martedì 30 marzo 2010

Il referendum del Cavaliere


di MASSIMO GIANNINI

NON servono i tortuosi giri di parole in uso nella Prima Repubblica. Appannato dagli scandali privati, ossessionato dai guai giudiziari, logorato da due anni di non-governo del Paese, Silvio Berlusconi è riuscito in qualche modo a vincere anche queste regionali. Lo ha fatto nell'unico modo che conosce, dall'epifanica "discesa in campo" del '94: trasformando la contesa elettorale in un altro, esiziale "referendum" sulla sua persona. Lo aveva detto lui stesso, alla vigilia di un test di medio-termine al quale si avvicinava con una ragionevole preoccupazione: "Il voto regionale è politico". Ha avuto ragione lui.

Non ha certo ripetuto il plebiscito del 13 aprile 2008, di cui anzi ha dilapidato tanta parte dei consensi. Il suo partito ha perso centinaia di migliaia di voti, sfiorando il 27% nelle regioni in cui si è votato: 4,5 punti in meno rispetto alle regionali del 2005, e addirittura 7 punti in meno rispetto alle politiche 2008. Quasi un tracollo, per il "partito del predellino", l'"amalgama mal riuscito" nel quale il co-fondatore Gianfranco Fini sopravvive con crescente imbarazzo. Ma pur con tutto il travaglio mediatico di questi ultimi due mesi, e con l'evidente affanno politico di questi due anni, il Cavaliere ha comunque vinto il referendum. Suo malgrado, verrebbe da dire.

Grazie alla Lega ha blindato il Nord, espugnando il Piemonte e spopolando in Veneto. Nonostante il malaffare e il Cosentino-gate ha fatto il pieno anche al Sud, strappando con margini bulgari la Campania e la Calabria. E a dispetto del basso profilo della Polverini e dell'assenza del simbolo alla provincia di Roma, ha conquistato anche il Centro, battendo nel Lazio un avversario di caratura nazionale come Emma Bonino. Al centrosinistra restano le briciole. A settentrione il piccolo presidio della Liguria di Burlando, nel Mezzogiorno la sorprendente enclave della Puglia di Vendola, e in mezzo il solito insediamento appenninico del vecchio Pci, dall'Emilia alla Toscana, dall'Umbria alle Marche.

Questo voto si può leggere in molti modi diversi. Si può decrittare in termini di milioni di cittadini "amministrati" da ciascuno dei due schieramenti. Oppure secondo la valenza "strategica" e politica delle singole regioni in cui hanno vinto l'uno o l'altro dei due poli. Oppure, ancora, in base alle "bandierine" piantate su ognuna delle 13 regioni in cui si è votato. Da qualunque punto di vista lo si osservi, il voto ci consegna un'Italia che vede la maggior parte dei cittadini governati anche a livello locale dal centrodestra, che è sbilanciata a vantaggio del centrodestra in tutte le principali macro-regioni, e che anche in termini di "bandierine" piantate sul territorio fotografa un centrodestra in forte recupero, dall'11 a 2 da cui si partiva al 7 a 6 a cui si è arrivati.

Per il governo è un risultato che va al di là di tutte le aspettative. Berlusconi ha pagato un tributo altissimo all'astensionismo, che si è avvicinato ai livelli francesi. Almeno un milione e mezzo di italiani non si è turato il naso dentro l'urna, ma ha preferito andarsene a respirare altrove. È un segnale chiaro di insoddisfazione verso la maggioranza. Ma lo è allo stesso modo anche per l'opposizione, che non ha beneficiato di alcun travaso di flussi elettorali, ma viceversa ha pagato a suo volta un dazio pesante al non voto. Ora si discuterà a lungo su questo crollo oggettivo dell'affluenza, sulle inevitabili riflessioni alle quali sarà chiamato l'intero ceto politico verboso, rissoso e inconcludente, sulla ricorrente pulsione antipolitica che ha nutrito il successo delle derive grilliste ed estremiste.

Ma per il centrodestra e per l'intero Paese il dato politico più clamoroso non è questo. È invece il trionfo della Lega, che ha compiuto la sua ennesima metamorfosi. Con la sorprendente vittoria piemontese il Carroccio ha sfondato un'immaginaria "linea del Ticino", ridisegnando il paesaggio politico della nazione. In Lombardia non c'è stato il "sorpasso", ma il "pareggio" dei voti con il Pdl ha un valore enorme, se si pensa che alle regionali del 2005 i lumbard avevano meno della metà dei voti dell'allora Cdl. Se a questo successo si sommano il trionfo di Zaia in Veneto e quello di Cota in Piemonte, e poi la pervasiva e costante "infiltrazione" lungo il confine tosco-emiliano, l'esito è inequivocabile.

Un centrodestra a trazione leghista quasi integrale ha messo in cassaforte tutto il Nord. Quello più dinamico e più capace di coiniugare localismo culturale e globalismo economico. Di fronte a questo risultato così netto il pur prezioso "avamposto" conservato dal centrosinistra in Liguria è davvero poca cosa. Da ieri è nata davvero la "Padania", che non è più un'astrazione ideologica partorita dalla mente fertile del Senatur, ma è già una formazione geografica scolpita nel perimetro delle regioni più ricche e produttive del Paese, e dunque una realizzazione politica perseguita e infine perfezionata da una classe dirigente totalmente immersa e integrata nel territorio.

Una nuova generazione di dirigenti leghisti ha cambiato l'abito politico di un partito che è sempre meno di lotta e sempre più di governo. La camicia verde si indossa ormai sotto la grisaglia grigia: nelle cerimonie pagane tra le valli alpine come nei consigli d'amministrazione delle fondazioni bancarie. In pochi anni siamo passati dall'illusione di una Lega "costola della sinistra" al paradosso di un Pdl "costola della Lega". Tutto questo, a dispetto delle dichiarazioni rassicuranti di Bossi, non potrà non avere effetti sull'equilibrio interno alla maggioranza, dalla richiesta di nuovi ministeri nell'eventuale rimpasto alla pretesa di candidare un leghista alle prossime comunali di Milano. Ma gli effetti riguarderanno forse l'intero sistema politico. Chi ne vuole una prova, legga le parole di Zaia: "Con questi risultati il bipolarismo è finito".

Per il centrosinistra, in chiave speculare, il dato politico più doloroso riguarda non solo la perdita del Piemonte al Nord, ma anche la bruciante sconfitta al foto-finish nel Lazio. Erano considerate da tutti le regioni chiave di questa tornata, e il Pd le ha cedute tutte e due. È una realtà su cui di dovrà ragionare a fondo. Soprattutto nel Lazio, dove alla candidatura della Bonino il centrosinistra è arrivato con un percorso a dir poco avventuroso, e il Pd si è acconciato più per necessità che per convinzione. Ha pagato anche questo, nell'urna, oltre all'anatema dei vescovi che, a tre giorni dalle elezioni, deve aver giocato un ruolo ancora una volta cruciale per le scelte di molti moderati, evidentemente non ancora "cattolici adulti". E poi c'è lo schianto in due roccaforti del Sud, la Calabria e soprattutto la Campania, dove non è bastato candidare uno "sceriffo" come De Luca per cancellare troppi anni di sfrontato strapotere del vicerè Bassolino.

Ora il Pd cerca nelle pieghe del voto qualche motivo di conforto. E in parte, legittimamente, lo trova. Il risultato dei "democrats" a livello nazionale non è disprezzabile: nel voto di lista oscilla tra il 26 e il 28%, insidia il primato al Pdl, e se segna una caduta forte rispetto al 34,1% delle politiche del 2008 riflette una flessione di appena un punto rispetto alle europee del 2009. Ma il "partito riformista di massa", se pure tiene, non fa breccia nel cuore degli elettori che vogliono resistere al berlusconismo. Lo prova l'astensionismo, che ha eroso i consensi del Pd anche nei luoghi in cui il risultato non era in discussione (Emilia, Marche e Umbria) dove Errani, Spacca e Marini hanno vinto con percentuali molto più basse rispetto alle precedenti tornate elettorali.

Ma lo prova, oltre alla performance di Di Pietro, anche l'exploit delle liste di Grillo, dove si sono presentate come in Emilia e in Lombardia. Un'emorragia grave, che la radicalizzazione della linea politica voluta da Bersani negli ultimi giorni di campagna elettorale non è bastata ad arginare. Non solo. Anche dove ha vinto, come in Puglia o in Liguria, il Pd deve ringraziare soprattutto l'Udc, che nonostante un risultato nell'insieme negativo per le ambizioni terzaforziste di Casini ha comunque drenato voti preziosi al centrodestra con le candidature di disturbo della Poli Bortone e di Biasotti. Per Bersani, e per la sua leadership, si impone un ripensamento profondo delle strategie: sia sul profilo del partito, sia sul fronte delle alleanze.

Ci sarà tempo per il regolamento dei conti, nel centrodestra come nel centrosinistra. Ma quello che importa, adesso, è capire come sarà riempito l'abisso che separa il Paese dalla fine di questa turbinosa legislatura. "Questo voto non cambierà nulla per il governo", aveva annunciato Berlusconi. Più che una previsione, una maledizione. Vengono i brividi, a immaginare altri tre anni come i due che sono appena trascorsi. C'è da sperare che la vittoria della Lega sia foriera di qualche novità positiva. È stato Bossi a dire che dopo il voto occorrerà ritessere il filo del dialogo tra i poli, tranciato di netto dalle intemerate del Cavaliere. Ed è stato Bossi a dire che adesso è lui "l'arbitro delle riforme". L'Italia, insomma, è nelle mani del Senatur. Il futuro prossimo del Paese dipende da un capo che, fino a qualche anno fa, predicava la secessione, urinava sul Tricolore e imprecava contro Roma Ladrona. Oggi rappresenta invece il nuovo "fattore di stabilità" di questo centrodestra, scosso dalle spallate destabilizzanti e dalle sfuriate eversive del Cavaliere. Persino questo estremo paradosso, ci riserva il lento e carsico declino della leadership berlusconiana.

m.giannini@repubblica.it

(30 marzo 2010)

11 commenti:

Matteo ha detto...

Un'analisi "elettoralista" che non condivido. Ci si dimentica di dire che il primo partito è quello dell'astensione assieme a quello delle schede bianche o nulle e sono soprattutto elettori di sinistra.
Ed è così perché la politica sociale del centrosinistra ormai è identica a quella della destra.

Francy274 ha detto...

Già tutti hanno vinto perchè sanno d'avere perso! L'astensionismo è una cosa seria, è un popolo quello del 40% da non sottovalutare, se lo facessero, compreso il Senatur..
avrebbero gatte da pelare, sempre se vogliono arrivare a governare per i tre anni avvenire.
La vedo sempre più nera.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Matteo, forse ti è sfuggita questa frase nell'articolo di Giannini: "Almeno un milione e mezzo di italiani non si è turato il naso dentro l'urna, ma ha preferito andarsene a respirare altrove.È un segnale chiaro di insoddisfazione verso la maggioranza. Ma lo è allo stesso modo anche per l'opposizione, che non ha beneficiato di alcun travaso di flussi elettorali, ma viceversa ha pagato a suo volta un dazio pesante al non voto."
Non mi pare ci si sia dimenticati del 'partito' dell'astenzionismo.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

L'astensione è stata del 36,8%, ma siamo lì, fa poca differenza.
La domanda per te è: quale PD volete adesso?

Francy274 ha detto...

Nessun PD, il link al blog non si può cambiare, resta sempre il titolo "la sinistra che vogliamo" che ha un valore diverso, dal PD siamo ampiamente dissociati, penso Tu lo abbia capito leggendoci.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Pardon, mi correggo: quale sinistra volete adesso? Ti faccio notare che Antonio Di Pietro ha già dichiarato di volersi mettere alla guida della coalizione programmatica che si presenterà alla prossime elezioni politiche. E' ovvio che vuole stimolare una riflessione nel PD, fermo restando che appare difficile che un cadavere possa ancora rispondere a degli stimoli. L'altra sinistra occorre fare una seduta spiritica per evocarne gli ectoplasmi!
Devo ripeterti la domanda?

Francy274 ha detto...

Aaaah, scusa, avevo capito male, fuor di dubbio una sinistra energica, combattiva e che spazzi via tutto il marcio di questi 18-anni, e se Antonio Di Pietro garantisce tutto ciò, allora è questa la Nostra sinistra.
Hai detto bene sarà molto difficile riesumare salme, ormai sono ridotte a un cumulo di cenere, si ci sono infossati da soli.
Penso che Di Pietro ne uscirebbe vincente se attuasse questa idea, deve staccarsi dal PD, le ultime alleanze secondo me lo hanno penalizzato, avrebbe ottenuto di più se fosse rimasto da solo, specialmente in Calabria e in Campania.
Non dimentichiamo che la maggior parte della gente guarda molto alle coalizioni e senza informarsi decreta il "sono tutti uguali", non ci piove, questo ha sfiduciato i non informati che si sono astenuti o addirittura hanno votato a destra pur di cambiare musica.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Nessuno può andare da solo oggi, sarebbe un suicidio. Di Pietro vuole fare il motore di una coalizione con il PD ed altre forze di sinistra, mediante una alleanza programmatica e di governo che sia l'alternativa al PdL e Lega. E già incontra un dissenso in Walter Veltroni e la sua corrente, che non ne vogliono sapere di alleanze. Certo è che se non si oppone alla corazzata Berlusconi un'altra corazzata (Di Pietro sarebbe l'ideale) Silvio sarà condannato solo dall'anagrafe.
Non sarà certo questa classe politica di centro-sinistra a mandarlo a casa. Specie se non c'è un altro monolite a contrastarlo. Io sono tremendamente passimista che sarà lasciato campo libero a Di Pietro.E tu?

Francy274 ha detto...

Si, hai ragione, va contrastato e buttato fuori finchè è in vita, solo così usciranno dalla politica anche quelli dell'intero PDL perchè scelti da Silvio e mai eletti dal popolo, aspettando l'anagrafe resterebbero i suoi e per noi non cambierebbe certo musica.
Certo che lasceranno campo libero a Di Pietro, c'è forse qualcun altro all'altezza di tale compito? Immischiati anche loro come sono in brogli non meno condannaili. Ho pure il timore che tutti d'accordo troveranno il modo di buttare Di Pietro fuori dalla scena politica.
Eppure sarebbe bastato poco per far crollare PD, PDL e Lega.. una misera croce su un foglio.. possibile che siamo tanto stupidi?
Possibile che non si capisca quanto sia tagliente l'arma del voto? In altri Paesi tre partiti come quelli che ho menzionato li avrebbero fatti fuori già dopo la prima legislatura!
Sono veramente rammaricata, questo popolo che si ostina a rimanere diviso in mille fazioni mi preoccupa pure.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Buttare fuori Di Pietro? Non credo proprio. Per il resto il tuo rammarico è identico al mio. Sai, è venuta a trovarmi Vanda, è appena andata via. Che donna energica, persona seria, mi è piaciuta, anche a mia moglie.

Francy274 ha detto...

Certo è che ne vedremo delle belle in questi tre anni di mal Governo!

Vanda è una persona che sa trasmettere anche attraverso i Suoi scritti un carattere stupendo, di una dolcezza unica.. Mi sarebbe piaciuto essere con Lei nel venire a farVi visita, ogni tanto ci sentiamo per telefono e mi lascia sempre in uno stato di grazia, se fossimo vicine sono sicura che saremmo già grandi Amiche :)