domenica 10 gennaio 2010

Se questi sono uomini



10/1/2010
BARBARA SPINELLI


Il futuro in cui siamo già immersi comincia nella piana di Gioia Tauro: a Rosarno in provincia di Reggio Calabria (un’autentica guerriglia urbana è ancora in corso), come a Castel Volturno e a Reggio stessa, dove la ’ndrangheta ha voluto intimidire i magistrati con un attentato alla procura generale. Il futuro comincia a Rosarno perché i principali problemi della nostra civiltà si addensano qui: le fughe di intere popolazioni dalla povertà e dalle guerre (guerre spesso scatenate dagli occidentali, generatrici non di ordine ma di caos); le vaste paure che s’insediano come nebbie, intossicando la vita degli immigrati e dei locali; le cruente cacce al diverso; il dilagare di una mafia esperta in controllo mondializzato.

A ciò si aggiunga l’impossibilità di arrestare migrazioni divenute inarrestabili, perché da tempo non si trovano italiani e cittadini di Paesi ricchi disposti a fare, allo stesso salario, i lavori fatti da africani. Si aggiunga l’ipocrisia di chi crede che la risposta consista in un’identità monoculturale da ritrovare.

E la menzogna di chi non sopporta lo sguardo inquieto e assicura: abbiamo già praticamente vinto le mafie, Gomorra appartiene al passato, è «un vecchio film in bianco e nero», come dice Maroni. Non per ultimo, si aggiunga lo Stato che perde il controllo del territorio e il monopolio della violenza: i neri a Rosarno combattono contro ronde private di locali, infiltrate da ’ndrangheta e armate di fucili. Il pensiero della Lega è egemonico e le rivolte vengono associate, dal ministro Maroni, non alle mafie ma all’immigrazione clandestina che si promette di azzerare sanando ogni male. È inganno anche questo. Quando in Francia s’infiammarono le banlieue, nel novembre 2005, Romano Prodi disse che il fenomeno, mondiale, non avrebbe risparmiato l’Italia. Fu deriso e non creduto.

Non era menzogna invece. È vero che l’Italia ha da anni una reputazione cupa, e impaura a tal punto immigrati e fuggitivi da suscitare, nei loro animi, il senso di schifo di cui parla Balotelli. Gran parte dell’Europa ha una cupa reputazione, ma questo non scusa i nostri misfatti e silenzi: il silenzio del sindacato soprattutto, abituato a proteggere pensionati e operai delle grandi industrie (ormai dei privilegiati) e del tutto afasico sull’intreccio mafia, immigrati, sfruttamento. Il massimo della spudoratezza è raggiunto quando i nostri ministri citano Zapatero o Sarkozy, quasi che gli errori altrui nobilitassero i nostri. Quasi che non esistesse, in Italia, quel sovrappiù che è il potere malavitoso. Le rivolte di questi giorni discendono dal fallimento dello Stato e lo rivelano. È la conclusione cui giunge il prezioso libro di Antonello Mangano, scritto sui ventennali disastri di Rosarno e Castel Volturno. Il titolo è: Gli africani salveranno Rosarno - E, probabilmente, anche l’Italia (Terrelibere.org 2009).

Le rivolte odierne hanno infatti una storia alle spalle, occultata dai politici e da molti giornali. Coloro che a Rosarno hanno reagito con ira distruttiva a un’ennesima aggressione contro i lavoratori neri (due feriti a colpi di carabina, giovedì) sono gli stessi che nel dicembre 2008 si ribellarono alla ’ndrangheta. Erano stati feriti quattro immigrati, e gli africani fecero qualcosa che da anni gli italiani non fanno più. Scesero in piazza, chiedendo più Stato, più giustizia, più legalità. Contribuirono alle indagini dei magistrati con coraggio, rompendo l’omertà e rischiando molto.

Denunciarono gli aggressori a volto scoperto, pur non essendo protetti da permessi di soggiorno. È vero dunque: gli africani salveranno Rosarno e forse l’Italia, come scrive anche Roberto Saviano. Poco prima della rivolta a Rosarno si erano ribellati gli africani a Castel Volturno, il 19 settembre 2008, rispondendo a una sparatoria di camorristi che aveva ammazzato sei immigrati.

Quel che è accaduto dopo è una sciagura prevedibile, e per rendersene conto basta vedere come vivono, gli africani dell’antimafia. Sono eloquenti più di altri i video di Medici senza Frontiere, che parlano di crisi umanitaria nella piana di Gioia Tauro. Il rapporto che Msf ha redatto nel 2008 ha un titolo ominoso: «Una stagione all’inferno», come il poema di Rimbaud. Difficile descrivere altrimenti gli africani che vivono in stabilimenti industriali abbandonati, come la cartiera «La Rognetta» a Rosarno, o l’oleificio dismesso presso Gioia Tauro. Dentro l’oblò del silos per l’olio: giacigli di stracci. Tutt’intorno, fuochi e soprattutto rifiuti, montagne di rifiuti tra cui vagano, tristi ombre, esseri umani che si costruiscono alloggi di cartone o tende senza sanitari. Vedere simili paesaggi ricorda Gaza, gli slum pachistani: non è vita primitiva ma l’osceno connubio tra architetture industriali moderne, indigenza estrema e apartheid. Un africano dice sorridendo a Medici senza Frontiere: «Tra l’una e le quattro di notte inutile provare a dormire. Troppo freddo».

Ci nutriamo volontariamente di menzogne, come il protagonista nel poema di Rimbaud, quando diciamo che quest’oscenità nasce dall’eccessiva tolleranza verso i clandestini. Abbiamo chiamato noi gli africani a raccogliere aranci, consci che nessuno lo farà a quel prezzo e per tante ore (25 euro per un giorno di 16-18 ore; 5 euro vanno a caporali mafiosi e autisti di pullman). E la tolleranza denunciata da Maroni non è verso i clandestini ma verso le condizioni in cui vivono clandestini o regolari.

Dopo aver tollerato tutto questo, e versato nella regione milioni di euro finiti in tasche sbagliate, ogni stupore è fuori luogo. I tumulti odierni non sorprendono: se questi africani non son uomini, come s’intuisce nei video, impossibile che non sboccino, prima o poi, i Frutti dell’Ira di John Steinbeck. Scritto nel ’39 durante la Grande depressione, il libro Furore poteva sperare, almeno, nel New Deal di Roosevelt che noi non abbiamo.

Ne abbiamo tuttavia bisogno, di un New Deal, che metta fine all’apartheid e non si limiti a spostare immigrati come mandrie da un posto all’altro. Perfino i poliziotti, spiega Antonello Mangano, dicono che la risposta non può essere solo punitiva, che gli africani sono una comunità mite, che le migrazioni continueranno. Con l'estendersi delle catastrofi climatiche saranno enormi, gli esodi. Le grandi crisi si affrontano con grandi scommesse, iniziali, fondatrici di nuove solidarietà. Non è vero che
la questione della cittadinanza viene per ultima. Non è vero neppure che i liberal e la Chiesa sono retrogradi, come scrive Angelo Panebianco sul Corriere. Pensare in grande l’integrazione è preparare oggi il futuro.

Dicono che l’identità stiamo smarrendola, a forza di rinunciare alle nostre radici e di convivere con diversi che ci condannano al meticciato.

Anche questa è menzogna
. In realtà siamo già cambiati: non perché incomba il meticciato tuttavia, ma perché la nostra identità non è più quella ­ curiosa, accogliente, porosa ­ che fu nostra quando emigravamo in massa e incontravamo violenza. È un ottimo viatico l’ultimo libro di Gian Antonio Stella (Negri Froci Giudei - L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli 2009): si scoprirà che la mutazione già è avvenuta, nel linguaggio della Lega e nella disinvoltura con cui si accettano segregazioni che trasformano l’uomo in non uomo.

L’identità che abbiamo perduto, la recuperiamo solo se non tradiamo quella vera inventandone una falsa. Solo se sblocchiamo le memorie e ricordiamo che le sommosse antimafia dei neri prolungano le rivolte italiane condotte, sempre in Calabria, da uomini come Peppe Valarioti e Giannino Losardo, i dirigenti comunisti uccisi dalle ’ndrine nel 1980. Solo se scopriremo che il nostro problema irrisolto non è l’identità italiana, ma l’identità umana. Le scuole non hanno bisogno delle quote del ministro Gelmini (non più di tre alunni su dieci per classe in tutta Italia, come se Gesù avesse imposto quote di accesso alla stalla di Betlemme: non più di tre Magi). Hanno bisogno di insegnare il mondo che muta. Altrimenti sì, è l’inferno di Rimbaud: «L’Inferno antico: quello di cui il Figlio dell’Uomo aperse le porte».

5 commenti:

riccardo uccheddu ha detto...

Per anni, se non per decenni ci siamo abbeverati a varie fontane di menzogna ed ipocrisia.
Una di questa fontane, una delle più false e malsane faceva dilagare nelle menti di tanti la rassicurante acqua che gli italiani non fossero razzisti.
Vediamo tutti che ciò è falso.
Ma in effetti, non lo sapevamo da tempo?
Quando i meridionali andavano a lavorare al nord, non erano trattati come bestie? Questo, da altri italiani.
Ai meridionali non si affittavano gli appartamenti, se non a prezzi esorbitanti; spesso, comunque, si trattava di tuguri.
Ho visto documentari girati nei primi anni '60 in cui il meridionale doveva "vivere" in catapecchie di poco "superiori" a quelle in cui "vivevano" i neri di Rosarno.
Paese senza memoria, l'Italia...
E Paese anche senza riconoscenza per persone che vivono e lavorano in condizioni neo-schiavistiche. Che vergogna!
E il razzismo di chi si trova ai più alti vertici delle istituzioni, perciò dovrebbe COMBATTERLO anzichè stimolarlo, fa il resto. Un resto tragico.
Sicuramente i calabresi razzisti saranno una minoranza (oltre che un'assurdità sul piano storico e morale), però apriamo gli occhi: il razzismo è un problema anche ITALIANO.
Le ronde, poi, non dovrebbero proprio esistere: perchè non si rafforzano invece polizia, guardia di finanza e carabinieri?
Chi sono quelli che entrano in queste ronde, chi li conosce, che affidabilità e competenza hanno, a che cosa mirano?
Esprimiamo tutti la nostra solidarietà ai "dannati della Terra" (per citare una definizione di Fanon) ed opponiamoci al razzismo, se vogliamo chiamarci ancora "Italia" e non la dantesca "nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello"!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Constato che la Barbara Spinelli ti piace, è una gran donna, una grande pensatrice.
Convengo con tutto quanto hai scritto, aggiungendo però che il razzismo, a mio giudizio, nasce nel terremo fertile dell'ignoranza, trasversale a tutte le regioni italiane, solo che laddove ci sono lavori da fare che comportano tanta fatica anche per solo otto ore giornaliere arrivano questi derelitti, trattati come abbiamo visto.
Il razzsismo peggiore è quello di coloro che, pur possedendo un bagaglio di conoscenze e di studi (evidentemente mal fatti), lo praticano perchè è la via più facile per scongiurare la paura del diverso. I peggiori sono quelli che lo fanno per cinico calcolo politico. La sinistra parlamentare qui ha gravissime responsabilità, dire storiche, che coinvolgono però tutto il nostro molto mediocre ceto politico.

riccardo uccheddu ha detto...

Sono d'accordo, Luigi.
C'è sicuramente molta differenza tra il razzismo di chi è razzista per ignoranza, e quello di chi lo è per (come scrivi) "cinico calcolo politico."
Concordo anche (benchè io ritenga che siano minori, ma comunque reali) sulle colpe della sinistra parlamentare ed anche su quelle della sinistra che ora si trova fuori dal parlamento.
Penso infatti che in questi ultimi anni la difesa del fondamentale valore dell'uguaglianza sia stata fatta con poca convinzione o comunque, con discorsi troppo astratti, intellettualistici.
Il ragazzo italiano che lavora in officina, in un cantiere, in campagna ecc., solidarizzerebbe con l'immigrato, se gli si spiegasse IN MODO CHIARO che sono entrambi sfruttati e carne da macello sul mercato del lavoro... entrambi schiavi, molto spesso, di imprese legate alle varie mafie.
In un libro di un certo Richard Gambino intitolato "Vendetta", si parlava di una sorta di cooperativa siciliana a New Orleans in cui lavoravano fianco a fianco immigrati appunto siciliani e neri.
I razzisti locali si scatenarono contro questo nobile esempio di integrazione, ma secondo me solo quella, anche oggi, può far superare il razzismo.
Certo, il controllo dei media da parte di lorsignori esiste e si fa sentire, sulla mente di tanti...

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Hai ragione, sono razzisti di loro, sia la Lega che l'ex-AN e non poco PdL.
Il calcolo politico cinico è quello non solo di cavalcare la paura, l'insicurezza, ma di provocarla, addirittura, per proclamare interventi di facciata, solo 'per annunci' e guadagnarsi (si fa per dire) il consenso popolare (con questo popolo non è difficile).
Intanto, gli agricoltori di Rosarno hanno rinunciato a far raccogliere gli agrumi prodotti, il motivo è facilmente intuibile, e il prodotto sta marcendo sugli alberi.
Sperano, anzi invocano il ritorno dei 'neri', pensa un po'!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Riccardo, mi mandi la tua e-mail? La mia la trovi nel mio profilo.