lunedì 29 marzo 2010

BERLUSCONI CI METTE LA FACCIA: IL VOTO È UN TEST SUL GOVERNO


Dal partito dell’amore, ai giuramenti, alla strategia della persecuzione

di Wanda Marra

Ci ha messo la faccia Silvio Berlusconi per volgere a suo favore il corso di queste elezioni regionali. Non si è risparmiato, e ha tirato fuori tutte le armi del suo repertorio, vecchie e nuove. E ha esplicitamente e consapevolmente trasformato il voto di oggi e domani in un test su di lui.

Il primo spunto per la sua campagna elettorale, l’aggressione subita a Milano il 5 dicembre, con il lancio della statuetta del Duomo arrivatagli direttamente sul viso. Con l’abilità mediatica che lo caratterizza, il Cavaliere si reinventa in chiave evangelica e tira fuori uno degli slogan che lo ha accompagnato per tutti questi mesi: l’amore vince sull’odio. Peccato che il partito dell’amore non abbia risparmiato colpi bassi, aggressioni, intimidazioni e non sia certamente immune da lotte intestine.

Lo snodo della campagna elettorale per Silvio & co. è l’esclusione della lista del Pdl nel Lazio e di quella di Formigoni in Lombardia (che poi verrà riammessa dal Tar). Non importa il fatto che - soprattutto nel caso romano - la lista non sia stata presentata per incompetenza o - peggio - per rivalità interne al Pdl. Il Cavaliere non ci sta e si erge a perseguitato. Prepara un decreto salva-liste in quattro e quattr’otto che Napolitano firma nella perplessità generale e che poi oltre che incostituzionale e palesemente sbilanciato (riguarda solo i casi in cui è implicato il Pdl) si rivelerà anche inutile. Tanto che a Roma e provincia il Partito della Libertà corre senza i suoi. “Sopruso violento e inaccettabile”, “disegno molto ben congegnato” urla il premier, chiamando alla piazza per “difendere la democrazia” e il “diritto al voto”. E dando ancora una volta tutte le colpe alla magistratura, “rea” di aver confermato l’esclusione. In realtà, la preoccupazione serpeggia: i sondaggi danno in calo la popolarità del Pdl, la cui immagine non esce effettivamente rafforzata dal pasticcio-liste. Le urne diranno quanto la strategia di presentare se stesso e il suo partito come vittima peserà più di tale percezione.

Intanto, il bavaglio all’informazione televisiva è assicurato. Vengono sospesi i talk-show in campagna elettorale in nome di un’interpretazione più o meno inedita della legge sulla par condicio. Proprio mentre il Fatto quotidiano scopre le pressioni dello stesso Berlusconi sull’Agcom per far chiudere Annozero. Lui al solito urla al complotto e arriva a definire la magistratura “una patologia”.

All’adunata del 20 marzo a Roma a piazza San Giovanni il popolo di Berlusconi risponde meno compatto rispetto a quelli che sarebbero i desideri del Capo. Ma lui prepara uno show televisivo in grande stile, con tanto di promesse elettorali più o meno inverosimili (una su tutte: “sconfiggeremo il cancro), invito sul palco a Bossi nelle vesti di alleato fedele e giuramento collettivo dei 13 Candidati governatori. Niente di nuovo rispetto a 16 anni di governo, ma il rito si ripete.

Fatto sta che Berlusconi ha capito che il nemico da abbattere è l’astensionismo, e allora parte all’attacco. Soprattutto nel Lazio, una delle regioni più contese, dove tappezza i muri di cartelloni elettorali che lo ritraggono insieme alla Polverini “Vince chi vota”. Come in Puglia, altra sfida in bilico, associa la sua faccia a quella del candidato, Rocco Palese. Non esita a cavalcare la discesa in campo della Cei che invita a votare contro l’aborto e in favore della vita (tradotto: contro Bonino e Bresso), ricalcando la sua fiducia alla Chiesa con una lettera di solidarietà a Papa Ratzinger sullo scandalo pedofilia. Effetto boomerang: la Cei, che evidentemente non ci tiene a schiacciarsi su di lui, corregge il tiro e ricorda l’importanza del lavoro e dell’accoglienza degli immigrati. Rush finale con maratona televisiva per tutta la settimana appena terminata, culminata nell’occupazione praticamente di tutte le reti nella giornata di venerdì con tanto di apparizione finale sul Tg1 delle 20. Uno spot elettorale in piena regola con gli ultimi messaggi alla nazione: “La crisi è colpa della sinistra”, per via dell’eccessiva tassazione introdotta dal governo Prodi; “ridurremo l’Irap”. E poi, ancora, il presidenzialismo, cavallo di battaglia rispolverato in questi ultimi giorni: “decideranno gli italiani”. Oltre a tutto questo fuoco e fiamme, il Cavaliere in realtà appare preoccupato. Si parte da 11 Regioni a 2 e secondo i sondaggi di un mese fa, il centrodestra sarebbe vincente in Lombardia, Veneto, Campania e Calabria. Mentre sono in bilico Piemonte, Liguria, Lazio e Puglia. Berlusconi però preferisce abbassare il tiro: sarebbe un successo anche una sola Regione strappata al centrosinistra. Tra le strategie-cuscinetto per un’ipotesi sconfitta, a ogni buon conto, già pronto il capro-espiatorio Fini (per quanto il premier ci tenga a dire che “nessun divorzio” è all’orizzonte). Così come si premunisce in anticipo dalla Lega, negando l’ipotesi sorpasso e ribadendo la fedeltà di Bossi. La chiamata alle urne comunque è chiara: "Dico a tutti gli italiani che anche queste elezioni hanno una valenza politica nazionale". Ma ad ogni modo mette le mani avanti: “Comunque non cambia nulla in caso di sconfitta".

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