di Marco Travaglio
Mentre tutto frana e i tappi saltano, ci restano due o tre certezze, due o tre punti fermi a cui appigliarci. E dobbiamo ancora una volta ringraziare il Pompiere della Sera per averceli regalati.
Il primo è il nepotismo. Pensavate che fosse una cosa brutta? Nossignori. L’ambasciatore Romano indossa la feluca e sentenzia: “Vi sono occasioni e circostanze in cui la scelta di un uomo o di una donna non dipende soltanto dal loro profilo professionale, ma anche dal clima di sintonia, affinità culturale e fiducia reciproca che occorre sul luogo di lavoro. Nella diplomazia e nella politica… La trasmissione di un mestiere da una generazione a un’altra non è soltanto nepotismo”.
Evviva: ritorna la legge salica, la trasmissione delle cariche di padre in figlio. Wow, come siamo moderni!
La seconda certezza è Bertolaso specializzato, più che nel nepotismo, nel cognatismo. Nonostante tutto ciò che emerge ogni giorno a suo carico (anche dalle cronache del Corriere), è già tornato in odore di santità.
Fior da fiore dal severo ritratto di Fabrizio Roncone. “Nervi di ferro”. “Forza d’animo”. “Il comandante”. “Occhi di ghiaccio”, e questo “non è un altro stupido modo di dire”. Anzi.
Davanti a San Guido, il cronista innamorato scopre pure “dosi di innegabile astuzia dialettica” e “una calma che può venire solo dal talento e dal mestiere”. “Rassicurante”. “Lucido, da subito”. “Sicuro, netto”. “Alla sua posta elettronica scrivono a centinaia”. E poi “un mucchio di sms”, non solo da Anemone. “Il coraggio spavaldo con cui prima indossa un abito grigio davanti alla commissione Ambiente (applaudito da una scolaresca) per dire ‘sono dimissionario, ma resto perché il governo me lo chiede’; poi, al tramonto, infila il maglioncino blu da battaglia e accetta di essere ospite a Ballarò, dove gli fanno trovare Di Pietro”. Non una massaggiatrice: Di Pietro. “Rischia, e gli va bene. La voce non gli si spezza, tutt’altro”. Alla fine “molti del pubblico gli chiedono autografi”. Forse anche l’implacabile Floris. “Scena destinata a ripetersi a Matrix”, dove lo mette all’angolo il feroce Lesso Vinci. E la moglie Gloria intanto che fa? “Tace composta”. E le figlie Chiara e Olivia? “Scrivono una commossa lettera”. E lui? “Capisce che è il momento di tornare sull’elicottero”. E via, verso le nuove catastrofi calabro-sicule contro cui
Sistemato Bertolaso, il Pompiere si dedica al “principe tronista”, al secolo Emanuele Filiberto di Savoia, che in pochi mesi è riuscito a trasformare gli ultimi monarchici in sfegatati repubblicani e, in un solo Festival, a sputtanare quel che resta della cultura di destra con la partecipazione straordinaria di Pupo e Lippi. Un trust di cervelli. Del nobiluomo si occupa Aldo Cazzullo, altra penna acuminata. “Piace a una vasta platea degli italiani”. Del resto “nutrire sentimenti negativi per lui è davvero difficile”. “Bello, educato, sempre sorridente anche sotto i fischi”. Ecco: non è una paresi, è un sorriso. “Pettinato da cristiano e vestito da manager: camicia bianca, giacca e cravatta, però con risvolti tricolori”. “Se Umberto non riconobbe mai
Come diceva Montanelli, “i Savoia sono come le patate: la parte migliore è sottoterra”.
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