martedì 26 gennaio 2010

Il mistero delle celle scomparse


di Lirio Abbate


Intere sezioni chiuse o usate per altri scopi. Perché non ci sono guardie. E così molte carceri sono sovraffollate

Intere sezioni destinate ai detenuti trasformate in uffici, ambulatori medici o magazzini. Celle chiuse e mai utilizzate. Si restringono così gli istituti di pena nel nostro Paese. Anzi, si riduce così la capienza regolamentare o tollerabile delle carceri, in particolare in quelle di provincia dove i detenuti vengono stipati in pochi metri quadrati, creando sovraffollamento. Si potrebbe parlare di truffa delle carceri, dove nella realtà gli spazi esistono ma sulla carta vengono cancellati. Tutto a discapito dei detenuti. Non è certo tutto così il pianeta carceri. In alcuni istituti moderni e ampi si trova ancora spazio, come il carcere esemplare di Bollate, alle porte di Milano, che può contenere senza problemi 1.400 detenuti, e oggi ha spazio per altri 300 ma non possono arrivare perché mancano gli agenti di polizia penitenziaria. E questo è un altro fattore che intralcia l'amministrazione penitenziaria perché i poliziotti sono mal distribuiti: nelle regioni del Nord vi è il maggiore disagio e si registrano situazioni drammatiche, rispetto a quelle del Sud che non hanno carenze di organico.

I posti occultati e la mala organizzazione carceraria emergono da relazioni di servizio di cui è in possesso il Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria). Dossier riservati che sono rimasti nei cassetti dei vertici dell'amministrazione e dai quali emergono considerazioni tecniche che già in passato avrebbero portato ad evitare il sovraffollamento delle carceri e ottenere una buona vivibilità dei detenuti. «Si deve considerare», si legge in una relazione del Dap, «quello che normalmente avviene nel momento in cui si attiva un nuovo istituto penitenziario, quando direttore e comandante di reparto si trovano con la necessità di dover avviare in tutta fretta (talvolta anche per ragioni estranee all'amministrazione penitenziaria) la struttura, potendo contare su un numero di unità di personale oggettivamente limitato. Questo comporta, necessariamente, scelte che tendono a diminuire notevolmente i posti di servizio e, di conseguenza, a sacrificare gli spazi originariamente previsti per i detenuti e, dunque, i vertici dell'istituto devono "inventarsi", trovando normalmente l'accordo degli organi superiori, soluzioni apparentemente legittime ma che, in realtà, rispondono alla duplice esigenza di utilizzare meno unità di personale e ridurre la capienza dell'istituto». Questo è probabilmente quello che è avvenuto, fra gli altri, al carcere di Monte Acuto di Ancona, in quello di Modena e Reggio Emilia, a Siena, al Pagliarelli di Palermo, a San Cataldo in provincia di Caltanissetta e a L'Aquila.

Una riforma che può allentare l'emergenza carceri è dunque sotto gli occhi degli operatori, i quali, ottimizzando e recuperando le sezioni originariamente destinate ai detenuti, distribuendo meglio gli agenti, potrebbero fare largo a un migliaio di posti. Il giudice Alfonso Sabella è stato direttore dell'ufficio centrale dell'ispettorato del Dap fino al momento in cui l'allora capo del Dipartimento, Giovanni Tinebra, ha disposto la soppressione dell'ufficio, e in questo ruolo aveva riscontrato nelle carceri i posti occultati. «È un fenomeno che ho purtroppo constatato frequentemente », conferma Sabella. «Per fare qualche esempio ricordo ad Ancona una sezione detentiva da oltre cento posti da cui sono stati addirittura rimossi i cancelli allo scopo di destinarla, ma solo apparentemente, a presunti laboratori di medici specialisti. Oppure un'intera sezione del carcere di Cassino che era stata adibita, e credo lo sia tuttora, ad accogliere gli archivi del vecchio carcere dell'isola di Santo Stefano, chiuso mezzo secolo fa. Mi viene in mente la sezione dell'alta sicurezza di Trapani dove le pareti venivano ciclicamente imbiancate per far apparire l'esistenza di lavori di ristrutturazione in corso oppure ancora le centinaia di stanze destinate formalmente a magazzini che ho trovato in molte carceri emiliane in cui erano sistemati solo un secchio e una scopa».

Il magistrato svela alcuni retroscena di questo sistema carcerario. «Potrei continuare a lungo», aggiunge l'ex direttore dell'ispettorato, «segnalando gli stratagemmi utilizzati da molte direzioni per non aprire le sezioni disponibili allegando inesistenti ragioni di sicurezza come per esempio a L'Aquila dove un intero piano detentivo veniva tenuto vuoto perché in quello sotto c'era Leoluca Bagarella, o ancora del padiglione D2 di Viterbo capace di quasi 400 posti che non veniva aperto perché la direzione non provvedeva, da anni, a collegare con un metro di tubo la rete fognaria a quella comunale. O a Cassino dove la nuova sezione detentiva da oltre cento posti non veniva aperta perché mancavano due rubinetti delle cucine e la direzione, invece di comprarli con i fondi dell'economato, aveva inserito l'istanza di finanziamento dei pochi spiccioli necessari in una richiesta di rifacimento del muro di cinta per milioni di euro e che quindi sarebbe stata concessa dopo anni. E tutto ciò senza parlare delle numerosissime ex sezioni femminili perfettamente agibili e presenti in tante carceri e totalmente inutilizzate».

Per Sabella al Pagliarelli di Palermo vi è stata per molto tempo una sezione, originariamente prevista per oltre 250 donne, che non veniva aperta. Ma come possono essere trasformati i dati delle carceri? «Sulle capienze ufficiali il discorso sarebbe troppo lungo», precisa il giudice. «Mi limito a segnalarle che i dati ufficiali forniti dal Dap non corrispondevano nemmeno con quelli che mi avevano fatto avere i Provveditori regionali con scarti anche rilevanti di diverse migliaia di posti detenuto. Avevo infatti effettuato delle verifiche e avevo accertato, per esempio, che per il servizio informatico del Dap il Piemonte aveva una capienza inferiore di 1.400 posti rispetto a quelli che si ottenevano sommando i dati che mi avevano comunicato dalle singole carceri piemontesi e lo stesso era avvenuto per il Lazio con 1.200 posti in meno».

La responsabilità dell'occultamento dei posti detenuti, secondo Sabella, non è da attribuire ai direttori, i quali «svolgono con vera abnegazione e professionalità un compito difficilissimo». Il nostro Paese ha adottato, con rare eccezioni, la scelta del regime chiuso nel senso che i detenuti, compresi quelli considerati di bassa e media sicurezza, vengono tenuti nelle loro celle per 20 ore al giorno e fanno, normalmente, due ore d'aria in cortile e due di socialità ma sempre all'interno della loro sezione. Ciò, se da un lato rende inutilmente più gravose le condizioni di vita dei detenuti, tanto che l'Italia è ai primi posti nel mondo occidentale per suicidi ed atti di autolesionismo in carcere, dall'altro comporta che almeno un agente debba costantemente trovarsi all'interno della sezione per controllare i detenuti, posto di servizio - secondo ambienti del Dap - particolarmente sgradito al personale di Polizia penitenziaria. Da qui la scelta dei direttori di operare la concentrazione dei detenuti in modo da poterli controllare con un numero minore di agenti.

Nel carcere di Bollate vi sono 1.038 detenuti e 381 agenti di polizia penitenziaria, di questi solo 250 lavorano con i carcerati. E in questo istituto viene applicato il regime aperto. I detenuti sono liberi di circolare nella struttura. Non vi è sovraffollamento, nonostante il numero di reclusi, e lo scorso anno vi sono stati solo otto episodi di autolesionismo e nessun suicidio. Un dato che dimostra come questo regime aperto funzioni. Per i gravi motivi che affliggono il sistema penitenziario il deputato Augusto Di Stanislao (Idv) ha proposto alla Camera l'istituzione di una commissione d'inchiesta. E in una mozione sottolinea le condizioni di insicurezza in cui è costretta a lavorare la polizia penitenziaria rivelando che «mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti di giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale (circa 6 mila agenti al giorno, ndr.) è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei». Sulla base dei dati negativi del sovraffollamento il governo ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale e ha previsto, oltre all'assunzione di 2 mila poliziotti, la costruzione di 47 nuovi padiglioni (entro il 2010, quando finirà l'emergenza) e poi di 18 nuovi istituti, con 21.709 posti in più. Nel frattempo i detenuti sono diventati 64.406, i suicidi dietro le sbarre sono 72, e l'Italia è stata condannata per la prima volta dalla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo per «trattamenti inumani e degradanti » a causa della mancanza di spazio nelle carceri.

Per rendere esecutivo il piano è stato nominato commissario delegato Franco Ionta, capo del Dap, il quale avrà poteri «eccezionali in deroga alle procedure ordinarie» per velocizzare e semplificare le gare d'appalto, e potrà avvalersi, in deroga alle norme in vigore, anche di consulenti esterni e decidere la secretazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Insomma, l'iter della costruzione delle nuove carceri sarà semplificato, e sotto la regia del presidente del Consiglio, la documentazione relativa agli appalti potrà essere classificata come «riservatissima ». In questo modo consentirà di selezionare gli operatori economici interessati agli appalti e di proteggere tutta la documentazione relativa ai lavori milionari. Come braccio operativo avrà la Protezione civile spa ed a Ionta sono stati messi a disposizione 500 milioni di euro.


(21 gennaio 2010)

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