CARLO BERTINI
Penso che Fini ormai non possa più tornare indietro. Ha intrapreso una strada travagliata e non è scontato che abbia successo. Gli altri proveranno a coprire lo strappo con un rammendo, ma non credo che lui si possa minimamente accontentare di questo». Rosy Bindi, che come vicepresidente della Camera siede sulla poltrona di Fini quando lui non c’è, non azzarda pronostici su come andrà a finire. Ma nel rispetto dei ruoli, si limita a indicare i rischi che corre in questo momento il numero uno di Montecitorio.
Non crede che gli italiani farebbero fatica a capire le ragioni di una rottura il giorno dopo una vittoria?
«Intanto, se non ci fosse stata la caduta del governo Prodi, secondo me Fini nel Pdl non ci sarebbe mai entrato, perché la sua reazione al “predellino” fu vera. Poi c’è la coabitazione con Berlusconi, difficile per tutti coloro che non accettano una subalternità. In questi due anni, Fini ha abbozzato un’ipotesi di destra moderna ed europea che in Italia non c’è. E ora la strada è molto stretta, ma a questo punto la deve imboccare. Non uso volentieri la parola credibilità, ma osservo che ormai può costruire qualcosa di serio e forte solo se rischia. Altrimenti, se restasse dentro il Pdl, non avrebbe spazi politici per sviluppare le sue idee».
E voi che tipo di rapporto dovete instaurare con lui? Colpisce che in pochi giorni il Pd sia passato dall’incertezza se dialogare con Casini alla quasi certezza di farlo con Fini.
«L’unico che ha trattato questo argomento è stato D’Alema e mi sembra corretta la sintesi trovata da Bersani. E’ ovvio, siamo attenti a quello che succede anche nell’altra metà campo, ma non perché si possano costruire assi politici particolari».
E cosa sperate di costruire allora?
«Il Paese ha bisogno di riforme, ma non si faranno partendo dal presidenzialismo populista berlusconiano e dalla bozza Calderoli. Se si mette in movimento il quadro politico, probabilmente matureranno in Parlamento le condizioni per fare riforme più sensate. Non sono in discussione altre maggioranze. E in questo momento i tatticismi finirebbero per stritolare due grandi strategie: una in campo, che è la nostra, e l’altra che mi auguro si apra, quella di Fini e di chi sceglierà di essere suo compagno di viaggio».
Lei è sicura di poter definire «grande strategia» quella messa in campo dal Pd?
«E’ vero che se loro sono in crisi noi non veniamo percepiti come un’alternativa. Ma siamo il partito dell’unità d’Italia e del lavoro, questo progetto ci deve spingere a stare uniti, ad allargare il campo e a riprendere con coraggio un dialogo con il Paese».
«Non abbiamo paura per noi, ma l’Italia non può andare avanti con elezioni che producono elezioni. Cosa si risolve? E anche se si mette in movimento il campo del centrodestra, sia Fini che Berlusconi hanno detto che non è a rischio il governo. Quindi queste riforme, sociali, istituzionali e della giustizia, le vogliamo fare o no?».
A proposito di giustizia, pare che lei non abbia apprezzato la fuga in avanti del responsabile del Pd, Orlando.
«Come ha detto Bersani, quello è un punto di partenza».
Veramente ha detto che quella è la proposta del Pd.
«In realtà, la cosa che ha infastidito di più alcuni è quel titolo del Foglio, “Il Pd offre giustizia a Berlusconi”. In questo momento a Berlusconi non si offre nulla, anche se in Parlamento ci si confronta su tutto, pure sulla giustizia. Ma alcuni aspetti di merito di quella proposta, sull’obbligatorietà dell’azione penale, sui poteri disciplinari ed altro ancora, vanno approfonditi. E’ bene che il Pd assuma l’iniziativa. Una cosa è certa: loro in questi anni si sono radicati nel cuore e nella mente degli italiani, noi no e dobbiamo riuscire a farci riconoscere proponendo grandi riforme».
Quindi la ricetta non è riformare l’assetto del partito come propone Prodi? Raccontano che con Bersani le sia scappata una battuta: «Romano? Ho dovuto leggerlo due volte prima di capire».
«E’ chiaro che Prodi ha indicato una strada di rinnovamento delle classi dirigenti. Certo ora faremo un riordino dello statuto, ma il punto non è quello: il limite di quella proposta è che noi dobbiamo piuttosto presentarci come una forza di cambiamento che trasmetta agli italiani un’idea positiva nella quale possano riconoscersi».
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