E assicura: “Vinco ancora”
Avevo seguito le primarie in Puglia anche nel 2005, dovevo intervistare i due candidati. Chiamai Francesco Boccia, che mi disse: “E’ venuto a sostenermi D’Alema, c’è un comizio alle 18.30, ci vediamo in sala”. Vendola mi disse: “Comincio alle 4.30 del mattino ai cancelli delI’llva, troppo presto?”. Aveva 10 comizi in calendario quel giorno. Mi convinsi allora che il deputato di Rifondazione avrebbe vinto le primarie, e quello che è accaduto domenica è stato solo il replay amplificato di una scena già vista: stesso avversario, stessa tempistica, stesso risultato.
Tele-sincretismo. Così ieri, nel giorno della sua nuova epifania mediatica, a Nichi Vendola è riuscito anche un piccolo miracolo sincretico e televisivo: comparire contemporaneamente su RaiUno a Porta a Porta e a L’infedele su La7. Possibile? Sì, perché il programma di Gad Lerner (che lo aveva prenotato con lungimirante intuito) è in diretta da Milano, e quello di Vespa registrato da Roma. E se non bastasse questo, per capire la dimensione della vittoria delle primarie dovrebbero aiutare le 25 richieste di intervista di ieri, compresa quella della cronaca di Usa today e l’arrivo precipitoso a Bari di un plotone di documentaristi desiderosi di filmare una nuova epopea. Anche la precedente vittoria, quella del 2005, produsse un libro (Nikita, di Cosimo Rossi) e un film (Nichi, di Gianluca Arcopinto).
Nessun passo indietro. Niente male per uno che fino a sabato sera veniva definito “un pazzo” dall’80 per cento del Pd pugliese, e ridicolizzato per la sua richiesta di elezioni primarie. Se c’è una cosa che ha reso possibile la vittoria rigeneratrice di Vendola è stata la sua capacità di non mollare nemmeno un centimetro rispetto a tutte le sirene di chi gli offriva risarcimenti, compensazioni e cariche, in cambio di un eventuale ritiro e di rinuncia alla richiesta delle primarie. Nei tempi in cui i leader di sinistra cambiano idea dalla mattina alla sera o sbeffeggiano l’idea di dimettersi la mattina, per poi annunciarla quella dopo (vedi Marrazzo e Delbono), Vendola ha avuto la capacità di non accettare nessuna mediazione e nessuna buonuscita. Ieri il governatore era magnanimo con tutti: “Ora siamo più forti”, diceva alle agenzie “D’Alema è stato coraggioso”, ribadiva ai giornali (un riconoscimento quasi perfido, a ben vedere). “Vinco anche le regionali”. “Mi volevamo come legna per il forno di Casini”, scherzava da Vespa.
Ma sempre ieri ha opposto un altro niet al voltafaccia volubile di chi una settimana fa gli voleva fare la festa e ieri gli porgeva un ramoscello d’Ulivo: “Non mi iscriverò mai al Pd”. Delle ore di racconti durante un viaggio in Puglia mi restano due immagini vividissime dell’uomo delle primarie. La prima, dolorosa e dolcissima: gli ultimi giorni del padre, scomparso a gennaio, dopo una lunga malattia. In quel tristissimo periodo di accompagnamento al fine vita, Nichi vedeva assieme a lui – quasi ogni sera – un’opera lirica. E quando era fuori Bari e chiamava a casa, il padre, immancabilmente gli chiedeva: “Me, Nichi! Oggi hai pensato ai poveri?”. Ma questa estate, quando avevano provato a tirarlo dentro l’inchiesta sul sistema Tarantini, quel padre che lo aveva consigliato per una vita non c’era: “Sono diventato grande allora”. E’ una delle tante immagini che i detrattori del vendolismo derubricano sotto il marchio sarcastico della “poesia”, e che per il governatore invece sono i pilastri di una identità “diversa”, moderna e antichissima insieme.
In realtà il tratto originale e raro della narrazione che “Nichi” ha offerto ai suoi elettori è proprio questo: il primato della lingua orale, e la velocità di Internet. E la capacità di trasformare la propria biografia in una narrazione. Prima di Obama, e dopo di lui. Un “Berlusconi rosso” ha detto il regista Amedeo Piva a Curzio Maltese. Una definizione che fa storcere il naso a molti, ma che rende l’idea della capacità di penetrazione interclassista (anche ben oltre i confini dell’elettorato di sinistra) del suo messaggio, dal mercato di Bari vecchia alla buona borghesia salentina, agli imprenditori dell’Olio e delle tecnologie ecosostenibili.
L’auto narrazione del vendolismo – a metà strada tra Montale e You-Tube – arriva dove nessuno poteva immaginare. “Populista”, dicono. Mentre lui risponde con orgoglio: “Combattere il populismo può significare solo andare verso il popolo, non allontanarsi da lui in nome dell’estetica radical chic”. Vendola è in grado di stupire, non solo quando dice che “combattere Berlusconi significa smettere di odiarlo”, ma anche quando aggiunge – spesso gridando – nei suoi comizi: “Io ho bisogno del mio avversario, perché è misurandomi con lui che definisco la mia identità”. Intanto, anche in nome di questa storia, per aiutarlo correva in piazza Riccardo Scamarcio, mentre gli stati maggiori del Pd non trovavano di meglio che arruolare (!) Er “califfo” – Franco Califano – per sostenere Boccia.
Connessione. Vendola chiedeva un seggio nelle università del nord? O davanti alle fabbriche? “Il Pd rispondeva no: “C’è il rischio che gli operai votino due volte” (non si è fatto più). “Vedi – raccontava – mi ricordo girando per la Puglia, che in mille angoli di questa regione ho stretto un nodo, un legame, la memoria di una battaglia. A Fasano sono arrivato quando nei primi anni ‘80 bruciarono una ragazza, Palmina. A Terlizzi ci siamo battuti per l’ospedale, a Brindisi contro chi voleva il rigassificatore...”. Prende in prestito una definizione dell’amato Gramsci: “E’ una connessione sentimentale con il popolo”. Se si prova a ragionare con i cannoni della vecchia politica bisognerebbe calcolare coi sondaggi quanto prendono l’Udc e la Poli Bortone. Ma nel tempo di Obama, ciò che concede possibilità di vittoria è che la narrazione continui. E che gli elettori possano aggiungere un capitolo con il loro voto.
lu.tel.
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