giovedì 4 marzo 2010

Questione di regole


di Bruno Tinti

Tanto tempo fa il gip mandò assolti alcuni falsificatori di bilancio e frodatori fiscali; roba di molti milioni di euro. Io ci avevo lavorato due anni e, secondo me, erano colpevoli. Così misi da parte la frustrazione e cominciai a scrivere l’appello. Si trattava di un processo molto complicato e con tanti imputati e quindi anche l’appello si rivelò molto complicato e lo finii proprio la mattina del giorno in cui dovevo depositarlo; se non lo avessi depositato in tempo non sarebbe stato ammissibile perché “presentato fuori termine”. Ma io, come ho detto, verso le 10 di mattina l’avevo finito: circa 500 pagine. Dissi alla mia segretaria che bisognava fare tutte le registrazioni necessarie e portarlo subito nella cancelleria del gip; e, soddisfatto di avercela fatta, mi misi a lavorare a qualcos’altro. Ero tranquillo, la mia segretaria era persona capace e fidata. E infatti si mise subito al lavoro; per prima cosa cominciò con le copie dell’appello: bisognava farne quattro e così lei monopolizzò una fotocopiatrice; solo che, arrivata a metà lavoro (4 copie delle prime 200 pagine) la fotocopiatrice si ruppe. La brava segretaria non si perse d’animo e si spostò su un’altra fotocopiatrice, la seconda e ultima che il mio gruppo aveva in dotazione; ma lì c’era la segretaria di un altro collega che aveva anche lui problemi d’urgenza. Il battibecco arrivò fino alla mia stanza e io andai a vedere cosa stava succedendo. E siccome non volevo fare la figura del capo che frega il collega, dissi: “Va bene, non preoccuparti, le altre 300 pagine le stampiamo direttamente dal computer (io naturalmente avevo memorizzato il file dell’appello). Non è una cosa molto sensata da fare ma a mali estremi… Dopo le prime 300 pagine (a questo punto avevo una copia completa ma solo una) fine del toner. Eravamo a mezzogiorno e mezza circa. La segretaria corre all’economato ma i toner sono finiti. Torna con la ferale notizia, io memorizzo tutto su tre chiavette usb, ne prendo una, l’altra la do al fidato maresciallo, la terza alla segretaria e tutti via a cercare tre computer con stampante efficiente.

Dopo un’ora tutti di ritorno con le copie che mancano. La segretaria si precipita nella cancelleria del gip e la trova chiusa: sono le 14:05. Termine scaduto, appello inammissibile. La segretaria mi dice: “Guardi dottore, la cancelliera è mia amica. Domani vado da lei con l’appello e mi faccio retrodatare il deposito”. Io non so se abbracciarla o picchiarla; poi le dico: “Non si può” e vado a raccontare al capo la tragedia. Il giorno stesso uno degli avvocati difensori, gran signore e amico, viene nella mia stanza e, con un sorriso di simpatia, mi dice: “Anche a me è capitato, una volta. Ci sto ancora male.”

Bene.

Domanda n. 1: cosa avrebbero detto B&C se io avessi accettato l’offerta della mia segretaria e avessi presentato l’appello (finito perfettamente in termini, mancavano solo le copie) il giorno dopo e loro lo avessero scoperto?

Risposta: mi avrebbero subito denunciato alla Procura e avrebbero linciato su giornali e tv il giudice rigoroso e inflessibile che quando gli fa comodo vìola le regole

Domanda n. 2: cosa stanno almanaccando B&C per fare in modo che la lista provinciale di Roma alle elezioni dei candidati del Pdl per la regione Lazio, che non sono riusciti a presentare nei termini, venga accettata comunque?

Risposta: un sacco di cose: la tesi del complotto, il necessario rispetto dell’elettorato che ha il diritto di esprimersi sui candidati del Pdl pena la violazione delle fondamentali regole della democrazia, il colpo di Stato e, ma pensa un po’, la necessità che i giudici (che debbono decidere se questa lista può essere presentata in ritardo) debbono applicare il “buon senso”. Il buon senso, non la legge.

Domanda n. 3: com’è che regole e leggi valgono a corrente alternata, oggi si e domani no?

Risposta: perché per tutti gli altri sono regole, per B&C sono burocrazia.

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