venerdì 22 gennaio 2010

Lo spettacolo mal riuscito della politica


22/1/2010
GIAN ENRICO RUSCONI


Sulla scena politica si profila uno scontro istituzionale e costituzionale di portata decisiva. Ma la società civile è assai meno coinvolta di quanto non appaia dall’enfasi, dal fragore, dalla cacofonia della stampa e del circuito mediatico che è tutt’uno con la politica. La società civile precipita lentamente nella depressione e nell’attendismo.

In quale grande nazione democratica il premier può permettersi di dire che la giustizia del Paese, che governa, è un plotone d’esecuzione puntato su di lui - senza che si verifichi un soprassalto di indignazione? Invece da noi si reagisce con sarcasmo, con un’alzata di spalle, con cinismo. E molti danno ragione al premier.

Vista dall’esterno, la vita politica italiana si muove in tre spazi che hanno un rapporto problematico tra di loro. Per usare la metafora dell’opera teatrale, c’è la scena su cui si rappresenta o si svolge la trama della politica in senso stretto - governo del premier, partiti politici, istituzioni di garanzia costituzionale (Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale). Poi c’è la sala del pubblico che talvolta fischia, talvolta applaude identificandosi con gli attori in scena. Ma da qualche tempo ormai sta a guardare perplesso, diffidente, distratto.

Nell’opera musicale tra la scena e il pubblico c’è lo spazio intermedio dell’orchestra («la fossa dell’orchestra») che nel nostro caso è occupato dal sistema mediatico di stampa e televisione che accompagna e amplifica la voce dei protagonisti ma anche e soprattutto dà o dovrebbe dar voce al pubblico.

Naturalmente qui la metafora funziona poco, perché soltanto qualche audace opera d’avanguardia richiede un’attiva interazione tra scena e pubblico - che quasi sempre finisce in una bagarre. Ma la politica italiana oggi è proprio questo: uno straordinario spettacolo interattivo mal riuscito. Sulla scena c’è zuffa continua, nella fossa dell’orchestra trionfa la cacofonia, in sala crescono l’indifferenza e la depressione.

Ma lasciamo le metafore per concentrarci sulla scena politica. È evidente che il governo del premier - chiamiamolo con il suo nome - ha accantonato ogni ipotesi di intesa non solo con l’opposizione ma nei confronti delle istituzioni della Repubblica che non esita a definire pubblicamente ostili - prima fra tutte la magistratura. Questo dichiarato stato di guerra fredda è possibile per due ragioni. Da un lato, la stabilizzazione di un ceto politico devoto e dipendente da Berlusconi al di là di ogni aspettativa. Dall’altro, l’impotenza, anch’essa al di là di ogni aspettativa, dell’opposizione politica. Solo a partire da questi due dati di fatto si può capire l’attuale situazione.

Oggi Berlusconi è in grado di compattare attorno a sé, nella sua strategia di autodifesa personale e nei suoi progetti politici, un ceto politico (maggioritario in termini aritmetici) che identifica il proprio destino politico con quello del Cavaliere. È un fatto oggettivamente straordinario che non ha trovato ancora una spiegazione convincente. Questo ceto politico (che è un mix di vecchio e di nuovo) è convinto che la sua fortuna politica dipenda letteralmente e totalmente dalla sopravvivenza politica di Berlusconi. Sin tanto è convinto di questo, seguirà il Cavaliere nella sua guerra contro la magistratura e contro l’intera struttura istituzionale della Repubblica se e quando ostacola i suoi progetti.

Ma quello che appare un punto di forza della maggioranza deve diventare il punto di attacco dell’opposizione. Il fuoco del confronto, del dibattito, della dialettica politica va spostato dall’ossessiva concentrazione sulle parole, sulle mosse, sui tic del Cavaliere e va riorientato verso il gran numero dei politici che lo seguono. Sono loro che vanno cercati e sfidati nel confronto sui temi della giustizia e del presidenzialismo. Sanno articolare ragioni e argomenti o sono soltanto ripetitori del Cavaliere?

Al momento nessuno sa quale esito avrà lo scontro sulla giustizia che arriverà a toccare i due organi di garanzia per eccellenza del nostro sistema democratico: la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica. Il pessimismo sulla condizione spirituale della nazione (mi si perdoni questa espressione obsoleta nella nostra età volgare) non si spinge al punto da temere o ipotizzare qualcosa di irreparabile a questi livelli. Teniamo fermo l’ottimismo della volontà. Credo che la sfida più insidiosa si presenterà quando sul tavolo della politica compariranno i progetti sul rafforzamento delle competenze dell’esecutivo e le varie ipotesi di presidenzialismo. Occorre arrivare preparati, informati e competenti a quell’appuntamento. È bene che l’opposizione antiberlusconiana si prepari sin da ora. Sarebbe sbagliato e tragico coltivare un atteggiamento negativo e diffidente verso le riforme dell’esecutivo. Sarebbe intelligente giocare d’anticipo.

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