sabato 20 febbraio 2010

Diktat bulgaro per Internet


di Loris Mazzetti

Silvio Berlusconi, dal giorno dell’editto bulgaro, 18 aprile 2002, che determinò la chiusura del Fatto di Enzo Biagi, di Sciuscià di Michele Santoro e la fine della carriera in Rai di Daniele Luttazzi, come gli ha suggerito l’amico Previti, non ha più fatto prigionieri, soprattutto quando qualcuno tenta di inserirsi tra le sue aziende e le risorse pubblicitarie e quando c’è chi si oppone al “pensiero unico”: cioè il suo. Ne sa qualcosa Sky (prima l’aumento dell’Iva dal 10 al 20%, poi la nascita di una seconda piattaforma satellitare), così come le oltre 50 testate che con il taglio del 20% del fondo per l’editoria, previsto in Finanziaria, rischiano di chiudere. Per Winston Churchill: “La democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato”, per Berlusconi, invece, la democrazia esiste quando uno dei due non può parlare.

A subìre il prossimo editto, vestito ufficialmente da decreto, quello del sottosegretario con delega alle Comunicazioni Paolo Romani, è il mondo del Web. Il governo in risposta ad una direttiva del Parlamento europeo sui media audiovisivi, mette mano a quello che oggi è il settore mediatico che gode di maggiore libertà.

A lanciare l’allarme è stata la stessa Commissione europea che nutre serie perplessità sulle nuove responsabilità che il decreto Romani pone agli Internet service provider come Fastweb e Telecom Italia, in quanto la direttiva europea vieta obblighi preventivi sul commercio elettronico come, invece, obbligherebbe il decreto del governo, se approvato definitivamente.

In sostanza Romani vorrebbe sottoporre la trasmissione delle immagini sui siti (dalle Web tv a YouTube), alle regole audiovisive tipiche della tv e a una preventiva autorizzazione ministeriale, ciò cambierebbe totalmente l’attuale funzionamento della Rete.

Il sottosegretario Romani alle accuse risponde che si tratterebbe soltanto di una “comunicazione di inizio attività per i siti con prevalenza di trasmissione di immagini in movimento”.

La realtà invece è quella che ha sottolineato il presidente dell’Autorità per le Comunicazioni, Corrado Calabrò: “Un filtro generalizzato su Internet da una parte è restrittivo, dall’altra è inefficace perché è un filtro burocratico a priori”.

"Il problema su Internet esiste”, ha poi aggiunto Calabrò, “però non è un caso che nessun paese occidentale abbia adottato la soluzione Romani”.

L’Italia come la Cina.

A questo punto una domanda sorge legittima: Perché il Web fa tanta paura a questo governo? La Rete è il luogo della comunicazione, tutto passa, nulla può essere nascosto. Durante la guerra del Kosovo, le informazioni da Belgrado arrivavano, nonostante la censura dei serbi di Milosevic, da Radio B92 che trasmetteva clandestinamente via Internet; grazie alla Rete, il regime di Teheran ha subìto un grosso colpo, i blog iraniani hanno informato il mondo, le televisioni straniere hanno fatto grande uso delle immagini prese dai siti aggirando così la censura. Le immagini della morte di Neda, sempre grazie al Web, hanno fatto il giro del mondo e sono diventate il simbolo della protesta al regime di Ahmadinejad. Se in Abruzzo non ci fossero stati i blogger con le loro telecamere digitali dai giorni successivi al terremoto, dall’informazione televisiva non avremmo mai saputo che il miracolo del duo Berlusconi-Bertolaso, oltre a tante altre cose non fatte, non ha mai contemplato la rimozione delle macerie dalle zone più colpite, ormai integrate nel territorio e ricoperte d’erba nel frattempo cresciuta abbondantemente.

Credo che sia legittima una seconda domanda: “Obama sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti senza Internet?”. Aldo Grasso scrive sul Corriere della Sera che “dopo anni in cui è prevalsa l’ideologia dell’informazione free (sul Web no copyright) si è scoperto che a beneficiare di ingenti guadagni non sono i giornali, ma altri soggetti”, aggiungendo poi, “con la crisi della pubblicità l’informazione non può più essere gratuita”.

Se ciò accadesse la Rete rischierebbe di fare la fine della televisione, dove un imprenditore è padrone di tre reti e altre tre le controlla perché è anche presidente del Consiglio.

Questo è il motivo per cui la Rete deve rimanere libera e chi lavora nell’informazione non deve temere la sua libertà, anzi, la deve garantire. Per questo il governo vuole imbavagliare il Web: lì ogni opinione ha un valore a prescindere dalla firma, e tutti possono ancora esprimere liberamente il proprio pensiero senza condizionamenti.

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