domenica 18 aprile 2010

Berlusconi tira dritto sugli alleati Nessuna concessione a Gianfranco


Tutti i riflettori sono su Fini: tornerà sui suoi passi o se ne andrà dal partito che ha contribuito a fondare? Nessuno, nemmeno tra i fedelissimi, scommette sulle sue intenzioni. Il presidente della Camera si è preso un weekend di relax e, possiamo intuire, di ardua riflessione. Se in cuor suo non ha già deciso, Fini può concedersi 48 ore fino a martedì mattina, quando le truppe saranno schierate in attesa di ordini per la grande battaglia di giovedì, nella Direzione del Pdl. Allora sapremo se il Popolo della Libertà va incontro o no a una scissione. Scuote la testa incredulo il berlusconiano Cicchitto: «Da ex-socialista sono esperto in materia. Però mai ho visto un partito che si scinde dopo avere appena vinto alle urne». Corre voce di mediazioni altissime tra Fini e il Cavaliere. Altre chiacchiere ipotizzano un ruolo-chiave per Fini sul terreno delle riforme istituzionali: ma non c’è già Bossi ministro? Nella realtà i margini appaiono esigui. Forse inesistenti. Berlusconi è vellutato nelle parole, inflessibile nella sostanza. Pretende che Fini ingrani la retromarcia. In cambio non concederà nulla. Zero assoluto. Il suo rivale chini la testa o faccia le valigie. Terze vie non risultano.

Spiegazione raccolta nel giro dei coordinatori nazionali: «Berlusconi non offre nulla perché non può. Se dovesse regalare a Fini uno spillo, puoi star certo che nel giro di pochi mesi quello spillo diventerebbe una sciabola usata contro il nostro Presidente». False le voci su La Russa pronto a farsi da parte in nome della riconciliazione: si dimetterebbe da triumviro nel solo caso in cui Fini formasse gruppi autonomi, essendo stato indicato da lui; viceversa, di rinunciare per far posto a un finiano «doc» neanche a parlarne. L’organigramma resterà tale e quale.

Pure sui grandi temi la risposta sarà «no», senza complimenti. Ieri Bocchino ha rilanciato i «cahiers de doléance» finiani: basta sudditanza verso la Lega, più attenzione per il Sud, Berlusconi tuteli meglio il partito, non tratti il presidente della Camera come un dirigente qualsiasi, vieti i «killeraggi mediatici» al «Giornale» di famiglia (che ieri mattina attribuiva a Fini il «ruggito del coniglio»). Sempre il solito personaggio al vertice la mette così: «Di questione meridionale si parla dal 1861, con la Lega abbiamo a che fare da vent’anni, ora Bocchino ci ingiunge di provvedere... Quanto al partito, sta mettendo radici, Verdini ha avviato il tesseramento, ci sarebbe da rallegrarsi per l’esplosione di democrazia interna...». Come mai, allora, Fini è all’attacco? Risposta unanime del gruppo dirigente berlusconiano: «La politica non c’entra, è solo un fatto di insopportazione personale. Gianfranco odia Silvio».

E così la categoria dell’odio irrompe, devastante, nel «partito dell’amore», con il premier che non se l’aspettava (giura Bonaiuti). Berlusconi di rimando tratta Fini come un dente cariato, lo disturba quel continuo controcanto, lui dice «A» e l’altro risponde «B». Proprio come faceva Follini da segretario Udc. Osvaldo Napoli rammenta bene quei tempi: «A forza di dargli retta, la coalizione si consumò nell’impotenza e perse le elezioni. C’è il rischio che la storia si ripeta...». Ma non si ripeterà perché il Cavaliere ha fatto certi conti: ritiene che se Fini prenderà cappello saranno in quattro gatti a seguirlo. Probabilmente, crede lui, neppure l’intero gruppo dei 14 senatori «finiani» che ieri, guidati da Augello, hanno invocato da entrambi i leader serietà e comportamenti responsabili, come si addice a tempi difficili.

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