lunedì 22 marzo 2010

Peronismo da strapaese



20/03/2010

Visti dall'alto, due fiumi. A sinistra quello per l'acqua: per chiedere che resti pubblica, perché l'acqua è come l'aria, è di tutti è necessaria per vivere. Che gli affaristi facciano gli affari altrove, chiedono cantando con le facce dipinte di blu migliaia di ragazzi.

Nessuno li ha chiamati per offrire loro cento euro in cambio della presenza in piazza. Nessuno ha requisito traghetti per farli viaggiare fin qui.

Non hanno un idolo da adorare, non ascoltano a bocca aperta le promesse: sconfiggeremo il cancro, uniremo l'Atlantico al Pacifico, pianteremo milioni di alberi e l'Italia diventerà un giardino.

Quelli dell'acqua stanno facendo già, fanno da soli: adesso.

A destra il fiume per Berlusconi, la sua manifestazione personale coi ministri in prima fila, Meloni col megafono che corre, Alfano senza cravatta che devono avergli detto così è più sportivo, Ronchi come sempre al cellulare. Sul palco i candidati alle regionali: declamano in coro la promessa del candidato. «Mettete la mano sul cuore», ordina il Capo. «Quale mano?», domanda la candidata alla sua destra. Quando si eseguono gli ordini è bene essere precisi.

Sono due Italie che si sfiorano e non si incontrano, si voltano le spalle, non si ascoltano. Sarebbe bene ascoltarsi, invece. Perché forse anche a destra tra i teleutenti felici e i parrocchiani devoti venuti dal paese col prete c'è qualcuno che l'acqua pensa non si debba vendere e comprare. Forse anche a sinistra conviene smettere di pensare che l'altra Italia non esista, che sia fatta solo di fascisti a braccio teso (e ci sono) e di cummenda evasori (ci sono, certo, numerosi anche quelli). Però in questa piazza San Giovanni prevale lo strapaese nostrano, c'è un clima da sagra del sabato e zucchero filato incrociato a una devozione «a prescindere»: dicono sì e no a richiesta, non importa a cosa, è uno speciale sentimento fanatico, un'adorazione a scatola chiusa, un'adesione sordomuta che si aziona a comando e canta. Non conoscono le parole di Battisti, non riescono a finire in coro «come può uno scoglio» ma sanno tutti, a memoria, «meno male che Silvio c'è».

Scrive oggi Andrea Camilleri che Berlusconi somiglia a un bancarellaro da fiera di paese, appunto. Racconta la storia del colibrì che corre a ritroso dall'incendio da cui tutti fuggono per portare la sua goccia d'acqua. Acqua, esatto. Scrive Chiara Valerio che a destra si sono portati via insieme al resto il tricolore, che è nostro - anche nostro, davvero - e dobbiamo riprendercelo.

Bisogna capire prima di tutto come sia potuto succedere. Osservare, ascoltare, cercare l'errore commesso e riparare.

Nell'altra grande manifestazione di ieri, quella a Milano di Libera, uno striscione diceva «L'indifferenza è mafiosa». L'indifferenza, la sordità. Perciò anziché armarsi, anche a sinistra, «a prescindere» e dichiarare guerra di eserciti in assetto da scontro finale si può provare a vincerla, questa guerra contro il vuoto pneumatico di un peronismo da baraccone con gli argomenti, col pensiero, con la proposta e con la passione. Non è difficile, l'avversario non è Berlusconi e le diciotto parole che usa per imbonire la folla.

L'avversario è la sordità della folla che è fatta di persone, dunque bisogna avvicinarle una ad una e chiedere loro:

lei crede, come Berlusconi sta dicendo adesso, che il candidato piemontese Cota unirà l'Atlantico al Pacifico?

Lei pensa che all'origine dell'alleanza fra Bossi e Berlusconi ci sia la lotta alla pedofilia?

Lei crede che il premier sconfiggerà il cancro, da solo nella prossima legislatura, senza per esempio finanziare la ricerca che sta invece riducendo in rovina?

La folla che ho visto ieri in piazza San Giovanni è soprattutto un'umanità che ha smesso di pensare in proprio. Che ha appaltato la fatica di farlo perché è più facile, così. Ciascuno, però, può tornare a farlo in solitudine. Davvero può farlo: serve un granello di sabbia, un dubbio e un amico che lo pone, una frase di quelle senza senso ripetuta in solitudine, fuori dalla piazza, e qualcuno che chieda che significa? Al netto dei fanatici del saluto romano, i «bei giovanotti fascisti» di Giorgia Meloni, al netto degli stipendiati per un giorno o da una vita - dunque di tutti quelli, come dice Bossi, che a Berlusconi hanno chiesto soldi e li hanno ottenuti per anni, di quelli che per sei ore li hanno avuti senza chiederli come la manifestante di cui pubblichiamo il racconto - gli altri, tutti gli altri sono semplicemente felici di essere dalla parte di chi vince, di chi suona la musica di Guerre stellari e poi Funiculì funiculà, di tornare a casa la sera e vedere il loro eroe in tv. Di essere stati gratificati da un «bravi, vedo che avete studiato bene» quando hanno risposto in coro Sììì, e poi Nooo ma se gli chiedi qual era la domanda, Francesca Fornario lo ha fatto, non sanno rispondere. Sono i nostri vicini di casa. Incarichiamoci di questo, domattina sul pianerottolo: fermiamoli mentre vanno al lavoro e chiediamogli scusa, non ricordo, sai come si unisce l'Atlantico al Pacifico e caso mai chi vuole farlo e chi no? La risposta, da sola, è un granello come un macigno.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

e' un bell'articolo, però il punto è proprio questo: quelli che votano il sig.b "vogliono" essere esonerati dal pensare;
la cultura è impegno, quello che dai programmi cui si mettono davanti non viene sollecitato...
io penso che il cervello sia come lo stomaco: meno mangi e più si chiude!

p.s.: il fatto di esagerare le capacità di un cota, secondo me, non sono tanto dovute a propaganda, quanto (temo anche in questo caso) a giochi già fatti!
(e se vincesse, con l'alta percentuale di stranieri che - per fortuna - abbiamo, sarebbe per loro tragico)

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Sai, è previsto al nord un sorpasso della Lega sul PdL, per cui tutta l'enfasi del sig. B. deve essere dovuta alla paura di perdere le regionali.