Un duro colpo alle banche con dei limiti severi alla speculazione finanziaria. Una bordata di accuse alla Corte suprema per la sentenza permissiva sul ruolo delle lobby nella politica americana. A 24 ore dalla batosta elettorale nel Massachusetts, Barack Obama passa al contrattacco. La Casa Bianca delle ultime settimane sembrava un fortino in stato d'assedio. Ora è lui che riprende l'offensiva.
Troppo a lungo aveva lasciato l'iniziativa alla destra populista, che ha scaricato sulle sue spalle tutte le responsabilità della crisi economica. Non aveva reagito mentre a sinistra cresceva la disillusione, quasi un senso di tradimento per le riforme mancate, quel dubbio terribile espresso nelle parole del Premio Nobel Paul Krugman che sul sito del New York Times sfoga la sua amarezza: "Obama non era quello che aspettavamo".
La débacle elettorale di Boston non ha solo sottratto al partito del presidente la maggioranza qualificata al Senato, indispensabile per evitare l'ostruzionismo repubblicano contro le riforme. Quel divorzio tra gli elettori e il partito del presidente nella culla del kennedysmo, è il segnale che si sfalda a una velocità impressionante il blocco sociale che stava dietro Obama. Il miracolo del novembre 2008 era stata la capacità di cementare una coalizione eterogenea di lavoratori ed élites pacifiste, di nuove generazioni e di minoranze etniche, insieme con una quota decisiva di ceto medio moderato e indipendente. Lo slogan obamiano del "cambiamento" fu capito in modi molto diversi da ciascuna di quelle categorie, ognuna delle quali ora è delusa. Dopo un anno al governo il carisma del leader non basta a prolungare l'equivoco. Più ancora che dalla sua notevole personalità, il miracolo elettorale del 2008 era stato consentito dalla maggiore recessione da 70 anni. La crisi non è più così acuta ma i disagi sociali restano gravi. Nella vorticosa accelerazione del ciclo politico e dell'informazione, una parte della società americana ha già scordato le responsabilità di otto anni di Amministrazione Bush, e di tutto chiede i conti al presidente attuale. Perciò la prima mossa di Obama ieri è stata il blitz contro Wall Street: per tornare dalla parte dell'economia reale, dei cittadini, e rimettere nel mirino i veri colpevoli del disastro. Raramente lo avevamo sentito così aggressivo. "La mia determinazione a riformare il sistema bancario - ha detto - è rafforzata dalla loro irresponsabilità. Vedo tornare i profitti-record, nelle stesse banche che pretendono di non poter fare credito alle piccole imprese, che non rimborsano gli aiuti di Stato ai contribuenti, che non abbassano i tassi d'interesse sulle carte di credito". Con scarso senso del tempismo, proprio ieri la Goldman Sachs annunciava 13 miliardi di profitti e 16 miliardi di gratifiche ai suoi dipendenti. La reazione di Obama: le banche che raccolgono risparmio con i depositi non potranno più investire fondi propri in Borsa, né detenere hedge fund.
L'altra cosa "di sinistra" Obama l'ha detta attaccando la sentenza della Corte suprema, con una virulenza inusuale per qualsiasi presidente degli Stati Uniti. L'alto organo costituzionale è dominato da giudici conservatori o addirittura reazionari, una stratificazione dovuta alle nomine di quattro presidenti di destra (Gerald Ford, Ronald Reagan, i Bush padre e figlio). Ieri, stracciando decenni di giurisprudenza in senso contrario, la Corte ha regalato una libertà assoluta nei finanziamenti alla politica. "È un semaforo verde per un'invasione dei poteri forti del denaro - ha denunciato Obama - è il trionfo dei petrolieri, di Wall Street, delle assicurazioni sanitarie private, che soffocheranno la voce dei cittadini americani". È un bel cambiamento di tono rispetto all'Obama ottimista e conciliante, quasi angelico, che per dodici mesi ha cercato di smussare i conflitti, di sottolineare sempre il positivo, di praticare l'ottimismo della volontà. Ecco un presidente che ora sembra dire ai suoi: da qui alle legislative di novembre è tutta campagna elettorale, serrate i ranghi e non sbagliate un solo colpo.
Al tempo stesso Obama è veloce nel mollare la zavorra che lo stava affondando. Ha capito di essersi intestardito anche troppo sulla riforma sanitaria. Non è tutto perfetto in quel progetto. Oltre a penalizzare le assicurazioni private, impone dei costi anche al ceto medio. In un paese profondamente liberista è arduo fare accettare l'obbligo universale di assicurarsi. Ora il presidente è disponibile a ripiegare su una mini-riforma, da portare a casa il più presto possibile, per spostare l'attenzione sulle vere priorità degli americani: il lavoro, la casa. Da qui alle legislative, dove Obama potrebbe addirittura perdere la maggioranza al Congresso, dieci mesi sono perfino pochi per divincolarsi dallo stato d'assedio. La destra che sembrava agonizzante un anno fa, è ripartita con un potente movimento dal basso, la rivolta anti-tasse del Tea Party che ricorda la rivoluzione conservatrice reaganiana. Hanno accerchiato la Casa Bianca con una manovra a tenaglia. Lo aggrediscono da destra sul terrorismo, sull'aborto, da "sinistra" accusando questa Amministrazione di avere aiutato nella crisi economica soprattutto Wall Street. Nessun errore è più consentito a Obama. Non quello di fidarsi troppo della propria intelligenza, del proprio talento, e della buona fede dell'opposizione. Con l'attacco frontale a Wall Street, e denunciando il denaro sporco che inquina la politica con il placet dei giudici di destra, il profeta idealista della riconciliazione nazionale ha riscoperto che in politica esiste anche questo: il nemico.
(22 gennaio 2010)
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