mercoledì 13 gennaio 2010

Pietro da Eboli

a cura di Mariano Pastore

Particula XV
Comitis percussio
et Salerni exaudita peticio

Cum comes egregius, Tancredi gloria spesque,
Cesaris invicti cernere castra velit,
Se tegit electis et menia scandit in armis,
Illudensque viris, ars quibus arcus erat.
Quem quis percipiens Liceum plicat 1 auribus arcum
Lapsaque per medias arsit arundo genas.
Ut fragor antique nemus ylicis implet et auras,
Turbine que rapido vulsa vel icta ruit,
Sic a strage tua, comes, omnis murmurat etas,
Et rex ille tuus de breve fit brevior.
At miser antistes comitis succingitur ense,
Polluit oblita religione manus.
Pars rate tuta vagans lunatos explicat 2 arcus,
Per mare quos sequitur nante 3 Boemus equo.
Supplicat interea preciose nuncius urbis,
Exponens iuvenum pectora, vota senum,
Corda puellarum, mentes et gaudia matrum,
Et quicquid voti mens puerilis habet.
Sic ait archoticon: «Veniens tua nobilis uxor
Sublimis sedeat patris in urbe sui.
Hic victor fera bella geras; tua nupta Salerni 4
Gaudeat et dubiam servet in urbe fidem.
Nam si bella placent, non desunt prelia longe:
Hen Turris maior bella diurna movet;
Est prope non longe Iufonis inutile castrum,
In quo furtivi militis arma latent.
Est prope dulce solum, nobis satis utile semper,
Ebolus, aspirans, quod petit urbis honor.
Est prope Campanie castrum, specus immo latronum,
Quod gravat Eboleam sepe latenter humum».
Hec ubi legatus fert coram principe mundi,
Magnanimis princeps: «Quod petis», inquit, «erit».
Protinus almipater Capuane sedulus urbis,
Suscipit a domino talia iussa suo:
«I, bone namque pater, mentis pars maxima nostre,
Facturus semper, quod mea nupta velit».
Hec ubi legatus notat impetrata Salerni,
Sollempnem peragunt gaudia plena diem.
Exiit edictum dominam cras esse futuram,
Cuius in adventum se sibi 5 quisque parat.
Particola XV c. 16 (109)b


La ferita del conte
e la richiesta esaudita di Salerno

L’egregio conte, gloria e speranza di Tancredi,
volendo osservare l’accampamento dell’invitto Cesare,
380 si circonda di uomini scelti e sale armato le mura,
prendendosi gioco dei soldati esperti nell’arco.
Uno, scorgendolo, accosta ben teso alle orecchie il licio arco
e la freccia che ne partì gli divampò in mezzo alle guance.
Come riempie il bosco e l’aria il fragore di una vecchia elce
385 che colpita e divelta da un furioso uragano precipita a terra,
così, o conte, tutti parlano della tua ferita,
e quel tuo re da piccol che era ancor più piccol diventa.
Ma il misero antistite s’arma della spada del conte,
e dimentico di esser uomo di Chiesa le sue mani contamina.
390 Alcuni navigando su nave sicura tendono gli archi lunati,
per mare li inseguono i Boemi su cavalli che vanno tra le onde.
E intanto viene supplice un messaggero della bella città,
riferendo i sentimenti dei giovani, i desideri dei vecchi,
i cuori delle fanciulle, i pensieri e la felicità delle madri,
395 e quante speranze può nutrire la mente di un fanciullo.
Così parla il Nunzio: «Venga la tua nobile sposa,
soggiorni nella città del suo illustre genitore.
Combatti tu qui e vinci le tue dure battaglie; la tua sposa
stia serena in Salerno e rafforzi la dubbia fede della città.
400 Volendo infatti far guerre, non mancano scontri lontano da qui:
ebbene, c’è Torre Maggiore che muove quotidiane guerre;
c’è nei dintorni, non lontano, l’inutile castello di Giffoni,
dove son nascoste armi di un soldato clandestino.
Vicino c’è un dolce suolo, a noi sempre molto utile,
405 Eboli, che all’onore di città aspira.
Non distante c’è il castello di Campagna, un covo di ladroni,
che spesso nascostamente opprime la terra di Eboli».
Quando il legato riferisce ciò innanzi al signore del mondo,
il magnanimo principe risponde: «Sarà quel che tu chiedi».
410 Subito il solerte santo padre della città di Capua
riceve queste istruzioni dal suo signore:
«Vai pure, padre generoso, grandissima parte del nostro cuore,
sempre son pronto a fare quel che la mia sposa vuole».
Appena il nunzio comunica in Salerno ciò che è stato ottenuto,
415 si trascorre tra grandi manifestazioni di gioia il giorno solenne.
Un editto informa che l’indomani verrà la regina
e tutti si preparano per il suo arrivo.

1Codex: plicat in luogo di applicat. 2Codex: explicat. W: explicit. 3Codex: nante -nte- su rasura per mano dell’autore. 4Codex: Saler -ni- aggiunto da mano posteriore. 5Codex: sibi. su rasura. Anche questa correzione è da attribuire a Pietro da Eboli
.

Ferimento di Riccardo d'Acerra colpito al volto da una freccia. Ambasciatori salernitani offrono a Costanza ammalata ospitalità nella città di Salerno.
vv. 378 - 391: Il Conte Riccardo sale sulla mura ad osservare lo schieramento avversario, ma, ferito, è costretto ad abbandonare il comando delle milizie normanne, che viene assunto dall’arcivescovo di Salerno Niccolò d’Ajello, figlio del cancelliere Matteo. Il forzato ritiro del conte, cognato di Tancredi e suo importante sostegno, reca nuovi motivi di paura al re normanno il quale, secondo il poeta sempre pronto al dileggio, da piccolo che era diviene ancora più piccolo (Et rex ille tuus de breve fit brevior.) v. 387. Pietro esprime la sua decisa condanna anche nei confronti del d’Ajello che, dimentico di essere uomo di chiesa, contamina le sue mani armandosi della spada del conte. Ma, per quanto riguarda la “circostanza che Nicolò d’Ajello cingesse la spada durante l’assedio di Napoli - dice il Siragusa - non trovo altro attestato. Fondandosi su questo accenno di Pietro da Eboli, qualcuno ha affermato (…) che, ferito il Conte d’Acerra, l’arcivescovo assumesse in sua vece il comando, e il Paesano (…) discute se un ecclesiastico possa far uso delle armi; e conclude che il fatto attribuito all’arcivescovo Nicolò era lecito e legittimo” (G. B. Siragusa, cit., p. 34, n. 3). Dice, inoltre, il Paesano: “è fuor di dubbio che l’azione in sé riguardata debba aversi più commendevole delle operazioni dell’arcidiacono Aldrisio” (G. Paesano, Memorie per servire alla storia della Chiesa Salernitana, Salerno 1855, p. 244 - 245). Egli esprime giudizi poco lusinghieri nei confronti di Pietro che considera poeta “servile” e “adulatore”, e non risparmia elogi verso quanti, a sostegno di Tancredi e della monarchia normanna, combatterono contro l’imperatore svevo. Tra i personaggi che il Paesano esalta vi sono naturalmente Niccolò d’Ajello, il padre cancelliere Matteo, il re Tancredi, che fu largo di benefici verso la Chiesa salernitana, e il Conte Riccardo d’Acerra di cui apprezza “l’arte e la prudenza” nella difesa di Napoli. Non lodevole, invece, è agli occhi del Paesano l’arcidiacono di Salerno Aldrisio, della famiglia degli Alfanidi, sostenitore fedele della causa imperiale.
vv. 392 - 407: Intanto Aldrisio, che fa parte della ambasceria venuta da Salerno, supplica l’imperatore affinché consenta a Costanza di recarsi nella sua città, che è sede della celebre scuola medica, dove potrà curarsi e rinsaldare con la sua presenza la fedeltà dei Salernitani verso la causa imperiale, fedeltà che ora appare dubbia perché la città, pur essendovi qui partigiani di Enrico VI, tra i quali gli Alfanidi, si è votata a Tancredi. Aldrisio ricorda all’imperatore che non mancano nella terra salernitana comunità a lui avverse come Giffoni e Campagna, quest’ultima definita spelonca di ladri (specus latronum) a differenza di Eboli, che viene detta, con felice e affettuosa espressione, dulce solum.
Pietro, evidentemente, profitta di questa circostanza per esaltare la sua terra d’origine e per rivendicarne l’aspirazione al titolo di città (urbis honor). Ma in quella definizione di Campagna specus latronum si avverte anche un’antica avversione campanilistica tra Campagnesi ed Ebolitani, viva un tempo non troppo lontano se ancora sul finire dell’altro secolo lo storico campagnese Antonino Vincenzo Rivelli, forse non a torto per la crudezza di quella espressione, mena scandalo nei confronti del poeta ebolitano e scarica su di lui e sulla magnificata Eboli ogni sorta di contumelie (servilismo di Pietro, vanità di Eboli per la sua aspirazione al titolo di città), esaltando a sua volta lo “spirito nazionale ed indipendente”, e di lealtà verso la Casa normanna, che allora animava Campagna, insieme a Giffoni, in odio verso l’imperatore svevo.
vv. 408 - 417: Enrico VI accoglie la preghiera di Aldrisio e lascia partire Costanza alla volta di Salerno.

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