lunedì 1 febbraio 2010

Ciancimino jr contro il generale Mori "Provenzano godeva di immunità"


Il boss Bernardo Provenzano, pur latitante, non poteva essere arrestato, in virtù di un patto fra lo Stato e Cosa Nostra. Lo ha detto Massimo Ciancimino nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo dove ha deposto al processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per la mancata cattura del Boss Provenzano. Secondo Ciancimino, Provenzano godeva di una sorta di immunità territoriale.

Ciancimino junior, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, ha parlato di una trattativa tra Stato e Cosa Nostra dopo le stragi del ’92, che avrebbe visto tra i protagonisti anche Mori, allora capo dei Ros dei carabinieri. Secondo l'accusa nonostante le informazioni che sarebbero state fornite da un confidente non si sarebbe voluto catturare Provenzano il 31 ottobre del 1995 a Mezzojuso, paese a pochi chilometri dal capoluogo. Mori e Obinu sono imputati in particolare del mancato successivo sviluppo delle indagini. Questi fatti avrebbero una spiegazione nel contesto di un patto tra mafia e Stato, dopo la stagione delle stragi e la cattura di Totò Riina.

«Conosco Bernardo Provenzano da sempre, fin dalla mia infanzia - ha detto stamane Ciancimino jr -. Trascorrevamo insieme anche la villeggaitura, negli anni Settanta, quando avevo 7-8 anni. Mio padre gli dava del tu: frequentava Provenzano, che io chiamavo "signor Lo Verde", da molto tempo, anche per un rapporto di vicinato. Erano entrambi di Corleone». Poi Ciancimino ha aggiunto: «Mio padre mi disse che Provenzano godeva di una sorta di immunità territoriale per cui, anche da latitante, poteva muoversi liberamente. Questa immunità era garantita da un accordo, che risaliva al maggio '92, alla stipula del quale aveva partecipato proprio mio padre».


Per spiegare i suoi rapporti con il capomafia, ha detto che «volendo preservare i miei fratelli che avevano carriere professionali, sono stato delegato da mio padre come quello che poteva essere sacrificato». Per il padre, Ciancimino junior faceva anche da postino: «Mi è capitato di ricevere o consegnare direttamente nelle mani di Provenzano qualche lettera. Mio padre usava particolare accortezza per questo scambio di "pizzini": li buttava nel water, li bruciava, o li tagliava a pezzetti. Spesso faceva le fotocopie perchè temeva che si potessero trovare le sue impronte: quando scriveva le lettere usava addirittura dei guanti».

E ha proseguito: «Scoprii che la persona che conoscevo come "signor Lo Verde" era Bernardo Provenzano negli anni Ottanta. Ero dal barbiere a Palermo. Sfogliando una rivista, mi pare "Epoca", vidi una sua foto. Nella didascalia c’era scritto che si trattava del boss latitante. Quando ne parlai con mio padre, lui mi disse: "Stai attento con il signor Lo Verde, perchè da questa situazione non ti salva nessuno».

Don Vito Ciancimino, secondo il figlio, investì denaro a Milano 2 e aveva rapporti costanti con i Servizi segreti. «Parte del denaro di mio padre, negli anni 70, fu investito in una grossa operazione edilizia realizzata nella periferia di Milano chiamata Milano2». A convincere Ciancimino a investire il denaro a Milano furono i costruttori Franco Bonura e Nino Buscemi. Inoltre «Il giorno della sepoltura di mio padre un uomo dei servizi segreti mi consegnò un biglietto di condoglianze di Provenzano. Era un certo Franco, con cui mio padre aveva rapporti fin dagli anni ’70: a creare il contatto fu l’ex ministro dell’Interno Franco Restivo».

Il patto che consentiva a Provenzano libera circolazione era ferreo: «Tra il ’99 e il 2002 venne più volte a casa nostra a Roma. Veniva quando voleva, senza appuntamenti. Tanto mio padre era agli arresti domiciliari». Il padre gli diceva che il rischio di questi incontri era maggiore per lui che per Provenzano, dato che a lui avrebbero potuto revocare i domiciliari, mentre «Provenzano era garantito da un accordo».

Alcuni incontri tra Vito Ciancimino e il vicecomandante del Ros sarebbero avvenuti prima della strage di via d’Amelio. Gli incontri duravano circa una ora e mezza e si svolgevano in casa dell’ex primo cittadino di Palermo. «È successo alcune volte, due o tre, dopo la morte del giudice Falcone e poi dopo», ha spiegato Ciancimino jr. «Per mio padre comunque era sbagliato cercare il dialogo con Cosa nostra, dopo le stragi. Lui diceva che era come mettere benzina nel radiatore».

3 commenti:

ultimobandito ha detto...

Quello che dice Ciancimino, penso sia vero, ma non capisco o forse mi è sfuggito il perchè si sia deciso a rivelare le sue conoscenze proprio ora.

In ogni caso mi fa piacere che segui anche il mio blog.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Credo che abbia a che fare con la circostanza che tutti i big di Cosa Nostra sono in carcere e che il personaggio sia in fase d'appello in un procedimento penale conclusosi in primo grado con una sentenza di condanna.
Opportunismo, è ovvio.
Ma che ci frega? Con quello che sta rivelando, dopo i riscontri puntuali, qualcosa di grosso succederà.
Forse, anzi senza forse, anche per questo motivo è grande la frenesia di modificare lo Stato di diritto, a beneficio di una sola persona.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

To ho aggiunto sulla mia sidebar.