sabato 13 febbraio 2010

La difesa fragile del Grande Capo che sapeva tutto


di GIUSEPPE D'AVANZO

I SEVERI - e spesso assai mediocri - censori del "circo mediatico-giudiziario" dovrebbero prenderne atto. Nello scandalo che umilia la Protezione civile, non è il giornalismo a doppiare, sovrapporsi (o incrudelire) la conduzione giudiziaria di un processo. Accade esattamente il contrario: è stata la magistratura ad accertare, nelle forme dell'indagine penale, le "storie di ordinaria corruzione" che un dignitoso giornalismo aveva già offerto all'attenzione dell'opinione pubblica, del ceto politico, del governo. Non stupisce che, nell'epoca della "crisi del reale", i funzionari della menzogna vogliano convertire questo imbroglio di corruzione pubblica - e umana desolazione - in un episodio di patta e spada con l'usuale appendice di donne deprezzate a benefit e "bustarella". Gli addetti alla adulterazione del discorso pubblico vogliono ridurre l'intera trama alla replica di uno slogan ideologico: il privato non è pubblico, quindi non può essere giudicato. Il segno di questo affaire non è nella segretezza dei comportamenti privati dei protagonisti, ma - al contrario - nella scandalosa pubblicità dei loro traffici pubblici. Chi, senza perdere la faccia, può dire di non aver saputo? Da più di un anno, l'agglomerato "gelatinoso" che accompagna le azioni - extra ordinem - della Protezione civile è stato raccontato nel minuto. Nomi, cognomi, incroci familiari, società, fatturato, bilanci, cointeressenze, partecipazioni, sprechi e inefficienze si sono lette nelle inchieste di Repubblica, l'Espresso, Report, Annozero, il Fatto. La "Premiata ditta Balducci & co."; le relazioni tra i "soggetti attuatori" dei progetti della Protezione civile e imprenditori come Diego Anemone; i poteri senza controllo e le risorse senza fondo di Guido Bertolaso, "l'uomo dalle mani d'oro", costituiscono da oltre un anno il quadro opaco e risaputo cui un governo responsabile e una politica attenta all'interesse pubblico avrebbero dovuto metter mano con prontezza.

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Ora scrutare all'indietro, e in quel buio, ci consente di valutare, in prima approssimazione, e senza tener conto degli esiti dell'istruttoria penale, l'accountability di Guido Bertolaso. Si può e deve cominciare dalle sue parole. Gli argomenti con cui il sottosegretario e capo della Protezione civile si salvaguarda da accuse e critiche sono tre, in sostanza. Dice: (1) "Qualcuno può aver tradito la mia fiducia, ma non ho elementi per sostenerlo"; (2) "Io non ho seguito direttamente e personalmente la vicenda degli appalti"; (3) "Ha gestito tutto Angelo Balducci (ora è in galera), uno che è diventato presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, cioè la massima autorità in Italia: non mi pare di aver affidato l'incarico al primo che passava per strada. Dopo di lui, c'è stato un altro "soggetto attuatore" (Fabio De Santis, anch'egli in carcere) ma c'era qualcosa che non mi convinceva e l'ho sostituito con Gian Michele Calvi, un professore di fama internazionale".

Dunque, Bertolaso "si chiama fuori" così: non ha mai visto ombre nella sua Protezione civile; gli uomini che ha scelto erano al di sopra di ogni sospetto; in ogni caso, egli non ha mai messo becco negli appalti. Sono argomenti molto fragili. Che qualcosa non andasse per il verso giusto, Bertolaso lo capisce e lo concede: quel De Santis non gli piace. Lo rimuove dopo cinque mesi. Perché? Con quali "elementi"? A chi comunica i suoi dubbi? Quali verifiche decide per chiudere i "buchi" dei protocolli e delle procedure? Come non è attendibile sostenere che una buona reputazione abbia sempre accompagnato i "soggetti attuatori" prescelti. Il credito degli "attuatori" (il soggetto deputato alla realizzazione del progetto) è al lumicino da tempo. Di Balducci si conoscono gli affari di famiglia che incrociano gli oneri del suo incarico. Angelo, il padre di famiglia, coopta l'Anemone Costruzioni nel risanamento della Maddalena (appalti per 100 milioni). La moglie di Angelo (Rosanna Thau) è in società ("Erretifilm") con la moglie di Diego Anemone (Vanessa Pascucci). Il figlio di Angelo (Filippo) compra con Diego Anemone il centro sportivo della Banca di Roma a Settebagni. Nasce il "Salaria Sport Village".

Anche Gian Michele Calvi è prigioniero di un temperamento familistico (insegna al dipartimento di Meccanica strutturale dell'Università di Pavia; dopo essere stato "attuatore" alla Maddalena, oggi è il direttore del progetto C. A. S. E., la ricostruzione all'Aquila di 183 edifici, 4.600 appartamenti per 17mila persone con appalti per 695 milioni di euro). La "Myrmex" di suo fratello (Gian Luca) rileva chi lo sa perché la malandata "Tecno Hospital" di Giampaolo Tarantini che, per le sue prestazioni di prosseneta, è stato molto caro a Silvio Berlusconi prima che scoppiasse il rumore per le feste in Villa e a Palazzo. Così caro da riuscire a ottenere - grazie a buoni uffici del premier - un incontro privato con Bertolaso per via di un desiderato ingresso del ruffiano nella rosa delle società al lavoro nel post-terremoto aquilano. Nell'affollato intreccio di interessi pubblici, privati e familiari si intravedono ambiguità - se misfatti penali, lo si accerterà - , ma senza dubbio Bertolaso avrebbe dovuto trarne già da tempo "elementi" sufficienti per una qualche diffidenza. Che, invece, contro ogni evidenza, nega ancora oggi. Bisogna chiedersi perché.

La ragione può essere questa: anche Bertolaso partecipa al disinvolto coinvolgimento della sua famiglia nelle "emergenze" affrontate dalla Protezione civile. Suo cognato (Francesco Piermarini) "è stato impiegato nei cantieri della Maddalena ed è in rapporti con Diego Anemone", l'imprenditore in affari (ora è in carcere) con il figlio e (attraverso la moglie) con la moglie di Angelo Balducci. Cadono così due degli argomenti difensivi di Guido Bertolaso. Inchieste giornalistiche gli hanno offerto "elementi" per mettersi in sospetto, per ridimensionare la reputazione dei tecnici che ha scelto, ma il capo della Protezione civile non può denunciare - nemmeno oggi che quelle pratiche sono diventate scandalo - il fondo "gelatinoso" del suo dipartimento perché anche le sue pratiche sono collose quanto le condotte di chi dovrebbe contestare. Le parole di Bertolaso, che possono apparire soltanto un'imprudenza, sono allora il frutto di un deliberato proposito di tacere perché egli è vulnerabile come gli altri. I passi storti di quelli sono equivalenti alle sue mosse molto dubbie.

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Già potrebbe bastare, e invece l'argomento più debole della difesa di Guido Bertolaso lo si rintraccia in un'affermazione che non ha ricevuto finora l'adeguata attenzione. Il capo della Protezione civile dice: "Io non ho seguito direttamente e personalmente la vicenda degli appalti".

Sono parole che decidono in modo definitivo l'accountability di Guido Bertolaso. Egli trattiene nelle sue mani un potere inconsueto. Si muove oltre le norme, in un "vuoto di diritto". Lo "stato di necessità", che lo attiva, gli rende possibile e concreta qualsiasi decisione, anche contro la legge. È un potere eccezionale rinvigorito, come mai è accaduto, anche da privilegio aggiuntivo. Come ha rilevato il senatore Luigi Zanda in Senato, in Bertolaso "sono concentrati i poteri politici del governo (è sottosegretario) e quelli amministrativi di un ufficio pubblico (è il capo del dipartimento)". Egli è dunque il responsabile per eccellenza, l'indiscusso accountable, colui che non solo dirige un progetto, un programma, una misura d'intervento, ma decide anche politiche, priorità, urgenze.

Bertolaso è allora doppiamente "accountable", responsabile: nei confronti del Parlamento come membro del governo, nei confronti del governo come capo del dipartimento. In qualsiasi momento dovrebbe essere pronto a dichiarare in che modo viene eseguito l'incarico, come viene impiegato il denaro, in quale misura sono stati raggiunti gli obiettivi e quali aspettative sono state soddisfatte. Accountability è l'esatto contrario di arbitrio. Presuppone trasparenza, garanzie, assunzione di responsabilità e rendiconto sulle attività svolte, soprattutto sempre l'impegno a dichiararsi. Bertolaso, che non ha esitato a prendere su di sé doppi poteri, con quelle parole ("Nulla so di appalti") rifiuta curiosamente di assumersi le responsabilità che quei poteri gli hanno attribuito. È troppo anche per l'Italietta di oggi. Perché delle due, l'una: o Bertolaso si è occupato degli appalti come il suo incarico gli comanda e oggi non la racconta tutta. O non se n'è occupato, come dice, ed è venuto meno ai suoi obblighi. È un contesto che non può essere liquidato con qualche cronaca, le solite grida rabbiose di Berlusconi contro la magistratura in attesa che i giudici sciolgano tutti i nodi. Ci sono altri e buoni modi per mettere a fuoco quel che è accaduto e accade nella Protezione civile. Il più lineare - anzi necessario perché è in discussione la privatizzazione della Protezione civile - è che Bertolaso faccia in Parlamento il resoconto del suo lavoro e che le Camere ne discutano con rigore, mentre il governo fermi e corregga il suo decreto legislativo.

Sarebbe l'esito più coerente per quel che si scorge in questa storia: una democrazia è viva ed equilibrata se ai pesi (poteri) corrispondono contrappesi (controlli) in grado di vigilare e, nel caso, segnalare il funzionario corrotto o incapace. In quest'occasione, s'è vista l'efficienza di alcuni controlli (una stampa intraprendente, una magistratura lesta e non intimidita). Manca ora l'esame del Parlamento che non dovrebbe farsi paralizzare dal "vergognatevi" di chi crede all'unicità del suo potere e alla "sacra" intoccabilità degli uomini scrutinati per esercitarlo.

(13 febbraio 2010)

4 commenti:

Francy274 ha detto...

Ormai siamo arrivati alle utopie e D'Avanzo le insegue come tutti Noi, hanno privatizzato o stanno per farlo il Ministero della Difesa.. che altro dovremmo aspettarci da questa classe dirigente che ha ormai la cieca follia di sentirsi padrone di tutto e di tutti?

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

NON CAPISCO: QUALI UTOPIE INSEGUE D'AVANZO?

Doriana ha detto...

C'è un comune denominatore Luigi in tutte queste riforme o pseudoriforme.
Passando per l'esigenza di snellire le procedure, cosa sacrosanta io direi, si arriva però a creare delle strutture al di fuori dei controlli che dovrebbero essere la norma in uno stato democratico.
E' un fatto culturale e di mancanza di uomini dello stato, tu ce lo insegni Luigi.
Secondo te non pensi che dovrebbe esistere, sulla scia del modello francese, una alta scuola per dirigenti statali?
Ovviamente i politici dovrebbero avere l'obbligo di frequentarla prima di ogni carriera nelle istituzioni statali.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

IN CASA NOSTRA, DORIANA, LA SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE E' LA VIA PIU' SEMPLICE PER SOTTRARSI AI CONTROLLI E FARE IL PORCO COMODO LORO. DA NOI NON CI SARA' MAI UNA SCUOLA DI FORMAZIONE DEI DIRIGENTI COME IN FRANCIA. DA NOI C'E' UNA SCUOLA SUPERIORE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DELLA QUALE NESSUNO HA MAI SENTITO PARLARE.
PURTROPPO.