Il Presidente Napolitano invia una lettera al Csm: fermare le accuse ai magistrati.
E Fini: d’accordo con lui
di Alessandro Ferrucci
Penna in mano. Parole pesanti. Si torna a piazzare “confini”. Per qualcuno barricate, dipende dai ruoli. Così Napolitano, dopo l'attacco di Berlusconi ai giudici, definiti “talebani”, ha inviato un messaggio al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, perché vengano evitate “in tema di giustizia esasperazioni polemiche e accuse pesanti tra parti politiche, istituzioni, poteri e organi dello Stato”. Quindi un “vivissimo auspicio che prevalga in tutti il senso della responsabilità e della misura”. Anche perché “non può trarre alcun giovamento da esasperazioni polemiche, da accuse quanto mai pesanti che feriscono molti e che possono innescare un clima di repliche fuorvianti: clima nel quale la magistratura associata apprezzabilmente dichiara di non voler farsi trascinare”.
Sì, si ricomincia. Sono passati circa tre mesi. Allora, fine novembre primi di dicembre, il Presidente della Repubblica dichiarava: basta con la spirale delle polemiche, serve uno sforzo di autocontrollo da tutte le parti. Berlusconi aveva accusato i pm di volere la sua fine. Altra manfrina. Poi Tartaglia ha lanciato il Duomo, per qualche settimana si è vagheggiato del partito dell’amore. Il partito dell’ amore è morto. Quindi nuove polemiche politiche, accuse, attacchi. Bertolaso, Balducci e
Giovedì però, “c’è stato” David Mills a Roma, niente gita turistica, “solo” la sentenza della Cassazione. Corrotto e prescritto, due parole chiare a semplici, derubricate dal Tg1 in “assolto”. No, non può essere una questione di punti di vista. Così il Premier ha riattaccato il vecchio 33 giri. E portato il Presidente della Repubblica a intervenire.
Mancino legge, riceve e risponde. Qualcuno dice con un sottile sorriso sulle labbra. Impercettibile, però, non è da lui lasciarsi andare a manifestazioni evidenti, non lo permette né il ruolo né la scuola politica. Così auspica “la piena condivisione delle preoccupazioni espresse dal Presidente della Repubblica”. “Non nasconde il Capo dello Stato il rischio di drastiche contrapposizioni tra le forze politiche e di ritorsioni esasperate. Anche un linguaggio più sobrio e austero può, infatti, aiutare a far prevalere un clima di dialogo costruttivo rispetto a tentazioni o a repliche giustamente definite fuorvianti”.
Ma come detto sopra, siamo al “dov’eravamo”... Perché le parole di Napolitano oltre a solidarizzare con la magistratura, portano anche i vecchi “nemici” di Berlusconi a riprendere un percorso. In primis il presidente della Camera, Gianfranco Fini: “Napolitano ha un senso di grande responsabilità istituzionale. È indispensabile che tutti facciano quanto è in loro potere e dovere per garantire reciproco rispetto e un clima costruttivo”. E sprona la maggioranza ad avviare un periodo di riforme. Altrimenti, “se il Pdl si limiterà a ‘galleggiare’, al termine della legislatura sarà difficile spiegare che con una maggioranza così ampia siamo ancora alle prese con la stessa agenda di problemi che ci sono da dieci, quindici anni”. E ancora Pier Ferdinando Casini: “Il Presidente della Repubblica ha espresso una opinione condivisa dalla maggior parte degli italiani. È ora che ci sia più rispetto reciproco e più armonia istituzionale”. Duro il segretario del Pd Pierluigi Bersani: “Penso quello che pensa una persona normale. Ormai siamo alle sparate, si sragiona. È preoccupante, sono frasi inaccettabili”. “Dire che ormai ci siamo abituati, no - aggiunge - perché restano accettabili. Credo che veramente gli italiani debbano cominciare a pensare come andare oltre questa fase. Noi non possiamo essere tutti i giorni dentro a questa vicenda. Abbiamo un sacco di problemi, siamo davanti a fabbriche che chiudono. Non possiamo parlare sempre di Berlusconi e delle sue beghe coi magistrati”. Ancor più allarmato l'Idv che parla per bocca del portavoce Leoluca Orlando. “Non possiamo accettare - dice - che i magistrati che amministrano la giustizia in nome del popolo italiano siano offesi solo perché svolgono con onestà il proprio dovere. Ci rivolgiamo al presidente della Repubblica, nella sua veste di garante della Costituzione e dell'equilibrio dei poteri, nonché di presidente del Consiglio superiore della magistratura, affinché difenda l'onorabilità delle toghe”. Chi prende qualche distanza, sono i fedelissimi: da Cicchitto, a Bondi a Lupi. Sono loro a strigliare l’ala della maggioranza “ribelle” e a mediare con il Presidente. Sono loro a dire sì, bene le parole, ma con i “se” e i “ma”. In fin dei conti chi provoca, per loro, è pur sempre la magistratura.
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