di Gianni Barbacetto
Ieri, 31 marzo, due candeline sulla torta avrebbero potuto festeggiare il compleanno dell’Expo. Esattamente due anni fa, il 31 marzo 2008, Milano vinceva la gara internazionale e si aggiudicava l’Esposizione universale del 2015. Ma nessuno le ha accese, le candeline, nessuno ha sfoderato la torta, né ha avuto il coraggio di fare festa. Perché il bilancio di questi due anni è, a dir poco, deludente: anzi, un disastro.
Il primo anno è volato via in defatiganti litigi su chi dovesse guidare la società di gestione dell’Expo, con il sindaco Letizia Moratti che credeva di poter fare di testa sua, imponendo il suo manager di fiducia, Paolo Glisenti. Apriti cielo. I partiti, le correnti, i potentati e i sultanati si sono messi di traverso: ciascuno voleva dire la sua, avere un posto a tavola. La Lega si è mostrata da subito exposcettica (non le piace ciò che non controlla) e ancor più freddo si è dimostrato Giulio Tremonti, il ministro che dovrebbe aprire i cordoni della borsa e concedere una bella fetta dei finanziamenti. Per sbloccare la situazione, c’è voluta una riunione ad Arcore, con vassalli e valvassori riuniti a corte.
Donna Letizia ha chinato il capo (e qualche tempo dopo ha preso anche la tessera del Pdl), Glisenti è uscito di scena ed è arrivato Lucio Stanca, doppio incarico e doppio stipendio (presidente di Expo, ma anche parlamentare Pdl). Ha avuto il suo annetto di doppio lavoro, ma risultati pochi. Non è chiaro il progetto, che continua a oscillare tra promesse ecologiche (realizzare e lasciare alla città un grande parco delle biodiversità alimentari planetarie) e voglia invece di cementificare e di fare business. E non è chiaro chi ci metterà i soldi. Tremonti continua a essere il campione degli exposcettici: era vistosamente assente anche alla riunione sull’Expo del 12 marzo a Palazzo Chigi, in cui Silvio Berlusconi in persona ha detto, come al solito: ghe pensi mi (ci penso io). Ma l’anziano leader ha già tante cose sue a cui pensare.
Intanto sono state limate al ribasso tutte le previsioni. Meno spese per gli impianti espositivi: da 3.200 milioni di euro a 1.700. Meno visitatori: da 30 milioni a 20. Meno fatturato: da 44 a 34 miliardi. Ci sono anche meno soldi per le infrastrutture (innanzitutto le linee di metro): mancano almeno 1.600 milioni.
Quello che non è calato è l’allarme mafia: le cosche restano pronte a infilarsi negli appalti e per riuscirci hanno già stretto cordiali rapporti con più d’un politico locale.
Dopo la riconferma elettorale, il presidente della Regione Roberto Formigoni, che ha sempre maldigerito la presenza di Letizia Moratti, sta per lanciare la sua offensiva: stringere un patto con la Lega; estromettere dalla gestione donna Letizia, da mandare al più presto a New York, magari a fare l’alto commissario dell’Onu; dare il benservito a Stanca, da sostituire con un fedelissimo dell’area ciellin-formigoniana; rassicurare Tremonti, per farsi sganciare qualche soldo. Riuscirà l’offensiva di primavera? Reggerà un eventuale patto Formigoni-Bossi, che hanno tanto da spartire e lottizzare, ma altrettanti motivi di contrasto?
Lo sapremo nel corso del prossimo anno, che sarà il terzo dell’era Expo.
Se nei prossimi dodici mesi il progetto non decolla più che rapidamente, l’Expo è morto.
Meglio tornare a Parigi, alla sede del Bie, e dire: grazie, siete stati gentili, ma abbiamo scherzato.
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