Alla vigilia del processo, il furbetto rosso comincia a sparare i suoi fuochi d’artificio. Lunedì prossimo Gianni Consorte salirà i gradini del Palazzo di Giustizia di Milano per la prima udienza del dibattimento sulla scalata Bnl, in cui è imputato di aggiotaggio assieme all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e altre 19 persone. Ha scelto il quotidiano Mf per aprire le ostilità. Difendendo il suo operato: “La nostra corsa a Bnl fu del tutto legittima, non ci fu un patto occulto”. Ma soprattutto per buttarla in politica: “Unipol perse perché fu vittima di un complotto”. E per chiamare in causa i leader di partito che l’hanno prima difeso e poi abbandonato: “Voglio che venga in aula a deporre il gotha del Partito democratico e in particolare gli ex Ds”. A Mf ha anche annunciato di aver preparato una lunghissima lista testi (180 persone) che comprende banchieri, finanzieri, advisor, ma soprattutto politici: quelli che nell’estate 2005 lo sostennero (Massimo D’Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino, Ugo Sposetti, Pier Luigi Bersani, Vincenzo Visco...) e quelli che lo avversarono (Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Giuliano Amato).
RIVINCITA PUBBLICA.
Saranno i giudici, naturalmente, a decidere chi ammettere e chi no. Ma intanto Consorte fa sapere che vorrebbe trasformare il dibattimento nella sua rivincita pubblica: “Vogliamo chiedere la ripresa televisiva del processo”. La scalata a Bnl, nel 2005, avrebbe dovuto essere l’ingresso nel mondo della grande finanza di Unipol, di cui era presidente, e delle coop rosse che lo sostenevano. Invece per lui è stata l’inizio della fine. La scalata è fallita, è stato rinviato a giudizio e ha dovuto lasciare la guida della compagnia d’assicurazioni. Ha poi tentato una ripartenza con la banca d’affari Intermedia, ma non senza difficoltà. Ora in aula dovrà difendersi dalle accuse del pm Luigi Orsi. Nell’estate dei furbetti, la Bnl stava per essere acquisita, attraverso un’offerta pubblica di scambio, dal Banco di Bilbao (Bbva). Consorte, con il sostegno del governatore Fazio, si mette di traverso e fa fallire l’offerta. L’accusa sostiene che il manager abruzzese ha battuto i concorrenti rastrellando azioni Bnl attraverso accordi sotterranei, sottratti alla trasparenza e al mercato. Con la Popolare dell’Emilia Romagna già dal 17 maggio 2005. Con la Popolare di Verona dal 28 giugno. Con la Carige dal 4 luglio. Con i cosiddetti contropattisti Bnl (Caltagirone, Ricucci e altri) dal 5 luglio. Con Deutsche Bank dal 18 luglio.
LA TELEFONATA. Solo il 18 luglio 2005, a cose ormai fatte, Consorte informa il mercato e annuncia l’opa obbligatoria. Non prima di aver telefonato a Piero Fassino, allora segretario dei Ds, il quale esclama, felice: “Allora, siamo padroni di una banca?”. Il processo, dunque, sarà tecnico: l’accusa dovrà dimostrare che gli accordi, i contratti, i patti, gli “spot hedge” erano precedenti alle comunicazioni di legge e sottratti al controllo del mercato. Un pacchetto di azioni tra il 2 e il 3 per cento – quello che i fratelli Lonati, grandi amici del finanziere bresciano Chicco Gnutti, vendono a Bper – viene tenuto nascosto fino all’ultimo momento, non viene comunicato neppure il 18 luglio. Eppure Consorte ostenta sicurezza: “Tutto regolare”. E conta di far pesare in aula un paio di sentenze (civili, però) con cui le corti d’appello di Roma e di Genova hanno annullato le sanzioni inflitte dalla Consob a Deutsche Bank e Carige.
A COLPI DI TUF. Se il processo sarà tecnico, tutto a colpi di articoli del Tuf, il Testo unico sulla finanza, sarà però la politica ad aleggiare pesantemente su Consorte e i suoi coimputati. Il manager, sanguigno com’è, non si tira indietro. Annuncia battaglia. Ha voglia di fare i conti con chi non lo ha difeso, con chi, dopo la sconfitta, lo ha scaricato. Lui ha già pronta la sua spiegazione per quello che è successo: l’assalto della finanza rossa a una banca avvenne nel pieno del dibattito sulla nascita del futuro Partito democratico, durante le trattative per la fusione a freddo tra Ds e Margherita; con tanto di polemiche sulla questione morale dentro i Ds sollevate dai vertici della Margherita (Arturo Parisi, Francesco Rutelli...). Così, secondo Consorte, i Ds sotto attacco furono costretti ad abbandonarlo pur di non far saltare il tavolo con Rutelli e i centristi.
Spiegazione macchinosa. In realtà Parisi e i prodiani nell’estate 2005 criticarono quello che intuirono subito, e cioè una commistione tra affari e politica che puntava a costruire attorno a Unipol, con la benedizione di D’Alema, un polo finanziario forte, approfittando di un’oggettiva alleanza bipartisan con chi, a destra, stava realizzando le altre due scalate dei furbetti, ad Antonveneta (realizzata da Gianpiero Fiorani) e al Corriere della Sera (protagonista Stefano Ricucci). Una silenziosa, segreta “bicamerale degli affari”.
25 MILIONI. Consorte, naturalmente, nega: “A noi ci hanno messo assieme alla scalata di Fiorani, ma non c’entravamo niente, erano solo contemporanee”, dichiara a Mf. Eppure per Antonveneta l’ex presidente di Unipol ha chiesto di patteggiare una pena di 11 mesi di reclusione e ha messo a disposizione 12 milioni e mezzo di euro. Non ha mai spiegato del tutto, infine, che cosa fossero (e a disposizione di chi) quei 25 milioni di euro che i magistrati gli hanno trovato all’estero, frutto – sostiene Consorte – di una “consulenza” da lui resa a Gnutti nel 2002, durante la vendita di Telecom Italia dai “capitani coraggiosi” di Gnutti e Roberto Colaninno alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera. Anche di questo si parlerà nel processo che inizia lunedì a Milano, del mistero rosso che sta alle radici delle scalate dei furbetti.
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