lunedì 8 febbraio 2010

La bolla si sgonfia. Bertolaso provvederà


di EUGENIO SCALFARI

LA BOLLA delle Borse si sta sgonfiando. Poco male. Le Borse sono il terreno di gioco degli speculatori e anche un serbatoio al quale attingono le imprese per rifornirsi di capitali, sempre che il risparmio vi affluisca. Da qualche tempo però il risparmio privilegia investimenti sicuri e possibilmente remunerativi. Per tutto il 2009 ha privilegiato i titoli emessi dagli Stati; negli ultimi mesi ha cambiato direzione preferendo i "bond" emessi da imprese solide. Che la bolla borsistica si sgonfi per loro non è un dramma: prima o poi si riprenderà.

Ma attenzione: le Borse sono anche un termometro che segnala tendenze e aspettative. Da questo punto di vista i vistosi ribassi dei giorni scorsi, registrati sia in Europa sia a Wall Street, mandano messaggi sinistri che non possono esser sottovalutati.

Il significato è chiaro: il 2010 (ma anche l'11 e forse perfino il 12) sarà eguale se non peggiore del "terribile" 2009. Questa volta non si tratta d'una crisi immobiliare e bancaria: in prima fila ci sono i cosiddetti "fondi sovrani", cioè i deficit giganteschi accumulati dagli Stati del G7, cioè europei e nordamericani. È quello il ventre molle della crisi economica mondiale nell'anno secondo del suo percorso.

Berlusconi - non so se in buona o cattiva fede perché in lui le due cose coincidono - ha finora sostenuto che la crisi non c'era mai stata in Italia e che comunque ormai era finita in tutto il mondo. I suoi ministri e il coro dei "replicanti" della sua maggioranza parlamentare hanno ripetuto questi suoi esorcismi. Tutti tranne Tremonti.

Berlusconi è infuriato perché - dice - "Giulio è sempre di cattivo umore e a me tocca il compito di rassicurarlo, ma non ci riesco".

Lo credo. Tremonti conosce la realtà, che non è tale da suscitare allegria. Le barzellette del "boss" sulla Madonna potranno far ridere i frati di Betlemme ma non il responsabile dell'economia italiana.

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Il reddito della Grecia rappresenta il 4 per cento del totale dell'Unione europea; quello del Portogallo anche meno. Quello spagnolo parecchio di più; vanno aggiunti i paesi baltici e l'Ungheria, anch'essi in pessime acque. Ma in teoria non si tratta di ordini di grandezza tali da affondare l'Europa. La seconda linea di resistenza è rappresentata dal Fondo monetario internazionale. Quindi i "default" di questi Stati non configurano un dramma. In teoria.

Certo la speculazione può trarre spunto da questa realtà per spingere il ribasso e far esplodere la bolla; in questo caso per puntare su un deprezzamento del cambio dell'euro nei confronti del dollaro. Se le banche centrali del G7 volessero tagliar le gambe alla speculazione ribassista potrebbero farlo agevolmente. In teoria.

In pratica le cose stanno diversamente. La Germania è decisamente contraria ad accollarsi l'onere di salvataggi altrui; quanto agli Usa il debito pubblico accumulato dal paese-leader di tutto l'Occidente è enorme, le misure finora previste da Obama sono ridicolmente insufficienti a invertire il "trend". In queste condizioni pensare che gli Usa possano esser parte attiva di interventi mirati a sistemare i default altrui è fuori da ogni ragionevole ipotesi.

In realtà il rischio maggiore proviene proprio dal debito interno americano, per riportare il quale a livelli di sicurezza entro il 2012 come promette Obama sarebbe necessaria una cifra da capogiro di 3.000 miliardi di dollari.

Questo è il vero spettro che grava sull'economia mondiale, aprendo paurosi scenari di inflazione accompagnata dal persistere di una recessione produttiva e dall'ulteriore contrarsi del commercio internazionale e dell'occupazione.

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Brilla ancora una volta per la sua incompetente dissennatezza la sortita di ieri del nostro presidente del Consiglio che ha vantato la sua politica di "diminuzione del peso fiscale" e lo slancio della nostra economia "in fase di robusta ripresa".

Il peso fiscale è, al contrario, nettamente in aumento, lo dicono i dati ufficiali dell'Istat, della Banca d'Italia e dello stesso Tesoro. È in aumento il rapporto deficit/Pil (oltre il 5 per cento) ed è in aumento lo stock di debito pubblico che è già al 117 per cento del Pil e marcia speditamente verso il 120.

Quanto alla ripresa produttiva, dovremmo avere un aumento dell'uno per cento quest'anno, "rebus sic stantibus". Ma le cose non resteranno affatto ferme.

Peggioreranno. Per cause esterne ed interne. Scadranno in primavera importi molto consistenti di titoli pubblici che dovranno essere rinnovati. Con l'aria che tira e con analoghe massicce scadenze in Germania, in Gran Bretagna e in Usa, avremo un mercato internazionale in piena agitazione, con tassi di remunerazione in crescendo e relativi maggiori oneri per il servizio degli interessi sui debiti.

Il nostro premier meriterebbe d'essere interdetto per dissennatezza economica e demagogia politica. Tremonti è di cattivo umore e gli fa il broncio: una lite tra compari che si scaricano vicendevolmente comuni responsabilità.

Anche il nostro superministro dell'Economia ne dice di cotte e di crude rivaleggiando col suo Capo. Al G7 del Polo Nord ha proposto ieri che il Fondo monetario diventi un organo politico, guidato dai ministri dell'Economia e non dai tecnici ed ha annunciato che in primavera presenterà un piano d'azione mirato a questo obiettivo.

La casa continua a bruciare e lui si preoccupa di saldare i conti col governatore della Banca d'Italia. Ma da quale cielo ci sono piovuti addosso personaggi così calamitosi? Debbono aver colpe assai grandi gli italiani per esserseli meritati.

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Come tutto ciò non bastasse, il governo ha trovato il modo di litigare pubblicamente anche con la Fiat che ha deciso di chiudere nel 2011 lo stabilimento di Termini Imerese. La lite verte sugli incentivi. La Fiat non li vuole, il governo è ben lieto di non darglieli più e si accende la polemica sul passato e sul futuro: la Fiat è stata un'azienda mantenuta dallo Stato? Che farà d'ora in poi senza quel mantenimento? Diventerà la donna onesta che non è mai stata?

Una polemica assurda. La Fiat è stata, dal 1948 in poi, il potere forte per eccellenza. La più grande azienda italiana insieme all'Eni di Enrico Mattei. I governi hanno sempre sponsorizzato la sua politica e la Fiat, in cambio, non ha lesinato i suoi finanziamenti alla Dc e alle sue correnti. I governi l'hanno spinta ad uscire dal Piemonte e decentrare nel Sud una parte delle sue produzioni. La Fiat l'ha fatto ricevendo in cambio i necessari finanziamenti a Melfi e a Termini. Questa è la storia, così sono andate le cose.

Ora la situazione è cambiata. La Fiat non è più un potere forte come un tempo. Quando Marchionne immaginò l'operazione Chrysler, sperando di abbinarvi anche l'operazione Opel, tutti la magnificarono con l'aggettivo di "conquistadora". Noi scrivemmo che si trattava di un'operazione difensiva che la Fiat faceva per sopravvivere e questa, come ora risulta chiaro a tutti, era la pura verità dei fatti.

Il problema di Termini è dolorosamente evidente: quello stabilimento è sempre stato antieconomico. In tempi grassi è sopravvissuto, in tempi magri non ce la fa più.

Gli incentivi non risolvono i problemi, li rinviano di qualche mese e probabilmente li aggravano. I governi hanno voluto industrie non economiche e ora se le trovano sulle braccia. Il mercato dell'auto nei paesi occidentali è vecchio, il prodotto è vecchio, la domanda è in discesa. I nuovi mercati per nuovi tipi di automobile sono all'Est.

Termini Imerese non ha futuro. Ma c'è da domandarsi addirittura quale futuro abbia Mirafiori. Questo è il vero problema che Marchionne sta tentando di risolvere ed è incredibile che il governo non se ne renda conto. Ma chi dovrebbe? Scajola?

Una risorsa umana ci sarebbe e forse Berlusconi ci sta già pensando: si chiama Bertolaso, protezione civile Spa.

Con quel gioiello in tasca si può affrontare qualunque emergenza. Forza Bertolaso, forza Italia. Con uomini come quelli non c'è emergenza che tenga.

Post scriptum. Ma come farà ad essere israeliano con gli israeliani e palestinese coi palestinesi? Ad affermare davanti a Netanyahu che bombardare Gaza fu una reazione giusta e due ore dopo, davanti ad Abu Mazen, che le vittime di Gaza sono paragonabili a quelle della Shoah? Zelig si limitava a cambiare forma a seconda dell'interlocutore da compiacere, ma questo è un uomo in grado di cancellare il tempo e lo spazio. Riesce a stare col pilota dell'aereo che sgancia le bombe e nel rifugio sotterraneo con i bombardati. In contemporanea e dispensando ad entrambi parole di comprensione.

Queste righe non sono mie, non le ho scritte io, le ha scritte sulla Stampa del 4 febbraio Massimo Gramellini.

Io mi limito a trascriverle e, scusandomi con l'autore, a sottoscriverle, ponendomi anch'io la domanda: ma come fa? E come fanno gli italiani a sopportarlo? E il cardinal Bertone a benedirlo?

(07 febbraio 2010)

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