di Antonio Padellaro
La peggiore storia italiana ci ha abituati a ruberie di ogni genere da parte di affaristi manigoldi in combutta con politici degni compari. Ma non si ricorda una scena come quella dei due costruttori amici di un amico della Protezione civile. Esultanti per il terremoto che ha appena spianato L’Aquila. Raggianti al pensiero della fetta a loro destinata nel bottino della ricostruzione.
Quei due rappresentano lo spirito di un tempo triste dove, per dirla con un altro “imprenditore” a fauci spalancate: “Possiamo pigliare tutto quello che ci pare”.
Purtroppo è così: tutto è permesso alla “cricca dei banditi e degli appalti”, altra autodefinizione ribalda di chi, vivendo nel paese delle immunità e delle impunità, si sente giustamente al sicuro: e a noi che ci tocca, e a noi chi ci tocca? Finché un giorno la magistratura scoperchia il pentolone dei grandi eventi trasformati in emergenze nazionali per meglio distribuire montagne di quattrini in deroga a leggi e controlli. E accusa un gruppo di pubblici ufficiali di avere asservito la loro delicata funzione, che comporta la gestione di enormi poteri e di rilevantissimi importi, in modo totale e incondizionato agli interessi di tal Anemone, costruttore romano.
Ci interessa poco sapere che tipi di massaggiatrici frequenti Bertolaso. Fatti suoi.
Altre sono le domande che lo riguardano visto che di quella Protezione civile intrisa di “corruzione gelatinosa” e assalita da torme di anemoni affamati, il capo onnipotente è lui. Nella consueta tirata contro i pm che “devono vergognarsi”, questa volta il lord protettore Berlusconi non ha tenuto conto dello schifo di cui si è fatto interprete il sindaco de L’Aquila. Un sentimento largamente collettivo. Il limite della decenza è stato superato.
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