martedì 2 febbraio 2010

GLI ECONOMISTI CONTRO VOLTREMONT


Un’analisi amerikana del grande bluff intellettuale del ministro
Pubblichiamo un’anticipazione del libro “Tremonti, istruzioni per il disuso” (Ancora del Mediterraneo 187 pp., 14,50 euro) in libreria da mercoledì.
Gli autori sono quattro economisti del blog collettivo noisefromamerika.org  
di Alberto Bisin Michele Boldrin Sandro Brusco Andrea Moro e Giulio Zanella


Tremonti ha francamente scocciato. Non tanto per quello che fa in qualità di ministro dell’Economia, visto che fa veramente poco, ma soprattutto per quello che dice. Siccome fa politica ed è uomo potente, quello che dice conta: orienta l’opinione pubblica e definisce i termini del dibattito. Da un pezzo vanta improbabili doti divinatorie, come per esempio l’aver “previsto la crisi nel 1995”: se l’avesse fatto sarebbe certamente l’uomo più ricco del mondo.
Non bastasse, ingiunge un po’ a tutti di riservare rigoroso silenzio. Sembra aver raggiunto l’obiettivo: Giulio Tremonti, in Italia, gode d’un silenzio-assenso sempre più vasto. A noi questo sembra deleterio, quindi proviamo a criticarlo. Lo facciamo prendendo in esame i suoi principali scritti e atti di governo. La nostra critica si basa su logica, aritmetica e quel poco di economia che basta.
Per non prendere il tutto troppo sul serio e per non lesinare sulla nostra irriverenza, ci immagineremo Tremonti come Voltremont. Chi è Voltremont? Bè, Voltremont è, nella nostra immaginazione, il cugino politico di Lord Voldemort, il Signore del Male della saga dei libri per ragazzi del maghetto Harry Potter.
Tutto si tiene, visto che Tremonti ha invitato gli economisti a starsene zitti in quanto “maghi” di scarsa efficacia e utilità. Essendo noi economisti di professione, egli non si stupirà se da maghi ci sentiamo circondati: Voltremont ci pare quindi l’Oscuro Signore che imperversa nelle terre italiche. Meglio, il Signore Oscuro; nel senso che quanto dice è spesso incomprensibile, o vuoto di significato, o incoerente.
Ciò che ci spinge è il modesto desiderio di sgonfiare una bolla intellettuale e politica, quella di Giulio Tremonti, che è venuta montando in Italia da alcuni anni a questa parte.
IL DIBATTITO NO. Ha avuto, e ancora ha circolazione nella stampa italiana, l’impressione che ci sia una qualche sorta di dibattito intellettuale tra gli “economisti” e Giulio Tremonti sul modo appropriato di analizzare l’economia e la società. Non c’è nulla del genere. Dal suo lato Tremonti, l’accusatore, non offre nulla se non una specie di cicaleccio postmoderno del quale gli scienziati – quelli veri, non quelli anemici come noi scienziati sociali – amano farsi beffe. Dall’altro sembra quasi che gli “economisti”, almeno in Italia, abbiano paura di esporsi e di discutere. Voltremont li ha insultati e li ha invitati a starsene zitti. E loro cosa hanno fatto? In maggioranza hanno obbedito, mentre la minoranza che ha continuato a parlare ha fatto finta che le roboanti affermazioni di Giulio Tremonti avessero un fondamento tecnico e fossero da prendere sul serio. Preferiamo non stare al gioco. Non perché si abbia la verità in tasca, tutt’altro, ma perché, mentre noi sappiamo di saper ben poco, Voltremont non sembra essere cosciente di sapere ancora meno.
QUELLO CHE NON SA.
Tanto per cominciare, dimostra di non sapere che gli “economisti” tendono a differire su moltissime questioni sostanziali. Una delle poche cose, forse l’unica, che li tiene insieme è il metodo di lavoro. Tutti trovano necessario esplicitare le ipotesi fatte, mostrare il processo logico che porta dalle ipotesi alle conclusioni, e poi comparare le conclusioni raggiunte con la realtà osservata. Se funziona, bene, altrimenti si ricomincia. Sbagliando s’impara. A questo serve il metodo scientifico che ogni economista che si rispetti adotta. Le critiche che Voltremont muove agli economisti sono proprio critiche all’uso del metodo scientifico nelle scienze sociali, metodo che non gli permetterebbe di scrivere le cose che scrive. Questo viene ben spiegato nell’introduzione a “La paura e la speranza”, a pagina 8  , dove l’ascia del nostro si abbatte nientepopodimenoche sull’illuminismo: nella grande famiglia delle idee il “mercatismo”, la fanatica forzatura del mondo nel liberismo economico, la fede illusoria in cui tantissimi hanno creduto negli ultimi anni, ha un antenato molto illustre : l’illuminismo. Un antenato lontano più di due secoli e certo molto più prestigioso e famoso. Ma il mercatismo ne è comunque l’ultimo discendente, un discendente astuto e calcolatore, commerciale, terminale. Voltremont non ci spiega in quale senso la cosa misteriosa che lui chiama “mercatismo” discenda dall’illuminismo (né, per evitare di far confusione, noi tireremo a indovinare), quindi chissà cosa vorrà dire. Affermando che il mercatismo è figlio dell’illuminismo sottintende che di mali si tratta. Delle due l’una: o sta dando aria alla bocca o sta affermando che l’illuminismo fu dannoso senza dirci perché. Che preferisse le tenebre oscurantiste delle verità rivelate? Non è impossibile. Come il Grande Inquisitore di Dostoevskij, Tremonti sembra dire agli italiani: “Voi avete paura e non può essere altrimenti in questo mondo esposto a dei fatali rischi. Datemi dunque il potere e io vi restituirò la speranza di cui avete bisogno”. Non sorprende, quindi, il suo insinuare che l’illuminismo fu un male. Non sia mai che la gente si metta a pensare con la propria testa e non si faccia più intimorire.
CHE FARE? Qual è l’alternativa? Cosa propone di fare Voltremont ? Non cercate risposta nei suoi scritti, perché non la troverete. Troverete invece visioni oniriche, frasi roboanti e la sicumera di essere l’unico al mondo investito, in modo misterioso, da una qualche sorta di conoscenza esoterica da usare per dispensare previsioni (solitamente apocalittiche) e offrire soluzioni magiche. La conoscenza esoterica ovviamente non è soggetta all’analisi razionale, non può subire l’indegnità di essere rapportata ai dati. Può solo essere distribuita al popolo in pillole e per frasi ieratiche. Voltremont non è il solo che manifesta questi atteggiamenti. I suoi messaggi sono quelli tipici degli impostori intellettuali che Alan Sokal e Jean Bricmont hanno così ben descritto in Intellectual impostures. Ci faremo pertanto ispirare da Sokal e Bricmont, che così scrivono nelle prime pagine del loro libro: “In molti casi dimostreremo che se i testi sembrano incomprensibili, questo è per l’eccellente ragione che non vogliono dire un bel niente”. Il filosofo Harry Frankfurt è autore di un divertente libretto intitolato Bullshit, una parola speciale che in inglese si usa per replicare a chi, con una brillante faccia tosta, parla senza sapere, inconsapevolmente o mentendo. Anche in italiano esistono parole equivalenti e altrettanto efficaci, ma ne useremo una che non ci faccia suonare troppo offensivi: balle. Frankfurt sostiene che le balle sono inevitabili ogniqualvolta le circostanze impongano a qualcuno di parlare senza sapere di cosa stia parlando. Quindi la produzione di balle è stimolata ogniqualvolta gli obblighi o le opportunità di parlare su un certo argomento eccedano la conoscenza dei fatti rilevanti. Questa discrepanza è comune nella vita pubblica, dove le persone sono frequentemente costrette – per loro propensione o perché altri glielo richiedono – a parlare in maniera estesa su questioni sulle quali sono in tutto o in parte ignoranti. Questo paragrafo descrive alla perfezione la produzione dei testi di Voltremont.

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