Un avvocato delle Camere penali mi ha preannunciato in udienza uno sciopero di tre giorni contro il processo breve.
Gli ho chiesto se avessero in cantiere anche uno sciopero contro il processo greve.
Ho colto nel suo sguardo quella stessa espressione di indifeso stupore che avevo già visto in De Magistris quando, ricordandogli che tra i suoi principali indagati c’era un esponente dei Ds che si chiamava Adamo e un esponente di Forza Italia che si chiamava Abramo, gli chiesi se eravamo legittimati a pensare che la trasversalità della corruzione risaliva a tempi biblici. Eppure è prima di tutto contro la ridondanza, la superfluità, la farraginosità delle norme che appesantiscono il processo penale fino a condurlo a fasi di vera e propria paralisi che occorrerebbe protestare.
Prima che entrasse in vigore il codice del 1989 i 6 giudici penali della Pretura di Bologna depositavano 3.000 sentenze all’anno. Gli stessi 6 giudici, affiancati da 3 gip e da 11 pm, l’anno successivo depositarono 1.500 sentenze. E così l’anno dopo.
I principi di sana amministrazione avrebbero dovuto imporre ad ognuno qualche domanda e qualche ragionata risposta. Si è invece proceduto sulla stessa strada con nuove norme che da un lato appesantivano ulteriormente il processo e dall’altro accorciavano i tempi della prescrizione. Quasi tutte norme volte ad incrementare i sacrosanti diritti della difesa comprimendo, necessariamente, gli altri pilastri del processo e cioè la tutela delle parti lese e l’interesse dello Stato ad una efficace repressione del crimine.
Lo scandalo della prescrizione ha ormai trasformato il processo in una insana partita di rugby dove l’accusa, in un’orgia di gomitate e colpi bassi, cerca di placcare le fughe dei difensori verso la meta, senza che si riesca più ad occuparsi del merito se non nei ritagli di tempo concessi dalle eccezioni procedurali.
Parlo di scandalo perché la opinione pubblica è stata ormai incredibilmente condotta e fuorviata ad una mediatica indifferenza tra assoluzione e prescrizione. Quando dovrebbe essere chiaro che la prescrizione evita la galera ma non la vergogna, ove i fatti siano stati accertati.
Una soluzione che dovrebbe apparire preclusa agli uomini delle istituzioni per loro volontaria rinuncia a tale ambigua conclusione del processo o per esservi costretti da una opinione pubblica resa consapevole da una corretta informazione.
Pochi tratti di penna sul Codice di procedura penale potrebbero dimezzare i tempi del processo. A costo zero. Penso al divieto di aumentare la pena se l’imputato fa appello. Nessun tipo di giuoco ti consente una seconda chance gratis e senza rischio. A maggior ragione se non si tratta di un giuoco ma della efficienza delle istituzioni.
Lo stesso grado di appello andrebbe poi ripensato e ridimensionato dopo l’ipertrofico incremento delle garanzie difensive nella fase precedente il giudizio di primo grado (udienza di convalida, Tribunale del Riesame, udienza preliminare). Soprattutto se si pone mente al fatto che oggi, a differenza del passato, i giudici di primo e di secondo grado sono assolutamente intercambiabili per età, esperienza e preparazione giuridica.
Ma la inefficienza della giustizia, al di là dei proclami, fa comodo a molti. A molti che contano. Gli ultimi mostri legislativi in gestazione daranno il colpo di grazia.
Non mi stancherò mai di ripetere con l’amico Bruno Tinti che questo succede perché si vuole che sia così. Mi auguro che altri si associno a questo coro “eversivo”.
*giudice della Corte d’appello di Bologna
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