sabato 2 gennaio 2010

SANGUE PAZZO

Marco Tullio Giordana
interpreti:
Monica Bellucci
Luca Zingaretti
Alessio Boni
Mattia Sbragia
Cineboom.it
Antinoo

Sono i giorni a ridosso della Liberazione di Milano. Case distrutte, vicoli spenti, tutto è desolazione e remota ricostruzione. Una città in piedi, nonostante tutto. Come la voglia di giocare di due sudici bambini che, lungo una strada devastata dalla guerriglia, si rincorrono su una sola bicicletta. Arrotolando la pellicola di un nastro impolverato. È questo l’incipit del film che racconta la storia di Osvaldo Valenti (Luca Zingaretti) e Luisa Ferida (Monica Bellucci) due celebri attori, realmente esistiti, del periodo fascista. Un lungo rincorrersi di flashback, rimandi e divenire, come i fotogrammi di una pellicola che si avvolgono su se stessi, appunto.
Osvaldo è istrionico, salace, irriverente. Non teme e rispetta nessuno, in virtù della libertà di espressione e di pensiero che il suo status di attore deve garantirgli. Può sempre dire di essere un altro, in quel momento, a differenza di quelli che definisce gli “audieri”: coloro che non possono far altro che ascoltare e, in linea di massima, obbedire. Non risparmia quasi a nessuno il suddetto ruolo: registi in cerca di finanziamenti, attricette in cerca di carriera, riverentissimi camerieri e receptionist, ministri e autorità. Tutto, per Osvaldo, è palcoscenico dove esibire le sue capacità. E da cui rinfrancarsi con le droghe.
Luisa, invece, a differenza delle tante colleghe, non accetta compromessi: li gode, per scelta, con chi decide lei. Al di sopra della morale comune, delle convenzioni che vorrebbero le aspiranti starlette tutte moi
ne e promesse di orgasmo, ma soprattutto dall’”essere la donna di”. È lei che stabilisce cosa dire, come non abbassare gli occhi e chi far entrare nel suo letto. Affrontato ed acceso Osvaldo, si imbatte in Golfiero (Alessio Boni), regista ostile all’ideologia fascista che al tempo va imponendosi, che l’ha notata nelle sue numerose comparsate e vuol farne la sua attrice. Luisa si stupisce, apprezza e ricambia per come è abituata: ottenendo un gentile rifiuto che la lascia indignata. E pronta a consolarsi con l’irruente Osvaldo.

Nasce così la fama di Luisa Ferida, trasformatasi per l’occasione in una diva raffinata, di classe e che sa esattamente come comportarsi in ogni situazione. Anche le più imbarazzanti: che il popolino vorrebbe facessero arrossire ogni donna. Tranne lei, che in un mondo di uomini sa come sfruttarne le debolezze, senza mai esserne dominata. Tranne due: la potenza sessuale e carismatica di Osvaldo; l’estro creativo, l’onestà intellettuale e il distacco di fondo, mascherato da gentilezza, di Golfiero.
È tra queste due passioni che si dipanerà la sua vicenda, assieme alla quella d’Italia. Nazione che prima decide di entrare nel Secondo Conflitto Mondiale solo per saltare sul carro del vincitore e, mentre il presunto tale andrà a schiantarsi contro un muro, detto anche di Berlino, scoprirà quanto la politica di Mussolini sia da rinnegare, catalogandola tra i lati più bui della propria Storia. Così non faranno Osvaldo, Luisa e Golfiero, fedeli gli uni agli altri nella misura in cui possono esserlo due uomini così diversi innamorati della stessa donna. Che a sua volta, amandoli così tanto in modo diverso, non può ottenerne che uno alla volta. Nella stessa vita. Questa è, in grandissime linee, la trama di Sangue pazzo, l’intensa opera presentata a Cannes fuori concorso da Marco Tullio Giordana. Grandissime linee perché rappresentata non è solo la vicenda, in parte storica in parte romanzata, dei due attori, ma anche il pensiero, il costume, la morale e la coscienza di quegli anni. Un film importante e necessario, specie in questo tempo di dittatura velata, causata anche da chi, in sala, si permette di sussurrare a metà tempo “ma perché fare un film del genere proprio non lo capisco”. La risposta è la sempre invocata e, allo stesso modo, mancante memoria storica italiana. Anche per quanto riguarda la cinefilia.

Il pubblico italiano non è avvezzo, né meritevole. Mi verrebbe da dire, alle vicende piccole e grandi di casa nostra. Però si entusiasma per ciò che fa girare la distribuzione a stelle e strisce, quando un qualsiasi peto di sceneggiatura made in USA, sganciato e quindi ambientato ai tempi dei gangster o del Vietnam o della Guerra Fredda, crea il suo personaggio preferito. Magari da declinare in un'intera trilogia, telefilm, fumetto, gadget per il cellulare: non necessariamente in quest’ordine. Mentre non riesce ad immedesimarsi nei
panorami italiani, che siano Venezia, Roma o Milano; nelle immagini di repertorio dell’Istituto Luce, confrontando mentalmente l’attuale quiete movimentata di Piazza Venezia alla totale mancanza di senso dell’euforia della folla nei confronti di un nano, specie rispetto ai propri deliri di onnipotenza, che da quei balconi si affacciava; negli arredi che magari ha visto nelle stanze della nonna, in quegli abiti contegnosi che non dovevano esibire ma velare, nei caloriferi che annerivano le pareti e nello spirito, tutto italiano, di un attore che non vorrebbe essere l’America ma averne i mezzi, e che ribadisce ogni giorno la sua indipendenza. Anche di degradarsi, ed esibire con orgoglio il documento di identità che lo dice “cocainomane”. Perché lui può tutto, lui è il grande Osvaldo Valenti: e in virtù di questo può anche vestire i panni del tenente nella X Flottiglia MAS, mentre deride Mussolini definendolo un guappo, ed essere accusato di essere un sanguinario sadico dai partigiani.
Luca Zingaretti
si confronta con un ruolo difficilissimo, riuscendo a consegnarci un personaggio disincantato e cinico, innamorato della vita, della Sacra Arte che lo accende e di ogni vizio che preferisce, anche quello di prendere in giro ferocemente qualsiasi servo di potere, qualunque sia il suo colore d’appartenenza. Che, al tempo stesso, non rischia di fagocitare l’intera Storia che gli ruota intorno, e sovrastare i personaggi, tutti ugualmente importanti, per cui ama, soffre, urla, finge, rischia, sceglie. Monica Bellucci in autentico stato di grazia, come non si vedeva dai tempi della scena finale di Malèna di Giuseppe Tornatore, nonostante i limiti della voce e della dizione, a cui si è aggiunta un'improbabile cadenza francofona, riempie la scena in maniera sontuosa, e le sue espressività recitative crescono di pari passo con la maturità emotiva che il suo personaggio acquisisce: attraverso esperienze sentimentali, interiori e causate dalla guerra. Quasi ogni sguardo altèro e gesto delle mani è da applauso, e almeno 2 scene da sottolineare: il bacio che finalmente svela il vero rapporto tra lei e Gualtiero, simile nell’economia della narrazione alla morte di Melania in Via col Vento, e la masturbazione come requie per sedare il proprio uomo scosso dai fremiti dell’astinenza, a cui segue lo scambio tra la donna esausta di passioni e la ragazzina che deve ancora affacciarsi alla vita, e che fa loro da guardia.


Chi ha accusato il film di essere revisionista non è solo ridicolo: è revisionista. Come nel caso de La Caduta di Oliver Hirschbiegel, è più semplice dividere tutto in Bene e Male. Mentre vale sempre la pena, se l’obiettivo è comprendere non giustificare, indagare le ragioni che hanno portato a certe azioni e preparato determinati schieramenti. In una delle scene meno realistiche (non s’è poi capito perché Rambo può sterminare un intero esercito con un dito in culo, il capitano Steve Hiller può dare il benvenuto ad un alieno immenso con un sonoro pugno sul muso e un gladiatore può sfidare e battere l’imperatore Commodo nell’arena senza scatenare una sonora risata di almeno due lustri), ma ugualmente potenti ed intense del film, Osvaldo, inventa una falsa trama per Sangue Pazzo, l’iperrealistico film che sta girando. E con la divisa da tenente seduce le scolarette, terrorizza un inerme Gualtiero e racconta di come due uomini amino la stessa donna e non rappresentino uno il Bene e l’altro il Male. Sarebbe troppo semplice. E anche lei, la donna, è Bene e Male insieme. Del resto, lo stesso Pertini, che esultò alla finale dei Mondiali del 1982 intenerendoci tutti, è lo stesso che, storicamente, fu pesantemente coinvolto nella condanna a morte di due probabili innocenti. Colpevoli di aver goduto di (tanta) fama e (poca) fortuna in un ventennio così osteggiato. Del resto, ci sono epoche in cui siamo tutti comparse.

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