martedì 2 marzo 2010

"Wanted Travaglio", la destra ha scelto è lui il super-nemico


MICHELE BRAMBILLA

L’ossessione della sinistra, da anni, è Silvio Berlusconi. Quella della destra, da qualche tempo a questa parte, è Marco Travaglio. Il quale ieri ha avuto l’onore dell’accoppiata di prime pagine: fotone sul Giornale («Travaglio vuole la pulizia etnica») e vignettone su Libero («E tre: la banda Travaglio non perdona Santoro»). Non è una novità. Sul sito del Giornale, se cerchi articoli che parlino di Marco Travaglio, te ne escono 2.480. Su quello di Libero solo 176, ma la differenza si spiega forse anche con il fatto che Filippo Facci, l’anti-Travaglio che scrive del suo nemico con una regolarità che pare ordinata dal medico, è da poco passato, appunto, dal Giornale a Libero. La campagna in corso è testimoniata anche dalla quantità di siti, di blog, di social network che ne parlano. Google, alla voce «Travaglio e il Giornale», dà 193.000 risultati; alla voce «Travaglio e Facci» 46.600; alla voce «Travaglio e Libero» 603 mila. E’ vero che «libero» può anche essere un aggettivo e che «travaglio» è pure la fase che precede il parto: ma, insomma, l’oceano di parole messe in rete sullo scontro è evidente. Neutralizzato (più dalla sinistra che dalla destra) Cofferati - che dieci anni fa era l’incubo di Berlusconi -, tramontato Prodi, abortito il pericolo Veltroni, passato ormai dietro le quinte D’Alema, ora il bersaglio numero uno è dunque Travaglio. Con chi prendersela, d’altra parte? Bersani ha un faccione troppo bonario e rassicurante, a destra pensano che sia come un tortellone e che prendersela con lui sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Santoro? Da qualche giorno viene considerato quasi come un alleato. Ci sarebbe Di Pietro, è vero: ma forse ormai su di lui è stato detto proprio tutto.

Ma sì: le «attenzioni» nei confronti di Travaglio hanno superato perfino quelle su Di Pietro. Caso abbastanza singolare, il nemico numero uno non è un politico ma un giornalista. Un po’ come quello che accade negli Stati Uniti per Rush Limbaugh, il conduttore di uno show radiofonico che ogni giorno riversa ogni possibile anatema contro Obama e il «politically correct»: i democratici temono più lui che Sarah Palin e tutti i politici repubblicani messi insieme. Ecco: Travaglio sta alla destra italiana come Limbaugh sta ai democratici americani. Facci lo chiama «Marco Pendaglio»; Feltri «Marcio Travaglio», ma a onor del vero in questo caso si tratta di una risposta al «Littorio Feltri» usato da Travaglio. Il quale a Facci risponde invece senza citarlo mai per nome, lo chiama «quello con le mèches», e Facci va in bestia, qualche giorno fa ha mandato a Dagospia una sua foto da bambino per dimostrare che era biondo già allora, e quindi che non si tinge i capelli, giammai. Che scontri, accidenti. Vittorio Feltri però chiarisce che come in tutti i duelli ci sono regole e rispetto per l’avversario. «Travaglio - dice - fa il suo mestiere e lo fa bene. Sa scrivere e non è uno sciocco. La sua battaglia è legittima e io non ho nulla da eccepire. L’unica cosa è che il nostro vicedirettore Nicola Porro è andato ad Annozero, ha detto una cosa senza alcuna acrimonia e Travaglio ha reagito rivelando il lato deplorevole del suo modo di fare: mettere a tacere chi la pensa diversamente dandogli del servo, del killer, della merda. Per questo abbiamo reagito. Ma fa parte del gioco». Il direttore del Giornale accetta anche l’editoriale che Travaglio proprio ieri gli ha dedicato su Il Fatto («Feltri, l’arma letale»): «Un pezzo che sta anche in piedi, ma poi lui finisce sempre per insultare». E assicura: «Non ho alcuna ossessione Travaglio. Pericoloso? Per me non è pericolosa neanche la sinistra, figuriamoci lui. Fa il suo mestiere, e siamo in democrazia». «E’ pericoloso», dice invece Maurizio Belpietro. Più di Bersani? «Non c’è ombra di dubbio». Più di Di Pietro? «Rischia di superarlo».

Fa paura il seguito, di Travaglio: «La sua penetrazione nella rete è fortissima - dice il direttore di Libero -. Lui è quello che fornisce le argomentazioni al giustizialismo, ha creato un movimento, anzi una setta. I suoi fedeli gli credono ciecamente, vanno a teatro a sentirlo e si abbeverano. Si è circondato di un’aura di sacralità per cui non è più possibile neppure criticarlo». Davvero ha tutto questo potere? «Ma certo. Il servizio pubblico gli ha appaltato cinque minuti in prima serata in cui lui può dire tutto ciò che vuole senza contraddittorio. Neanche Biagi in tv aveva tanto potere: Biagi faceva informazione, Travaglio fa editoriali. Ci si è scandalizzati per gli editoriali di Minzolini, che ne avrà fatti cinque o sei, quando Travaglio ne fa uno ogni sette giorni. La sua violenza verbale è un’anomalia del servizio pubblico, anzi di tutta la tv». Opinioni largamente condivise dai lettori di Belpietro. Ogni volta che Libero mette Travaglio in prima pagina, le vendite si impennano. E’ proprio vero, dunque, che «per proporsi bisogna opporsi»: al proprio popolo c’è sempre bisogno di indicare un nemico. Vale per la sinistra con Berlusconi, vale per la destra con Travaglio. Comunque, tanti nemici tanto onore: «Da un lato - se la ride Travaglio - mi incuriosisce che gli organi del partito dell’amore riversino tanto odio contro di me. Dall’altro mi preoccupo per loro, vuol dire che hanno problemi di fegato».

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