di Gianni Barbacetto
Quando una storia di successo s’incrina, tutto crolla. E tornano a far tintinnare le loro catene anche i vecchi fantasmi, dimenticati negli anni degli applausi. Capita così anche a Silvio Scaglia, il torinese che in pochi anni è riuscito a diventare uno dei venti uomini più ricchi d’Italia, uno dei mille più ricchi del mondo. Ora che è caduto in una faccenda di riciclaggio che ha tra i suoi protagonisti anche uomini della ’Ndrangheta, quelli che sembravano semplici dubbi dentro una straordinaria parabola manageriale, diventano sinistri scricchiolii.
L’ingegner Scaglia cresce in Omnitel e, diventato nel 1995 amministratore delegato, fa vincere la sfida al secondo operatore telefonico nel paese appena uscito dal monopolio Telecom. Gli italiani scoprono di non poter più fare a meno del telefonino e Omnitel diventa il suo primo successo. Nel settembre 1999, quando Carlo De Benedetti vende Omnitel, Scaglia s’inventa, con il finanziere milanese Francesco Micheli, il suo secondo successo: e.Biscom. Gli italiani, già impazziti per il cellulare, scoprono la new economy e quando e.Biscom viene quotata in Borsa, nel 2000, le azioni vanno a ruba, alla bella cifra 160 euro. Con il bendiddio raccolto, Scaglia e Micheli iniziano a investire nella rete a fibra ottica, per telefonia e Internet ad alta velocità. Entra in scena Fastweb, il terzo successo di Scaglia, che promette telefonia, Internet e tv, tutto direttamente a casa, a banda larga.
Il salto nel futuro avviene però con un pasticciaccio ancora oggi difficile da decifrare. L’operazione parte a Milano, dove viene presentata con toni enfatici: “Milano come Palo Alto e Stoccolma, le città più cablate del mondo”. A vendere i servizi sulla rete sarà Fastweb (60 per cento e.Biscom, la società di Scaglia e Micheli, 40 per cento Aem, l’azienda energetica comunale). Ma a posare i cavi intanto è Metroweb (67 per cento Aem, 33 per cento e.Biscom) che prevede d’investire 500 miliardi di lire in dieci anni e comincia a stendere 3.200 chilometri di fibra ottica. È chiaro che, nei primi anni, c’è tanto da spendere e poco da guadagnare: infatti Metroweb s’indebita fino a 200 milioni di euro.
Intanto e.Biscom ingrassa: i due soci hanno versato un capitale di 38 miliardi di lire, ma grazie al rapporto che hanno saputo costruire con Aem e il comune di Milano (sindaco Gabriele Albertini, city manager Stefano Parisi, assessore molto attento all’operazione Sergio Scalpelli), la loro creatura cresce fino a valere, secondo Merrill Lynch, ben 12 mila miliardi. “Il colpo del secolo”, scrive Massimo Mucchetti. In consiglio comunale c’è chi comincia a sentire puzza di bruciato: il verde Basilio Rizzo nel 2000 chiede “se il know how e la presenza di Aem abbiano avuto una valutazione congrua”.
Nel 2003, la situazione si sblocca. In un modo magico (per Scaglia e Micheli): Fastweb viene acquistata tutta da e.Biscom, Metroweb tutta da Aem. I debiti al pubblico, i soldi al privato. Non solo: a pagare lo scambio è di fatto Aem, che sgancia 37 milioni di euro a Scaglia e Micheli per avere Metroweb e poi versa loro altri 240 milioni, sottoscrivendo un prestito obbligazionario convertibile in azioni e.Biscom.
I due maghi prendono i soldi così incassati (277 milioni) e li girano a Aem per impadronirsi di Fastweb. Neanche Totò avrebbe fatto di meglio. Negli anni seguenti, Metroweb nuota nei debiti e alla fine, nel 2006, il comune (intanto come sindaco è arrivata Letizia Moratti) la vende. Sottoprezzo, a una strana società lussemburghese,
Nel 2007, Scaglia annusa che è tempo di mollare: si fa sotto Swisscom, valuta Fastweb 3,7 miliardi di euro e lancia un’opa amichevole sull’azienda, offrendo 47 euro per azione. L’ingegnere cede il suo 19%, incassa e realizza il suo quarto successo. Diventa ricchissimo e inventa il suo ultimo giocattolo, la web-tv platform Babelgum. Poi, in un paio d’anni, le azioni vendute crolleranno a 20 euro e Fastweb perderà più del 50% del suo valore, ma ormai il colpo è fatto. Ora scopriamo che una bella fetta dei ricavi della società erano realizzati con operazioni illegali, evadendo l’Iva per 400 milioni, con strani amici calabresi di Isola di Capo Rizzuto. Una straordinaria storia italiana di successo si rivela una storia italiana e basta.
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