Al freddo, senza sedie e con l’intonaco che cade
Ecco la fotografia dell’abbandono
di Silvia D’Onghia
Beatrice ogni mattina porta a scuola sua figlia Federica, tre anni e mezzo. Scuola materna statale in un popolare quartiere romano. Classe “mista”: insieme bambini dai tre ai (quasi) cinque anni, con buona pace dei diversi livelli di apprendimento. All’inizio dell’anno, le maestre hanno chiesto a Beatrice e a tutte le altre mamme un “contributo” alle attività: matite, pennarelli, risme di carta, forbici, quaderni e l’ormai simbolica carta igienica.
Le maestre sono soltanto due per 24 bambini: fanno i turni e, quando una delle due si ammala, i bambini vengono presi e smistati nelle altre classi (tra urla e strepiti).
La classe di Federica è al piano terra di una struttura che ospita anche le elementari: all’interno dell’aula, oltre ai banchi e alle sedioline, anche una mini-cucina per bambini, qualche giocattolo e pochi libri. Le luci al neon sul soffitto si rompono spesso, ma passano mesi prima che la scuola abbia i soldi per mandare un elettricista a cambiarle. Così capita che Federica e gli altri 23 bambini rimangano quasi al buio. A Beatrice e agli altri genitori viene chiesto spesso di contribuire alle “spese vive”: l’acquisto di libri o di oggetti utili alla didattica o gli spettacoli teatrali all’interno della scuola. Ma Beatrice sa di essere fortunata: Federica ha ottenuto il tempo pieno e, al di là di bicchiere e tovaglietta che si devono portare da casa, il pranzo è “offerto” dal ministro Gelmini. 42 euro al mese e passa la paura. Una condizioni da privilegiati se si pensa al resto della scuola italiana. Come ha documentato “Presa diretta” domenica sera su RaiTre, la scuola italiana cade a pezzi. Altro che riforma.
La prossima settimana Legambiente presenterà i nuovi risultati di “Ecosistema scuola” per il 2010, ma – anche stando a quelli 2009 – l’esito è abbastanza catastrofico. Oltre la metà degli edifici, secondo i dati forniti da 95 amministrazioni comunali e 62 provinciali, ha più di 35 anni e ben il 38 per cento ha urgente necessità di manutenzione. Se questi dati si incrociano con quelli forniti da Cittadinanzattiva nel rapporto su sicurezza, qualità e comfort. Il 54 per cento delle 106 scuole analizzate si trova in zone a rischio sismico, il 26 per cento a rischio idrogeologico, il 7 per cento a rischio industriale. E Legambiente sostiene che quasi nel 12 per cento degli istituti è certificata la presenza di amianto.
Per come sono messi gli immobili, è quasi un miracolo che nel 2008 ci siano stati “soltanto” 92.060 infortuni a studenti e 13.879 a insegnanti. Ovunque, sono caduti finestre (il 29 per cento non è integro), solai, tetti e controsoffitti: nel 17 per cento delle aule si sono verificati distacchi di intonaco, la difformità del pavimento arriva al 16 per cento, prese o interruttori rotti raggiungono il 29 per cento. Oltre la metà di armadi e librerie non è ancorato alle pareti. Certo, le prove di evacuazione si fanno ovunque, ma per quelle non servono i soldi del ministero.
Riccardo Iacona ha documentato scuole senza riscaldamento (con bambini dell’asilo che tengono cappotti e cappelli in classe) e senza sedie, che, quando ci sono, sono quasi sempre danneggiate. Per non parlare dell’igiene: mentre trionfano le campagne di prevenzione dell’influenza (mascherine e gel anti batterici quest’anno sono andati a ruba), gli studenti italiani non hanno né il sapone (che manca nel 60 per cento degli istituti presi in esame da Cittadinanzattiva), né la carta igienica (44 per cento) nei bagni. E, in seguito a una circolare ministeriale del dicembre scorso, i sindacati hanno denunciato il taglio del 25 per cento del personale addetto alle pulizie. Ovvero 2.500 persone. Meno lavoro, più sporcizia. Certo le scuole non sono tutte così. Gli studenti di Prato, Biella e Terni sono fortunati: i loro edifici sono per lo più nuovi, sono dotati di certificazioni di sicurezza e sfruttano le energie rinnovabili. Alcune hanno addirittura sistemi di recupero delle acque piovane per l’impianto antincendio. Ma non diciamo ai loro compagni messinesi o trevigiani, che magari l’acqua piovana ce l’hanno in classe, per le infiltrazioni dal soffitto fatiscente.
Di fronte a tutto questo il ministro Mariastella Gelmini, che nelle scorse settimane ha continuato a difendere la riforma che porta il suo nome, non parla.
Ieri Il Fatto ha provato a realizzare un’intervista con lei, consapevole delle difficoltà di una donna agli ultimi mesi di gravidanza. Eppure dal ministero non è arrivata alcuna risposta, neanche un diniego. Ci è stato detto che la richiesta era stata inoltrata al portavoce del ministro, il quale ci avrebbe sicuramente fatto sapere qualcosa. Siamo ancora in attesa.
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