di Lorenza Carlassare
I nomi hanno un rilievo comunicativo fortissimo: chiamare ‘processo breve‘ ciò che il governo ha escogitato per risolvere, nell’immediato, problemi processuali che interessano il suo ‘Capo’ è una trovata che merita l’applauso.
Chi non vorrebbe, in Italia, finalmente un processo breve? La soluzione è elementare: se il processo è troppo lungo, basta fissare un termine entro il quale necessariamente si chiude. Un bel taglio netto, e voilà, come d’incanto il processo non c’è più. Ma l’interesse pubblico in nome del quale si esercita la giustizia penale è, anch’esso, cancellato?
Ciò che colpisce innanzitutto è l’irragionevolezza di queste norme. A prima vista sembra una considerazione banale, priva di rilievo sul piano giuridico. Ma non è così; la ‘ragionevolezza’ delle leggi è uno dei criteri con i quali la Corte costituzionale misura le norme che vengono sottoposte al suo giudizio. Anche nella sentenza recente, n. 262/2009, che dichiara la illegittimità del ‘lodo Alfano’ si legge che, se la finalità della sospensione dei processi per le Alte cariche fosse quella di tutelare il diritto di difesa degli imputati, la previsione di una presunzione assoluta di legittimo impedimento derivante dal solo fatto della titolarità della carica, senza la possibilità di verificare se davvero l’impedimento sussista, “sarebbe intrinsecamente irragionevole e sproporzionata”. Qui di ragionevole non c’è nulla. Sembra il gioco di un bambino capriccioso: se qualcosa lo infastidisce, preme un bottone e la fa sparire.
Nella stessa motivazione della proposta del processo breve, è detto che il principio della ragionevole durata del processo è “espressione di un sistema efficiente, che non si attarda più del dovuto nell'affermazione della verità giudiziale” come più volte ha affermato la Corte europea dei diritti dell'uomo. Tutto vero e giusto oltre che costituzionalmente doveroso: in base all' art.111, comma 2, la legge “assicura la ragionevole durata” del processo.
Ma come si realizza questo obiettivo? Come riconoscono gli stessi sostenitori dell’emendamento innanzitutto, si realizza in primo luogo “attraverso una valida organizzazione giudiziaria” . Viene da chiedersi perché, allora non abbiano provveduto a questo. In verità, come tutti sanno e ripetono, l’obiettivo si realizza innanzitutto eliminando le difficoltà che attanagliano l’amministrazione della giustizia: aumentando i fondi, aumentando il personale senza il quale i magistrati non possono procedere spediti, aumentando il numero stesso dei magistrati, assolutamente inadeguato nelle sedi più difficili. Questi sono rimedi ‘congrui’; altrimenti fissare termini perentori il cui decorso porta all’estinzione del processo ha solo effetti distruttivi.
Rispetto al fine dichiarato, la riduzione della durata dei processi, dunque, il rimedio previsto è assolutamente incongruo. La fine automatica dei processi che superano il tempo fissato più che un rimedio è la vanificazione della funzione cui il processo è destinato. Inoltre ne è evidente la sproporzione rispetto al risultato: per ridurre i tempi, si distruggono i processi. Che dire del lavoro svolto inutilmente, delle energie e delle risorse sprecate, delle lunghe indagini condotte, talora, in condizioni difficilissime? Tutto sparito. Non so quanto in concreto queste norme incideranno sui processi; i numeri forniti non concordano: forse non molto sui processi dove la colpevolezza o l’innocenza è più facile da accertare; molto su quelli complessi. Proprio quelli dove la pericolosità e il danno sociale causato dall’estinzione è più grave. E’ vero che l'emendamento stabilisce un aumento dei termini in relazione ai reati puniti con pene particolarmente elevate, che “richiedono un'attività dibattimentale complessa”; e prevede che, “qualora la pena detentiva sia pari o superiore nel massimo a dieci anni di reclusione, detto termine sia aumentato di un terzo”. Ma l’aumento previsto sarà sufficiente?
Infine, va segnalato che la “ragionevole durata” viene perseguita anche per il giudizio di responsabilità contabile: decorsi i tempi fissati, nel giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti il processo è estinto!
Nella stessa motivazione della proposta del processo breve, è detto che il principio della ragionevole durata del processo è “espressione di un sistema efficiente, che non si attarda più del dovuto nell'affermazione della verità giudiziale” come più volte ha affermato la Corte europea dei diritti dell'uomo. Tutto vero e giusto oltre che costituzionalmente doveroso: in base all' art.111, comma 2, la legge “assicura la ragionevole durata” del processo.
Ma come si realizza questo obiettivo? Come riconoscono gli stessi sostenitori dell’emendamento innanzitutto, si realizza in primo luogo “attraverso una valida organizzazione giudiziaria” . Viene da chiedersi perché, allora non abbiano provveduto a questo. In verità, come tutti sanno e ripetono, l’obiettivo si realizza innanzitutto eliminando le difficoltà che attanagliano l’amministrazione della giustizia: aumentando i fondi, aumentando il personale senza il quale i magistrati non possono procedere spediti, aumentando il numero stesso dei magistrati, assolutamente inadeguato nelle sedi più difficili. Questi sono rimedi ‘congrui’; altrimenti fissare termini perentori il cui decorso porta all’estinzione del processo ha solo effetti distruttivi.
Rispetto al fine dichiarato, la riduzione della durata dei processi, dunque, il rimedio previsto è assolutamente incongruo. La fine automatica dei processi che superano il tempo fissato più che un rimedio è la vanificazione della funzione cui il processo è destinato. Inoltre ne è evidente la sproporzione rispetto al risultato: per ridurre i tempi, si distruggono i processi. Che dire del lavoro svolto inutilmente, delle energie e delle risorse sprecate, delle lunghe indagini condotte, talora, in condizioni difficilissime? Tutto sparito. Non so quanto in concreto queste norme incideranno sui processi; i numeri forniti non concordano: forse non molto sui processi dove la colpevolezza o l’innocenza è più facile da accertare; molto su quelli complessi. Proprio quelli dove la pericolosità e il danno sociale causato dall’estinzione è più grave. E’ vero che l'emendamento stabilisce un aumento dei termini in relazione ai reati puniti con pene particolarmente elevate, che “richiedono un'attività dibattimentale complessa”; e prevede che, “qualora la pena detentiva sia pari o superiore nel massimo a dieci anni di reclusione, detto termine sia aumentato di un terzo”. Ma l’aumento previsto sarà sufficiente?
Infine, va segnalato che la “ragionevole durata” viene perseguita anche per il giudizio di responsabilità contabile: decorsi i tempi fissati, nel giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti il processo è estinto!
Un bell’incoraggiamento per i ‘virtuosi’, un passo avanti nella questione morale, una riaffermazione sicura dell’etica repubblicana.
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