: esistono processi “ai politici”), Bolzoni ha qualche problema con il pallottoliere. I “potenti” imputati per concorso esterno dalla Procura di Caselli non sono stati affatto “tutti assolti”: condannati definitivamente Bruno Contrada e il suo braccio destro Ignazio D’Antone, più il democristiano Franz Gorgone; condannato in appello il senatore Vincenzo Inzerillo; condannato in primo grado Marcello Dell’Utri. Quanto al giudice Carnevale, condannato in appello, è stato salvato in Cassazione da un ribaltamento ad hoc della giurisprudenza, che all’improvviso ha ritenuto inutilizzabili le testimonianze dei giudici di Cassazione a proposito delle pressioni in camera di consiglio per annullare i processi di mafia. Gli unici assolti nel merito sono Mannino e Musotto, peraltro per insufficienza di prove. Ma di Calogero Mannino è provato che aveva “stretto un patto di ferro elettorale con le cosche agrigentine”, dunque il processo andava fatto; idem per Francesco Musotto, nella cui casa di famiglia al mare i giudici hanno ritenuto provato che si ospitavano latitanti, tant’è che suo fratello è stato condannato in via definitiva. Quanto ad Andreotti, c’entra come i cavoli a merenda: non era imputato per concorso esterno, ma per partecipazione diretta a Cosa Nostra (reato che la Cassazione ha ritenuto “commesso fino al 1980”, ma prescritto).
Sarebbe questo il “nulla di fatto” del metodo Caselli? Certo, il suo successore ha mietuto ben altri successi: di potenti alla sbarra, in cinque anni, ne ha portato uno solo, Cuffaro, anche perché le prove a carico di altri finivano misteriosamente nei cassetti della Procura o dei carabinieri (il pizzino di Provenzano a Dell’Utri e Berlusconi, le intercettazioni fra Ciancimino jr. e gli onorevoli Vizzini, Cuffaro, Cintola, Romano…). Per il resto, tra concorsi esterni e favoreggiamenti, pare proprio che Grasso e i suoi ne abbiano azzeccate poche. Nel processo alle “talpe”, per esempio, il maresciallo Riolo era imputato per favoreggiamento, ma i giudici l’han condannato per concorso esterno; il maresciallo Ciuro era imputato per concorso esterno, ma i giudici l’han condannato per favoreggiamento (per giunta semplice, non mafioso: dunque s’è fatto due anni di galera, ma non avrebbe dovuto neppure essere arrestato). Per concorso esterno è stato condannato in primo e secondo grado l’ex assessore comunale Mimmo Miceli, fedelissimo di Cuffaro, in quanto anello di congiunzione fra l’ex governatore e il boss Giuseppe Guttadauro. Possibile che, se i due facevano le stesse cose, Cuffaro risponda di favoreggiamento e Miceli di concorso esterno? Che differenza c’è fra i due, a parte che uno è potentissimo e l’altro non conta più nulla? Qualcuno si è per caso scordato che la legge è uguale per tutti?
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